Battleborn, 25 eroi in cerca d’autore

Il nuovo arrivato di casa Gearbox è un FPS multiplayer fresco e di carattere, capace di distinguersi prepotentemente dalla massa. Peccato solo per la campagna un po’ sottotono.

Piattaforma: PlayStation 4, Xbox One e PC

Genere: Sparatutto in prima persona

Sviluppatore: Gearbox Software

Produttore: 2K Games

Distributore: Cidiverte

PEGI: 16

Nella recente storia videoludica, Gearbox Software è famosa soprattutto per aver contribuito in maniera significativa all’ibridazione del genere degli sparatutto in prima persona a quello dei giochi di ruolo. Due mondi apparentemente agli antipodi, ma che gli sviluppatori texani sono riusciti ad avvicinare con grande intelligenza e qualità nella serie Borderlands. Vista la loro riconosciuta capacità nell’unire con successo filosofie di gioco differenti, i ragazzi di Gearbox hanno voluto compiere un ulteriore passo in avanti, realizzando un FPS con alcuni elementi presi in prestito dal MOBA (Multiplayer online battle arena), sottogenere nato da una modifica di Warcraft III conosciuta come Defense of the Ancients. Battleborn si potrebbe dunque definire come il primo, sperimentale MOBA-shooter. Ma andiamo a scoprire se questo curioso mix funziona davvero.

I ragazzi di Gearbox non si sono limitati a pescare a piene mani dai vari Dota, Dota 2, League of Legends e compagnia bella, ma ha – come da tradizione – messo del suo, interpretando questo particolare mix con toni ironici e divertenti, fatti di dialoghi irriverenti e personaggi fuori dagli schemi (come robot che si credono ragni o bibliotecari), una grafica cartoonesca e coloratissima, e un design ricercato, fresco e mai banale. Pur essendo un MOBA-like, Battleborn è soprattutto uno sparattutto in prima persona e dunque non si svincola – per ovvie ragioni – dal suo genere di riferimento principale, offrendo un pacchetto contenutistico completo sotto tutti i punti di vista. É infatti presente una campagna singolo giocatore – affrontabile anche in cooperativa online con altri 4 giocatori – e una componente competitiva composta da tre modalità: cattura, incursione e fusione (che andremo ad analizzare più avanti).

Per quanto riguarda la campagna, non siamo di fronte ad un’esperienza strutturata e coinvolgente come visto, ad esempio, nella serie Borderlands, ma di una manciata di missioni – in totale otto –, alcune delle quali molto lunghe, ma legate ad una narrazione solo abbozzata e molto superficiale. La maggior parte delle stelle e dei pianeti presenti nell’universo sono stati distrutti da una sorta di oscurità, evento che ha portato le varie specie sopravvissute a dividersi in fazioni. Successivamente, però, le diverse civiltà hanno deposto le armi e costituito un esercito d’elite, composto dai loro migliori soldati, chiamati appunto battleborn, per combattere il nemico comune: i Varelsi, di cui non si conosce praticamente nulla. Il pretesto per gettarsi in battaglia è servito, al resto ci pensa il sano e spensierato gameplay di Battleborn.

Le quest propongono più o meno le medesime dinamiche: resistere ad un serie di ondate nemiche, difendere un’area anche grazie all’aiuto di torrette o droni (attivabili tramite speciali schegge recuperabili da alcuni contenitori sparsi lungo la mappa o con i colpi critici), scortare e proteggere dei robot, oppure affrontare giganteschi boss, spesso molto riusciti. Una discreta varietà di situazioni, resa però ancora più spiccata dalla presenza di ben 25 personaggi (i battleborn, appunto) fra cui scegliere (anche se inizialmente sono molti meno, e vengono resi disponibili proseguendo nel gioco). Una scelta non irreversibile, poiché ogni volta che si affronta una missione è possibile cambiare eroe. Il continuo cambio delle vesti è reso ancora più facile dalla presenza di una progressione in pieno stile MOBA, ovvero, ad ogni inizio match il livello del personaggio scelto parte da 1 ed incrementa nel corso la partita, che sia campagna o multiplayer competitivo. In questo modo i giocatori partono, più o meno, tutti dallo stesso livello. Diciamo “più o meno” perché in realtà, in Battleborn (come anche in alcuni MOBA puri), c’è anche una crescita più tradizionale, non così incidente sulle potenzialità del personaggio ma che può comunque fare la differenza.

