Quando sono nata, una mia foto è finita sul giornale, nella sezione dedicata ai compleanni, agli anniversari e alle ricorrenze. La foto rappresentava quella che per un po’ è stata una realtà della mia famiglia - quattro generazioni di donne vissute nello stesso momento storico: io, mia mamma, mia nonna e la mia bisnonna. Nel nostro piccolo mondo sperduto tra le Orobie, era una notizia da giornale. Era la testimonianza di una catena femminile forte, all’interno di una famiglia che, se non magari del tutto matriarcale, ha sempre avuto donne come colonne portanti. Per noi, per me, era così che le cose hanno sempre funzionato: con una donna alla loro guida, e altre donne al suo fianco.
Se tutto funzionasse come funziona la mia famiglia, le sorti potrebbero essere diverse per il nostro Pianeta alle prese con il cambiamento climatico? All’attuale stato delle cose, difficilmente potremo mai saperlo. Difficilmente avremo risposte. Ma non per questo dobbiamo smettere di farci domande.
Queste sono le mie.
Essere donne ci rende più vulnerabili ai cambiamenti climatici?
Sono tantissimi gli studi e i report internazionali che evidenziano come gli effetti del cambiamento climatico colpiscano in maniera sproporzionata le donne. Questo principalmente perché ancora oggi, in molte comunità, specialmente quelle rurali e in via di sviluppo, le donne sono quotidianamente responsabili della raccolta dell’acqua e dell’approvvigionamento alimentare, attività che richiedono spostamenti lunghi e faticosi. Queste responsabilità, unite a condizioni di povertà e a un accesso limitato a risorse economiche e diritti fondamentali, rendono le donne particolarmente vulnerabili agli impatti delle crisi ambientali.
Questo comporta, per esempio, che le donne e i bambini hanno fino a 14 volte maggiori probabilità di perdere la vita durante un disastro naturale rispetto agli uomini. Inoltre, le stime di UN Women indicano che l’80% delle persone sfollate a causa di eventi climatici estremi sono donne, una realtà che evidenzia la necessità di politiche di protezione e supporto mirate.
Le conseguenze di questa vulnerabilità non si limitano alla sfera fisica: le interruzioni nei servizi di approvvigionamento idrico, per esempio, costringono molte donne a rinunciare all’istruzione, al lavoro e ad altre attività di sviluppo personale e comunitario. In un contesto in cui il clima aggrava le disuguaglianze sociali, è imperativo che la prospettiva di genere sia integrata in ogni intervento volto a rafforzare la resilienza delle comunità.
La marcia in più nella promozione di un futuro sostenibile?
Il rovescio della medaglia è però che proprio le donne possono essere la chiave per ribaltare la situazione. Questo perché svolgono un ruolo essenziale nella gestione delle risorse naturali e nella promozione di pratiche sostenibili. In numerose aree del mondo, le donne costituiscono tra il 50% e l’80% della forza lavoro agricola, pur essendo titolari di meno del 10% delle terre coltivate.
A differenza dei governi e delle istituzioni internazionali, le comunità locali riconoscono spesso il valore delle conoscenze tradizionali tramandate di generazione in generazione per via femminile. Sono infatti le donne a essere custodi di pratiche ecocompatibili che si sono dimostrate efficaci nella gestione sostenibile del territorio e delle risorse idriche. L’esperienza quotidiana e il contatto diretto con l’ambiente permettono loro di individuare soluzioni pratiche e adattabili, che spesso sfuggono alle strategie standardizzate imposte dai centri decisionali.
Inoltre, il coinvolgimento attivo delle donne in progetti di sviluppo e nelle politiche climatiche ha spesso un impatto trasformativo. Uno studio commissionato da UNFCCC ha sottolineato come un maggiore coinvolgimento femminile possa portare all’adozione di politiche più efficaci e durature per la resilienza climatica. In questo senso, riconoscere e valorizzare il contributo delle donne significa investire in un futuro più giusto e sostenibile per tutti.
L’importanza di ricoprire ruoli decisionali nella transizione ecologica?
