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Disparità di genere, una lotta che unisce l’Italia

Articolo. I dati Istat confermano che le donne continuano ad essere penalizzate in ambito lavorativo, nella sfera personale e in quella sociale. Oggi cerchiamo di capire i «campanelli d’allarme» che mettono in risalto queste disuguaglianze, offrendo una mappatura dei ruoli istituzioni, delle associazioni e delle realtà che si occupano di pari opportunità

Lettura 7 min.
(Illustrazione di Elisa Puglielli - Yoonik)

Le analisi Istat mettono in risalto notevoli svantaggi tra donne e uomini in diversi ambiti, sia nella sfera privata che pubblica. La disparità di genere colpisce infatti, chi più chi meno, tutte le donne durante le varie fasi di vita, sfociando – nei casi più gravi – anche in fenomeni di violenza. Per aiutarci a identificare i campanelli della disparità di genere nella nostra quotidianità, abbiamo chiesto aiuto ad Arianna Gentili, una delle responsabili dell’associazione Differenza Donna APS, gestore del 1522, il numero nazionale anti violenza e stalking. «Il gap economico rappresenta un elemento di forte discriminazione per le donne – sottolinea Arianna – Sono moltissime le donne che non osano separarsi perché non hanno sostenibilità economica. Le diseguaglianze legate alla disparità economica sono molteplici e complesse: i dati Istat ci dicono che a parità di lavoro le donne sono sottopagate, che nei ruoli apicali si tende ancora a scegliere gli uomini e che non ci sono politiche a sostegno della maternità e della genitorialità. Ci sono poi tutte quelle donne oramai adulte inoccupate che non hanno sostentamento per le quali è impensabile separarsi».

L’associazione Differenza Donna, una ONG con centinaia di socie, operatrici e attiviste, ha l’obiettivo di combattere e prevenire la violenza maschile nei confronti delle donne, perseguendo l’impegno di rendere concreta «una società nella quale ogni donna sia una persona libera, autodeterminata, valorizzata, autorevole, economicamente indipendente, ricca di dignità e saggezza». «Il 1522 – spiega Arianna per introdurci il lavoro dell’associazione – è il numero contro la violenza e lo stalking della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tutte le addette impiegate nella gestione del servizio sono operatrici esperte dell’associazione e hanno tutte maturato un’esperienza diretta nei centri antiviolenza. Le operatrici sono formate per fare una valutazione del rischio e un’analisi dei bisogni. Lo scopo è quello di inviare le vittime di violenza nei centri antiviolenza presenti nei loro territori (qui la mappatura completa) così da essere sostenute nel percorso di fuori uscita. All’interno dei centri, le donne verranno informate sui loro diritti e sceglieranno lo strumento che maggiormente corrisponde loro. Non è detto che sia necessaria una denuncia, è fondamentale che sia la donna a scegliere cosa fare ». Soprattutto in una relazione «malata»: «Noi di Differenza Donna non crediamo che esistano relazioni tossiche ma uomini violenti. Spostare l’attenzione sulla relazione significa non riconoscere la responsabilità di chi quel comportamento lo agisce e implicitamente sosteniamo che sia una responsabilità di entrambi. Non esistono relazioni malate ma persone che agiscono un potere attraverso l’uso della violenza».

Ma non si deve arrivare a una denuncia, per pretendere rispetto per le donne. La lotta contro la disparità di genere deve plasmare la vita quotidiana, a partire dal linguaggio che utilizziamo. Per eliminare alla radice gli episodi di discriminazione e aggressione dobbiamo infatti lavorare sull’utilizzo delle parole, «neutralizzando» espressioni che continuano ad alimentare stereotipi ancora oggi accettati o provocando una reazione di vittimizzazione. Pensiamo ad esempio ai colloqui di lavoro e alle numerose domande che una donna è costretta a “digerire”: «ha una famiglia o ha intenzione di rimanere incinta nei prossimi anni?», «come si trova a lavorare con gli uomini?», «è davvero sicura di farcela in un ambiente come il nostro con tanti uomini?», eccetera... eccetera... «Nel corso dei colloqui di lavoro dovrebbero essere valutate le persone rispetto ai requisiti legati alla posizione per cui si sono candidati, questo anche nell’interesse di chi assume che dovrebbe ambire a scegliere la persona con maggiore esperienza. Per favorire questo passaggio si potrebbe pensare a misure con sgravi fiscali per quelle aziende che scelgono di adottare politiche inclusive nel rispetto della parità», suggerisce l’operatrice di Differenza Donna.

