Giochi e tecnologie
Mercoledì 28 Dicembre 2016
The Last Guardian,
il bambino e il mostro
Il rapporto fra Trico e il suo piccolo amico, la forte empatia che si crea fra i due è qualcosa di incredibile. Ma se dovessimo andare oltre a questo, The Last Guardian mostra tutto il peso dei suoi 10 anni di sviluppo
Piattaforma: PlayStation 4
Genere: Action-adventure
Sviluppatore: genDESIGN e Japan Studio
Produttore/Distributore: Sony Interactive Entertainment
PEGI: 12
Ci sono voluti dieci anni, ma alla fine The Last Guardian è divenuto realtà. Il suo travagliato sviluppo è cominciato nel lontano 2007, negli studi nipponici del team Ico, software house non particolarmente prolifica e con all’attivo solamente due titoli (bellissimi, tra l’altro) per PlayStation 2: Ico e The Shadow of the Colossus. Inizialmente previsto per il lancio nel 2011 su PlayStation 3, il gioco slitta successivamente al 2012 per approdare sulla più potente PlayStation 4. Ma su PS4 il gioco stenta ad arrivare. Nel frattempo, il team di sviluppo chiude i battenti. Insomma, una vera e propria maledizione. Fortunatamente, qualche anno dopo, dalle ceneri del Team Ico nasce genDESIGN. Oltre ai dipendenti e al visionario game designer Fumito Ueda, il nuovo gruppo di lavoro si è «portato via» anche The Last Guardian, di cui però si perdono le tracce per diverso tempo. Quando oramai nessuno ci credeva più, ecco che all’E3 2015 Sony annuncia l’uscita del gioco per il 2016. Questa volta, però, succede veramente. Ed eccoci qua, dopo dieci anni di false speranze e continui rinvii, a dire la nostra su The Last Guardian. Ma il gioco è davvero valso questa lunga attesa? Andiamo a scoprirlo.
Come i precedenti lavori del visionario e geniale game designer Fumito Ueda (Ico e The Shadow of the Colossus), anche The Last Guardian getta il giocatore all’interno di un mondo di gioco onirico, architettonicamente astratto, privo di un contesto narrativo o di una vera e propria trama. Al giocatore non viene data praticamente alcuna informazione, ma gli viene solamente chiesto di trovare una via d’uscita da una serie di ambientazioni labirintiche, a cielo aperto o claustrofobiche. Ma quello che conta davvero in The Last Guardian è il legame, in continua evoluzione, fra il protagonista senza nome, un bambino, e Trico, la gigantesca bestia che accompagna il giocatore durante tutto l’arco dell’avventura. Dal punto di vista fisico Trico è un riuscitissimo mix fra un cane, un topo e un uccello (nel complesso ricorda vagamente un grifone). Ma se dovessimo spiegare i suoi atteggiamenti e il rapporto che lo lega al suo «padroncino» potremmo definirlo come un cagnolone grande come una casa a tre piani. Immaginate quindi di fare un’avventura in compagnia del vostro fedele amico a quattro zampe, solo un bel po’ più grosso: questo è The Last Guardian.
Il rapporto fra il piccolo protagonista e il gigantesco Trico è infatti il cuore pulsante dell’intera esperienza di gioco, ricca di significati più o meno intrinseci. A differenza di tante altre spalle videoludiche, il gigantesco pennuto non è un autonoma, non viene controllato in maniera diretta dal giocatore ma ha un certo grado di autonomia che lo rende molto più credibile e naturale nei comportamenti e nelle movenze. L’intelligenza artificiale che muove Trico è una delle più raffinate mai viste, e quindi va da sé che Trico sia uno dei personaggi non giocanti più interessanti mai visti. Ma oltre all’intelligenza c’è di più: Trico è fedele, dolce, tenerissimo, ed essendo un animale riesce a colpire immediatamente la sensibilità del giocatore (soprattutto se di sesso femminile), a toccare le corde più intime.
Anche dal punto di vista del gameplay nudo e crudo The Last Guardian mantiene fede alla sua vena poetica. Forse è un po’ troppo lento, soprattutto all’inizio e soprattutto per i videogiocatori più giovani e meno avvezzi a questa tipologia di giochi, ma resta pur sempre poesia in movimento. The Last Guardian è un puzzle-game, quindi il giocatore è chiamato a superare dei livelli risolvendo enigmi ambientali più o meno complessi e superando diverse sequenze platform, sempre con l’aiuto del gigantesco compagno. Nella prima parte del gioco è impossibile impartire comandi a Trico, ma successivamente il piccolo protagonista ha la possibilità di chiedere al gigantesco compagno di fermarsi, spostarsi, saltare o spingere in una determinata direzione. Come già detto Trico ha una certa indipendenza comportamentale e quindi ha bisogno di tempo per capire cosa gli chiede il «padroncino» e non reagirà comunque a comando come se fosse un robot senza cervello. In certe situazioni sarà addirittura lo stesso Trico a suggerire al piccolo amico come agire per risolvere certe situazioni con atteggiamenti più o meno comprensibili.
Il rapporto fra Trico e il suo piccolo amico, la forte empatia che si crea fra i due è qualcosa di incredibile. Ma se dovessimo andare oltre a questo, The Last Guardian mostra tutto il peso dei suoi 10 anni di sviluppo: dinamiche di gioco datate e «polverose» vanno a braccetto con puzzle ambientali poco originali. E non manca una certa ripetitività di fondo, visto che le azioni sono quasi sempre le stesse, come spostarsi su corde o scalare torri e palazzoni, tirare una leva, trovare del cibo per Trico (dei barili nemmeno troppo nascosti) o affrontare alcune sequenze precalcolate che provano a spettacolarizzare e smuovere la staticità
dell’avventura. Quello di The Last Guardian è un gameplay molto tradizionale, della «vecchia scuola», che si sposa perfettamente alle atmosfere di gioco in stile Ico e The Shadow of the Colossus, ma al tempo stesso potrebbe annoiare e scoraggiare tutti quelli che alla poesia preferiscono la concretezza di un gameplay più complesso e stimolante. Insomma, si sa: la poesia non è per tutti. Che sia scritta o su schermo non fa differenza.
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