Negli ultimi decenni, la presenza femminile nei processi decisionali legati al clima è aumentata, anche se rimangono ancora molte barriere da superare. Figure di spicco come Christiana Figueres, ex segretaria esecutiva dell’UNFCCC e figura chiave nell’Accordo di Parigi del 2015, hanno dimostrato che la leadership femminile può fare la differenza nel raggiungere accordi globali di rilevanza storica. Altre leader, tra cui Ségolène Royal e Laurence Tubiana, hanno contribuito a plasmare le politiche ambientali a livello internazionale, portando una visione inclusiva e attenta alle esigenze delle comunità più vulnerabili.
Sul fronte dell’attivismo, movimenti come SHE changes climate e organizzazioni quali WECAN International stanno lavorando per abbattere le barriere socioeconomiche che limitano l’accesso delle donne agli spazi decisionali. Queste realtà promuovono una partecipazione più equa e rappresentativa, sostenendo l’adozione di una prospettiva di genere nelle politiche climatiche e favorendo la creazione di reti di solidarietà a livello globale.
La storia ci insegna che le politiche ambientali non possono prescindere dal contributo femminile. Come evidenziato da numerose ricerche, il potenziamento della leadership femminile rappresenta una leva fondamentale per sviluppare strategie di adattamento e mitigazione più efficaci, capaci di rispondere alle esigenze di intere comunità.
Come diventare titolari di diritti paritari nella lotta al cambiamento climatico?
Per realizzare una transizione ecologica veramente sostenibile, è necessario integrare una prospettiva di genere in ogni ambito della pianificazione e dell’azione climatica. Ciò significa, per esempio, promuovere infrastrutture idriche e servizi igienico-sanitari pensati con un’ottica inclusiva, che riducano il carico di lavoro delle donne e migliorino la qualità della vita delle comunità. Investire in progetti che tutelino i diritti delle donne e ne riconoscano il ruolo cruciale nella gestione delle risorse naturali rappresenta non solo un imperativo di giustizia sociale, ma anche una strategia vincente per combattere il cambiamento climatico.
Le barriere legate alla disuguaglianza di genere – come l’accesso limitato al credito, la mancanza di diritti di proprietà e la sottorappresentazione nei processi decisionali – devono essere affrontate con politiche mirate e investimenti strutturali. Il Gender Action Plan adottato durante la COP25 di Madrid rappresenta un passo importante verso una maggiore inclusività, ponendo al centro la necessità di garantire pari opportunità e un accesso equo alle risorse economiche e tecnologiche, ma è solo un punto di partenza.
L’esperienza e il contributo delle donne devono essere riconosciuti e valorizzati anche nel settore agricolo, dove, nonostante la loro presenza massiccia, il possesso di terra e le opportunità economiche restano limitate. Le soluzioni per una transizione giusta devono passare attraverso un rafforzamento del ruolo delle donne, dotandole degli strumenti necessari per diventare protagoniste attive del cambiamento. Come sottolineato da UN Women , l’emancipazione femminile è una leva fondamentale per la costruzione di società resilienti e per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Una visione diversa sul futuro del Pianeta?
In questo ambito come in altri, la conclusione non può non essere che le sfide ambientali sono inevitabilmente anche sociali. Investire nell’empowerment femminile significa non solo tutelare i diritti fondamentali delle donne, ma anche favorire l’adozione di strategie innovative per mitigare gli effetti dei disastri ambientali.
In un mondo in cui la crisi climatica si fa sempre più pressante, è indispensabile che governi, istituzioni e società civile lavorino insieme per garantire una transizione ecologica inclusiva e giusta. Solo così potremo trasformare la vulnerabilità in forza e la sfida in opportunità, accettando che ogni progresso verso la sostenibilità debba passare anche dal riconoscimento e dalla valorizzazione del ruolo delle donne. La strada è lunga, ma il cambiamento è possibile.
È stato possibile trent’anni fa, in un minuscolo paese di montagna incastonato tra le Orobie.
Lo può essere anche per il resto del mondo.
Illustrazione di copertina di Elisa Puglielli - Yoonik
- Chi disse donna, disse (minor) danno (all’ambiente)
- Essere donne ci rende più vulnerabili ai cambiamenti climatici?
- La marcia in più nella promozione di un futuro sostenibile?
- L’importanza di ricoprire ruoli decisionali nella transizione ecologica?
- Come diventare titolari di diritti paritari nella lotta al cambiamento climatico?
- Una visione diversa sul futuro del Pianeta?