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Il cinema delle origini è (anche) delle donne

Articolo. Alice Guy-Blaché, Mary Blair, Elvira Giallanella. A scrivere il primo capitolo della storia del cinema, più di un secolo fa, non sono stati solo i fratelli Lumière

Lettura 6 min.

Il 28 dicembre del 1895, il pubblico riunito nel seminterrato del Grand Café di Parigi vide per la prima volta una serie di immagini muoversi: l’uscita di un gruppo di operai da una fabbrica, il volteggio di un acrobata, i tuffi in mare di un gruppetto di ragazzi. Con i cortometraggi di Auguste e Louis Lumière nasceva ufficialmente il cinema. Qualche anno dopo, nel 1902, George Méliès amplificò ulteriormente la magia: incantò gli spettatori e le spettatrici con il racconto di un viaggio sulla luna. E le donne? Possibile che, mentre la settima arte nasceva, rimanessero sedute in sala?

Alice Guy-Blaché

La storia delle immagini in movimento è affascinante, ma raramente ci viene raccontata per intero. Quando si studiano o si elencano i pionieri del cinema, non si nominano quasi mai le donne. Eppure ci sono. Una di loro si chiamava Alice Guy-Blaché e fu regista e produttrice cinematografica.

Nel 1895 Alice Guy lavorava come segretaria nell’impresa di Lèon Gaumont , che oggi è una delle migliori case di produzione cinematografiche francesi, ma all’epoca si dedicava alla fabbricazione di apparecchi fotografici. Alice nutriva la passione per le storie, scriveva sceneggiature teatrali, e quando vide insieme al capo, Gaumont, i primi film dei Lumière, tentò di convincerlo che il futuro era quello: era lì, nel cinema, che bisognava investire. Gaumont all’inizio tentennò poi, nel 1897, creò un reparto dedicato alla produzione cinematografica. La direzione venne affidata proprio ad Alice, a condizione che continuasse a svolgere le sue mansioni di segretaria. Alice Guy girò così il suo primo film, «La Fée aux Choux», «La fata dei cavoli».

Il percorso artistico di Alice continuò negli Stati Uniti, dove si trasferì con il marito, un cameraman britannico di nome Herbert Blaché. Nel 1910 fondò con lui una casa di produzione, chiamata Solax Company. Vennero prodotte circa un migliaio di pellicole dai generi più disparati, dai western alla fantascienza. La coppia poi divorziò: Herbert aveva una relazione extraconiugale. Alice Guy tornò in Francia con i figli. Non avrebbe girato più alcun film.

Sappiamo in realtà che durante gli ultimi anni di vita Alice Guy cercò di recuperare le copie dei film che aveva ideato e diretto (oltre mille, tra cui anche il primo film della storia con un cast interamente formato di attori neri), ma non ne trovò quasi nessuna. Alcuni di questi film erano stati attribuiti a uomini. A prendersene il merito, anche alcuni suoi ex colleghi e l’ex marito stesso.

Ma c’è di più. Alice aveva scritto un’autobiografia, tra il 1941 e il 1953, ma fu rifiutata in vita dagli editori, che non l’avevano ritenuta degna di interesse. Ricostruire la storia di Alice, proprio per questo, è difficilissimo: la regista Pamela B. Green, che nel 2022 le ha dedicato un documentario (andato in onda anche su Sky Arte), ha impiegato circa otto anni di ricerca.

Oggi, abbiamo accesso solo a qualche decina di film della sua ampissima produzione. Tra questi, c’è anche una breve commedia: «Les Rèsultats du féminisme». È il simpatico ritratto di una società dove i ruoli tradizionali maschili e femminili sono invertiti: gli uomini, con i fiori nei capelli, stirano e portano i bambini nelle carrozzine, mentre le donne leggono i giornali nei caffé. Qualcuno, nei commenti al video su YouTube, ha confrontato il film di Alice Guy con «Barbie», il recente lungometraggio di successo di Greta Gerwig. Che si tratti di un omaggio?

In Italia, il nome di Alice Guy è stato ricordato più volte: alla cineasta francese negli anni Settanta si è ispirato per esempio il Collettivo Alice Guy, un gruppo cinematografico femminista. E sempre a lei è dedicato il Circola nel cinema Alice Guy , un’associazione per la cultura audiovisiva con sede a Cagliari, promossa da donne che si occupano di cinema, cultura, comunicazione, oppure che ne usufruiscono.

Lois Weber

Forse più raccontata rispetto a quella di Alice Guy-Blaché è la storia di Lois Weber, una delle registe più influenti del cinema muto americano. Siamo ancora negli anni Dieci. Nel 1913, in particolare, Weber, che aveva una formazione da cantante, dalla Pennsylvania approdò a Los Angeles. Fu la prima regista della Universal e la prima donna a fare parte della Motion Picture Directors’ Association. Fondò addirittura una casa di produzione a cui diede il suo nome: la Lois Weber Productions.

Video dal film «Silent», Lois Weber 1913
Video dal film «Silent», Lois Weber 1913

Oltre a dirigere, scrisse e interpretò i suoi film. Affrontò spesso temi sociali, considerati tabù per l’epoca. «Where are my children» del 1916 (qua alcuni frame) è il primo lungometraggio della storia a trattare il tema dell’aborto e del controllo delle nascite.