E legato al tema del linguaggio, ci sono anche i rischi legati ai social media che, senza controlli, rischiano di amplificare le disparità di genere, diffondendo ideologie misogine e modelli stereotipati del mondo femminile. «Il problema – indica Arianna – è l’uso che facciamo dei social media. Per modificare una cultura e quindi anche le parole connesse servono azioni di prevenzione strutturali. In Italia i programmi di prevenzione sono “spot”, ci si ricorda di parlare di violenza, rispetto, parità in occasione di giornate come il 25 novembre o come l’otto marzo o in occasione di casi di cronaca. Tutto ciò concorre a cercare soluzioni che nascono sempre sull’onda della emergenza, non volendo comprendere che la violenza è strutturale perchè è parte della cultura patriarcale. Tutti invece dobbiamo essere responsabili con azioni di prevenzione e formazione».

«Sui social – conclude Arianna – sicuramente le donne continuano a subire giudizi per il loro aspetto fisico e questo, in alcuni contesti, ancora produce forte discriminazione. Pensiamo anche alla televisione, dove, nonostante se ne parli molto, si ripropone un modello femminile molto stereotipato».

Figure e realtà per le pari opportunità

A livello nazionale, in forma totalmente gratuita e anche anonima, quando si ritiene di essere vittima di discriminazione, ci si può rivolgere alla Consigliera Nazionale di Parità , ruolo istituito per la promozione e il controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e di non discriminazione tra uomini e donne nel mondo del lavoro. Tale figura collabora con gli organismi di rilevanza nazionale competenti in materia di politiche attive del lavoro, di formazione e di conciliazione, in particolare con il Comitato Nazionale di Parità e con la Conferenza Nazionale delle Consigliere e dei Consiglieri di Parità, che comprende tutte le consigliere e i consiglieri (regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta).

In regione

Per quanto riguarda la nostra regione, oltre alla Consigliere di Parità regionale, un organo di garanzia è rappresentato dal Consiglio per le Pari Opportunità della Lombardia , che ha il compito principale di valutare l’applicazione di norme antidiscriminatorie, verificare l’attuazione del principio di parità ed operare per la diffusione della cultura della parità.

Il Centro Risorse Donne regionale svolge invece attività di informazione, formazione, animazione e supporto alla progettazione rivolta in particolare agli enti locali e agli organismi di parità, ai servizi di consulenza rivolti alle donne, anche con l’obiettivo di promuovere progetti di sviluppo locale che favoriscano l’inserimento delle donne nella vita economica e sociale. Alla rete fanno parte 245 enti locali: l’elenco completo è disponibile qui.

A livello provinciale

Anche tutte le province lombarde hanno una Consigliera di Parità e un Ufficio per le Pari Opportunità. I contatti, le informazioni e tutte le referenti sono riassunte in questo portale. Per la Provincia di Bergamo, che ha scelto di patrocinare il nostro progetto editoriale dedicato alla parità di genere, la referente è Miriam Campana, avvocata esperta in violazioni dei diritti e discriminazione, di parità e violenza in ambito civile, giuslavoristico e penale, con un’ esperienza maturata nel ruolo di consulente legale per l’Ufficio della Consigliera Provinciale e Regionale.

«La Consigliera – spiega Miriam Campana – può intervenire su richiesta delle singole lavoratrici e dei singoli lavoratori ma anche di sindacati, istituzioni pubbliche e privati. In particolare, può chiedere la rimozione di discriminazioni che riguardino appunto l’ambito lavorativo, l’accesso al lavoro, l’accesso alla formazione professione e la progressione delle carriere, in tutta la vita lavorativa e nei periodi di mobilità, promuovendo dove necessario anche una diversa organizzazione del lavoro in modo che ci sia un equilibrio tra responsabilità familiare e professionale. Si tratta di un pubblico ufficiale e ha obbligo di segnalare all’autorità giudiziaria i reati dei quali vieni a conoscenza. Può anche verificare la composizione delle nomine delle commissioni di concorso e supportare le pubbliche amministrazioni nell’attuazione di azioni positive. La Consigliera si occupa anche della verifica della trasmissione delle informative sulla parità di genere da parte delle realtà che hanno ottenuto la certificazione della parità di genere, promuovendo azioni giudiziarie anche in rappresentanza della lavoratrice che si rivolge all’ufficio ».

Anche il Comune di Bergamo, che ha scelto di patrocinare la nostra iniziativa editoriale, oltre al Consiglio delle Donne, ha un assessorato e una direzione servizi dedicati alle pari opportunità. L’assessora di riferimento è Marzia Marchesi, che si occupa anche di infanzia, servizi educativi e scolastici, politiche giovanili, educazione alla legalità, intercultura e pace.