Esistono, infatti, anche due sistemi di crescita “permanenti”: il grado comando (relativo al giocatore) e che salendo sblocca nuovi personaggi o altri extra, e il grado dell’eroe, che fondamentalmente attiva le mutazioni, cioè potenziamenti delle abilità disponibili ogni 2/3 level-up. A ciò si aggiungono gli equipaggiamenti, i quali si trovano all’interno di bottini, pacchetti acquistabili nel menu, recuperabili in particolari casse nella campagna oppure quando si completano alcune sfide. Questi possono essere equipaggiati solo a partita in corso utilizzando delle speciali schegge, che si ottengono effettuando colpi critici oppure si trovano piantate nel terreno o in alcune scatole rosse (servono anche per attivare droni e torri). La differenza la farà però non tanto l’equipaggiamento migliore – che ovviamente ha la sua importanza, visto che migliora alcune statistiche – ma la capacità nel saper sfruttare al meglio le caratteristiche uniche di ogni eroe e combinarle a quelle degli altri battleborn.

I 25 personaggi sono ovviamente il punto di forza dell’esperienza Battleborn, quel valore aggiunto che spinge a giocare, a provare e riprovare le missioni nei panni di un nuovo eroe, scoprire le sue abilità, capire quale può essere quello più adatto allo stile di gioco che si sta cercando, un po’ come se si stesse cercando l’anima gemella. Quindi i battleborn non sono solo capaci di diversificare sensibilmente il gameplay, ma lo rendono un vero e proprio turbine di assuefazione dal quale sarà difficile uscirne. Questo è stato possibile non solo perché gli eroi sono tanti, ma perché ognuno di loro ha qualcosa da dire, tutti sono ben caratterizzati ed è difficile trovare un combattente stereotipato o che in qualche modo non titilli la curiosità del giocatore. Un roster tanto numeroso ha dato la possibilità agli sviluppatori di sbizzarrirsi: si va dal robot in stile transformers al velocissimo arciere elfico, passando per il gigantesco boscaiolo dotato di gatling o il fungo antropomorfo. Ogni personaggio può contare su tre abilità ricaricabili a tempo e un’arma, che può essere bianca, da lancio o da fuoco (oltre, come già detto, agli equipaggiamenti).

Chiude il cerchio il multiplayer competitivo a squadre 5vs5. Oltre alla classica modalità “Cattura”, nella quale si devono conquistare e mantenere tre punti sulla mappa, le altre due opzioni di gioco prevedono una meccanica completamente MOBA. In “Incursore”, ad esempio, si deve distruggere la sentinella nemica – un robottone gigante – facendosi aiutare dagli scagnozzi, robottini alleati controllati dall’IA, mentre in “Fusione” ogni squadra deve proteggere gli scagnozzi dal team avversario per ottenere punti facendoli entrare all’interno di una grande struttura che li riduce in brandelli. Vince la prima squadra che arriva a 500 punti. Con sole tre modalità la componente competitiva di Battleborn è al momento un po’ striminzita, ma ci aspettiamo che i ragazzi di Gearbox si adoperino per un programma di supporto corposo, partendo magari dall’introduzione di classici come “tutti contro tutti” o “team deathmatch”.

Battleborn è una vera e propria sorpresa, ingiustamente (ma inevitabilmente) oscurato dai pesi massimi che stanno per raggiungere gli scaffali dei negozi, come Uncharted 4 o il reboot di Doom. Questo piccolo gioiello targato Gearbox-2K merita l’attenzione di tutti quei videogiocatori in cerca di un FPS multiplayer fresco e di carattere, capace di distinguersi prepotentemente dalla massa. Peccato solo per la campagna un po’ sottotono, ma siamo sicuri che Battleborn non sarà il primo shooter-MOBA. Buona la prima.

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