Le donne del cinema d’animazione

Anche il mondo dell’animazione ha le sue pioniere, che operarono davanti e dietro le quinte. Durante i primi anni dei Walt Disney Studios, molte donne lavoravano come inchiostratrici e coloriste. Qualcuna osò di più. Tra le prime a offrire un contributo significativo, o quantomeno storicamente riconosciuto, c’è per esempio Mary Blair, a cui le nipoti hanno dedicato un bellissimo sito.

Era una pittrice di acquerelli. Nel 1934 sposò Lee Blair, un compagno di studi e collega, e grazie a lui divenne membro della California School of Watercolor. Dal 1939 cominciò a lavorare per la Walt Disney e nel ruolo di illustratrice contribuì alla realizzazione di classici come «Cenerentola», «Alice nel paese delle meraviglie», «Peter Pan». Portò nel cinema di animazione l’arte moderna: i colori brillanti, vivaci, l’amore per i contrasti. Walt Disney in persona la coinvolse nella progettazione di alcune attrazioni di Disneyland.

Di anni ancora precedenti al lavoro di Mary Blair è quello di Lotte Reiniger, regista e animatrice tedesca. Oggi la ricordiamo soprattutto per la sua capacità di utilizzare la tecnica delle silhouette ritagliate, che riprendono la tradizione del teatro d’ombre del Settecento e delle marionette cinesi. Reiniger lavorò a più di 40 film tra cui «Achmed, il principe fantastico», un lungometraggio ispirato alle ambientazioni delle Mille e una notte. Forse il nome di Reiniger non vi è noto, ma avete presente la sequenza dei tre fratelli in «Harry Potter e i doni della morte»? Quelle silhouette nere… sono un omaggio proprio alla sua tecnica.

Senza queste donne, probabilmente, non esisterebbe il lavoro di molte animatrici contemporanee, come quello di Regina Pessoa, una regista portoghese capace di dare vita ad atmosfere surreali e sognanti con un mix di animazione in 2D, disegno a mano, pittura texture. Il suo delicatissimo cortometraggio «Tiò Tomas. A contabilidade dos dias», omaggio di una nipote a uno zio atipico ossessionato dai numeri, è stato proiettato anche durante l’ultima edizione di Bergamo Film Meeting .

Elvira Notari, Elvira Giallanella e le italiane

E in Italia? I nomi di pioniere ci sono, anche se sono avvolti dal mistero. Quello di Daisy Sylvan su tutti, nome d’arte di Elena Mazzantini, regista, produttrice e star. Di lei sappiamo pochissimo: i suoi film andarono perduti, come accadde anche per le sue tracce dopo gli anni Venti. Ci sono rimasti alcuni scatti, dei documenti anagrafici e una recensione di un suo lungometraggio, «Bolscevismo??».

La storica e critica del cinema Micaela Veronesi ha dedicato invece buona parte della vita, come racconta in un saggio, alla ricostruzione della biografia e del lavoro di cineasta di Elvira Giallanella. Nata a Roma nel 1885, sappiamo che fondò, nel 1920, la Liana Film, dopodiché le sue tracce cinematografiche si perdono: in un censimento del 1951 risulta impiegata contabile nel settore privato. Della Liana Film, che ha lo stesso nome della nipote di Elvira, è rimasto un unico titolo: «Umanità», un film che celebra la solidarietà e il lavoro come uniche soluzioni per vivere in un mondo di pace. Siamo alla fine della Prima Guerra Mondiale.

Di un’altra Elvira conosciamo invece qualche dettaglio in più: Elvira Notari , regista, attrice, sceneggiatrice e produttrice. A Napoli fondò la Dora Film, che divenne così importante da aprire persino una succursale a New York. I film della Notari, realizzati tra il 1906 e il 1930, raccontano la vita popolare dell’epoca, degrado e problemi compresi. Proprio per questo fu ostracizzata dal fascismo: il ritratto del mondo che offriva nei suoi film andava contro la propaganda di regime. E il suo mestiere, d’altronde, non era appropriato per una donna.

Libri e siti per approfondire

Non conoscevo il nome di Elvira Giallanella né quella di Alice Guy-Blaché prima di leggere «Filmare il femminismo. Studi sulle donne nel cinema e nei media», una raccolta di saggi curata da Lucia Cardone e Sara Filippelli. Edito da ETS, il libro è frutto del lavoro collettivo di FAScinA, un Forum Annuale delle Studiose di Cinema e Audiovisivi nato nel 2014. È un momento di condivisione che riunisce ogni anno diverse studiose di cinema e di audiovisivo, accomunate dall’interesse per gli studi di genere. Questa raccolta di saggi, in particolare, raccoglie profili di registe, artiste, produttrici, ma anche riflessioni sulla parità del genere nel settore audiovisivo.

Di questo tema si occupa anche l’associazione Women in Film, Television & Media , di cui dal 2018 è presente una sezione anche in Italia. È una realtà a cui possono aderire tutte le professioniste del settore audiovisivo e che ogni anno partecipa alla Mostra del Cinema di Venezia con un seminario sull’uguaglianza di genere e l’inclusione nell’industria cinematografica.

Date infine un occhio a questo sito: lanciato ufficialmente nel 2013 in partnership con la Columbia University, il Women Film Pioneers Project (WFPP) promuove la ricerca sulle donne che hanno lavorato dietro le quinte durante l’epoca del cinema muto. In continua espansione, il WFPP pubblica studi originali su registe, produttrici, sceneggiatrici, montatrici. Attualmente, sono 326 i profili di pioniere del cinema disponibili. Molti di più di quelli che avremmo mai immaginato.

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