«L’assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Bergamo – sottolinea Marzia Marchesi – lavora per favorire la conciliazione dei tempi e degli orari delle famiglie e delle donne che lavorano. Perseguendo questo obiettivo, intrecciamo il nostro lavoro con i vari assessorati del Comune. Per quanto riguarda l’istruzione, ad esempio, abbiamo concretizzato il progetto di creare le “Scuole Aperte GPS”, con spazi interni nelle scuole dedicati a laboratori e attività che si svolgono oltre l’orario scolastico, permettendo ai bimbi di restare più tempo con i loro compagni e alle famiglie di combinare al meglio le loro esigenze familiari e lavorative. Inoltre, l’assessorato alle Pari Opportunità è il “braccio operativo” del Consiglio delle Donne, che è il luogo istituzionale in cui si ragionano politiche da mettere in campo in materia di parità di genere. La stessa attenzione che riserviamo alle famiglie e alle cittadine la dedichiamo anche al personale del Comune, con azioni positive che permettono alle dipendenti e ai dipendenti di avere, ad esempio, una importante flessibilità oraria in entrata. È un lavoro a 360 gradi verso la città e verso l’amministrazione».

Associazioni ed enti territoriali

Per quanto riguarda le realtà associative e del terzo settore, questa guida non sarà sicuramente esaustiva. Sul sito della Casa Internazionale delle Donne di Roma è disponibile un elenco di tutte le associazioni e cooperative che formano il laboratorio dove la politica di genere, le relazioni, la promozione dei diritti, la cultura e le esperienze delle donne trovano terreno fertile per “fiorire” in tutte Italia. Altre realtà nazionali che lavorano per la dignità della donna sono l’ AIDOS , l’Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo, il movimento femminista «Non una di meno» , la rete nazionale «D.i.Re – Donne in rete contro la violenza» , il primo fondo femminista italiano Semia e il Consiglio Nazionale delle Donne Italiane.

In Lombardia, tra gli esempi più virtuosi rientrano l’associazione D come Donna , nata a Segrate nel 1989, «L’altra metà del cielo – Telefono Donna» di Merate, Aiuto Donna di Bergamo, Telefono Donna di Como, Telefono Donna di Lecco, «Non una di meno» di Bergamo, la Casa delle Donne di Milano e l’ Unione Femminile Nazionale , che ha sede a Milano. A Sondrio segnaliamo Argonaute e «Il coraggio di Frida» .

Per capire la disparità di genere

Ogni anno l’Istat pubblica il «Rapporto equo e sostenibile» (Bes), un prodotto editoriale e una linea di ricerca che permette di analizzare, attraverso l’analisi di un ampio set di indicatori, la multidimensionalità del benessere e gli aspetti che concorrono alla qualità della vita delle cittadine e dei cittadini. Il rapporto, con i dati relativi al 2023, offre anche un’importante analisi sulle disuguaglianze di genere: nonostante i progressi ottenuti negli ultimi anni queste sono evidenti in molte sfere della vita quotidiana.

Una condizione femminile migliore di quella maschile viene evidenziata nello studio nei domini riguardanti la salute, l’istruzione e la formazione, con le donne che presentano mediamente stili di vita più salutari e maggiori successi nel loro percorso scolastico, con più ragazze diplomate e laureate, anche se si riscontra una maggiore presenza tra le donne di giovani né occupate né inserite in un percorso di istruzione o formazione (NEET). Il vantaggio maschile nel benessere riguarda principalmente i domini politica e istituzioni e lavoro e conciliazione dei tempi di vita. «Tutti gli indicatori relativi alla presenza femminile nelle posizioni di rappresentanza politica e ai vertici delle istituzioni – si legge nella ricerca – segnalano un persistente divario di genere, che appare particolarmente elevato se si considerano le posizioni apicali degli organi decisionali (solo il 21,3% di donne ricoprono queste posizioni) e gli organi politici locali (solo il 24,1% di donne). Anche nel Parlamento italiano la presenza femminile si ferma al 33,7%, mentre, grazie alla spinta degli interventi normativi in materia, sale al 43,1% nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa».

Le donne, nonostante i migliori dati riguardanti istruzione e formazione, continuano ad essere penalizzate sul mercato del lavoro. In particolare, «il tasso di occupazione femminile è significativamente più basso (56,5%; 76%), mentre sono più elevati sia il tasso di mancata partecipazione al lavoro (18%; 12,3%), sia l’incidenza del part-time involontario (15,6%; 5,1%)», evidenzia il rapporto che aggiunge: «le difficoltà di inserimento sul mercato del lavoro espongono le donne anche ad un maggiore rischio di vivere in famiglie povere, che tocca il 20% delle donne contro il 17,8% degli uomini, o di vivere in condizione di grave deprivazione materiale (5%; 4,5%)».

Illustrazione di copertina di Elisa Puglielli - Yoonik

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