Londra di The Order: 1886
È un gioco luci e ombre

Molto affascinante (e graficamente eccezionale) la Londra vittoriana steampunk, ma il gioco - al di là della longevità - non convince sul gameplay e, paradossalmente, nemmeno sulla narrativa.

Piattaforma: PlayStation 4

Genere: Sparatutto in terza persona

Sviluppatore: Ready at Dawn e SCE Santa Monica Studio

Produttore/Distributore: Sony Computer Entertainment

PEGI: 18

Da quando PlayStation 4 ha raggiunto gli scaffali dei negozi, poco più di un anno fa, The Order: 1886 è stata una delle esclusive maggiormente pubblicizzate e ostentate dal colosso nipponico dell'intrattenimento. Un progetto su cui Sony ha evidentemente puntato moltissimo, ma che è stato vittima di diverse critiche pre-lancio relative alla longevità: alcuni video gameplay trapelati in rete giorni prima dell'uscita sembravano dimostrare che il gioco durasse solamente 6 ore. Indiscrezioni smentite prontamente dagli sviluppatori, ma che hanno inevitabilmente scatenato un'infinita e pericolosa ondata di polemiche. In pochissimo tempo il (sempre più confuso e inviperito) popolo del web si è scagliato in maniera forsennata e acritica contro l'opera di Ready at Dawn e Sony ancor prima di averla provata. Una vera e propria campagna denigratoria che nemmeno il peggiore dei B-movie avrebbe meritato. Liberi da ogni preconcetto e con chiare intenzioni critiche andiamo ad analizzare il reale valore di The Order: 1886.

Sin dai primi minuti di gioco risulta fortemente marcata ed evidente la declinazione cinematografica assunta da The Order 1886: visuale del protagonista molto ravvicinata, bande nere, primi piani ricercati, tempi e dialoghi orchestrati da una regia più vicina al mondo del cinema che alla tradizione videoludica. A dare maggior vigore e forma all'esperienza cinematografica è inoltre l'alta qualità del comparto tecnico e grafico, in assoluto il migliore visto sinora su PlayStation 4. Ma l'estetica non è tutto.

Il gioco è ambientato in una Londra alternativa del XIX secolo, in piena epoca vittoriana e schiacciata da povertà e tensioni sociali. All'interno di questa cornice, il giocatore veste i panni di Sir Galahad Greyson, cavaliere di un antico e misterioso Ordine fondato da Re Artù e il cui compito è quello di proteggere la popolazione dalla minaccia dei mezzosangue, esseri umani geneticamente evoluti e dalla forza sovrumana. Le bestie non sono però l'unico problema, poiché il malcontento generale ha portato alla nascita di un gruppo di rivoltosi che sta cercando di sovvertire lo status quo. Il giocatore, nei panni del prode Sir Galahad, dovrà quindi affrontare il vecchio nemico mezzosangue e al contempo tenere a bada i ribelli, le cui intenzioni nascondono però ben più di un semplice mal di pancia populistico e che porteranno a galla tutto il marcio nascosto sotto la bellissima superficie della Londra vittoriana dipinta da Ready at Dawn.

Re Artù, Cavalieri della Tavola Rotonda, Santo Graal, ma anche licantropi, vampiri, Jack lo Squartatore, il generale La Fayette e Nikola Tesla (è proprio il famoso ingegnere elettrico a fornire ai cavalieri l'avveniristico arsenale per combattere i mezzosangue, un po' come Leonardo da Vinci in Assassin's Creed). Nell'opera di Ready at Dawn c'è tutto questo, e tanto altro ancora. Con una tale pletora di citazioni, The Order 1886 potrebbe apparire una confusa commistione di letteratura, storia e mitologia, e invece riesce a ritagliarsi una sua identità ben definita, una sua atipica unicità, proponendo un'affascinante atmosfera velatamente steampunk nonché visivamente piacevole. Solo visivamente, purtroppo, perché a livello narrativo ed emozionale, invece, non ci siamo proprio: nonostante la buona qualità dei dialoghi e il preciso taglio registico, la sceneggiatura di The Order: 1886 non riesce a decollare, gli intrighi e le cospirazioni sono fin troppo prevedibili e i personaggi incapaci di trasmettere emozioni vere, diversamente da quanto accade nelle opere Quantic Dream o nella saga di Uncharted. Criticità impensabili per un'esperienza fortemente cinematografica come vuole essere The Order 1886.

Per quanto riguarda il gameplay, siamo di fronte ad uno sparatutto in terza persona lineare molto tradizionale (in stile Gears of War, per capirci), che cerca un po' di varietà tramite alcune semplici sequenze stealth o quick time event che hanno lo scopo di non far passare troppo tempo senza toccar tasto. Il gioco scorre abbastanza fluidamente e diverte – senza toccare mai vette indimenticabili – ma il tutto è chiaramente circoscritto dalle dinamiche filmiche a cui l'esperienza è vincolata. Dinamiche che, però, come già detto, non sono supportate da una sceneggiatura all'altezza della situazione.

E ora parliamo del controverso fattore longevità. Purtroppo è vero: The Order 1886 dura dannatamente poco (circa 6 ore). In realtà però il vero problema non è semplicemente la durata del gioco (seppure abbia un suo peso), ma il fatto che quasi la metà del tempo il videogiocatore la passi in maniera assolutamente passiva, ascoltando dialoghi spesso non brillantissimi o schiacciando tasti a schermo in maniera evidentemente pleonastica. Manca pathos nella narrazione, manca profondità nei personaggi, il gameplay lineare è d'obbligo in questo tipo di opere, ma doveva essere più esaltante, più frizzante, più emozionante. The Order: 1886 è bello, ma non sa emozionare.

The Order 1886 non è il primo «videogioco cinematografico», ne hanno sviluppati anche Quantic Dream (Heavy Rain e Beyond: Due Anime) e Naughty Dog (saga Uncharted e The Last of Us). A differenza di Ready at Dawn, però, le altre software house con le loro opere sono riuscite a dimostrare che si può confezionare titoli dalla forte componente narrativa e dal taglio cinematografico senza snaturare il medium videoludico, mantenendo il focus sul gameplay (con alti e bassi pure loro, s'intende) e dando vita a personaggi indimenticabili e storie originali e ben sceneggiate. In The Order: 1886, invece, Ready at Dawn ha rilegato in secondo piano il gameplay senza oltretutto riuscire a distinguersi dal punto di vista narrativo ed emozionale.

Marco Locatelli

© RIPRODUZIONE RISERVATA