La parte più difficile di una visita alla Riserva Naturale della Valle del Freddo probabilmente è l’arrivo. Non tanto per la presenza di particolari difficoltà lungo il percorso, che arrivando da Bergamo costeggia placidamente il lago d’Endine fino a superare lo specchio d’acqua di Gaiano. Quanto perché nell’uscire dall’ultima rotonda lungo la statale 42 è necessario prestare un po’ di attenzione. Infatti, bisogna imboccare subito la prima via sulla destra e mantenerla. Se per sbaglio doveste prendere la strada a sinistra appena usciti dal rondò, la via a senso unico vi porterà infatti fuori strada costeggiando la statale e costringendovi a una deviazione più avanti.
In caso di successo, potete invece seguire un breve tratto sterrato che conduce fino al parcheggio più alto della Riserva, oppure scegliere di lasciare l’auto direttamente nel campo all’inizio della stradina. Un punto strategico per raggiungere in circa dieci minuti di cammino il già citato lago di Gaiano, per prolungare la permanenza.
Tuttavia prima di qualsiasi deviazione è bene tenere a mente che la nostra meta prediletta è una sola: la Riserva Naturale della Valle del Freddo per l’appunto. Un luogo interessato da un fenomeno ambientale e un microclima unici nel loro genere, in Italia e non solo. In quest’area infatti è possibile godere tutto l’anno della visione di una flora di natura alpina, sebbene per gran parte del percorso l’altitudine si assesti attorno ai 340 metri circa.
Visite guidate, aperture e accessi
Ma prima di inoltrarci in questo particolare luogo andiamo con ordine. Per chi non conoscesse la riserva ci troviamo in Val Cavallina, nel territorio di Solto Collina sotto la vigile mole del Monte Nà. Dei percorsi che passano in quest’area è bene ricordare che solo le aree C e D possono essere percorse autonomamente a piedi tutto l’anno, mentre per attraversare la valle nelle aree A e B è necessario aggregarsi alle visite guidate. Queste si tengono tutti i fine settimana e nei giorni festivi tra maggio e luglio (il sabato dalle 13.30 alle 18, le domeniche e giorni festivi dalle 9 alle 12 e dalle 13.30 alle 18) oppure su prenotazione presso gli Uffici della Comunità Montana Alto Sebino dal lunedì al venerdì.
Generalmente i gruppi ammessi sono di circa quindici persone, ma visti gli accorgimenti dovuti alla situazione attuale le partecipazioni sono limitate a dieci visitatori contemporaneamente. Per cui, sebbene in alcuni periodi non sia strettamente necessario prenotare la propria visita, è bene cercare di essere puntuali e chiamare le guide per verificare la disponibilità d’accesso (ci sembra giusto rimarcare che sono molto gentili e squisitamente disponibili).
Per quanto riguarda gli altri consigli tecnici, possiamo solo dirvi di indossare scarpe e abiti comodi, non portare cani, non raccogliere la flora e godervi la visita guidata che in un’ora, con un percorso adatto a tutti, vi condurrà in una meravigliosa area naturalistica dove anche in piena estate si può godere di un bel freschetto.
Tutto per una stella alpina
Fin dall’inizio della visita la nostra guida ci dà un primo assaggio della straordinaria scoperta della valle. Un luogo che gli abitanti locali conoscevano fin dal passato, ma il cui valore scientifico è emerso solo a partire dalla fine degli anni Trenta del secolo scorso, quando Guido Isnenghi, botanico dilettante, in visita nella zona di Piangaiano incontrò un cacciatore dotato di un accessorio quanto mai curioso per l’area: una stella alpina fissata sul cappello. Informatosi circa la provenienza del fiore, scoprì con grande sorpresa che era stato raccolto in un’area nelle vicinanze del lago di Gaiano. Informò così un’altra illustre personalità bergamasca: il sacerdote e direttore del Museo Civico di Storia Naturale Enrico Caffi. Da lì, cominciò una fitta opera di studio da parte di naturalisti e botanici.
Dopo questa prima introduzione, ci inoltriamo nel primo tratto di bosco, diretti verso il prossimo step della visita: un masso erratico.
Dio, il diavolo e i massi erratici
Cos’è un masso erratico? Di fatto, un grosso pezzo di roccia isolato, portato in tempi antichi dal ghiacciaio e poi da questo depositato sul terreno una volta ritiratosi. Quelli che si vedono lungo i sentieri della Valle del Freddo vengono di fatto dalla Valcamonica e la loro presenza è stata giustificata in tempi antichi da diverse leggende popolari.
Tra queste la leggenda della sfida tra Dio e il Diavolo, ambientata sulla cima del Monte Clemo. La posta in gioco: il controllo delle anime degli abitanti nelle valli circostanti. Una sfida vinta da Dio, che avrebbe lanciato un sasso più lontano dell’avversario. Sconfitta che avrebbe reso il Diavolo talmente furioso da pestare violentemente a terra i piedi creando una serie di buche del terreno, prima di sprofondarvi. Ed ecco che da questa leggenda troviamo una spiegazione fantasiosa anche a un ulteriore fenomeno peculiare della zona: quello delle buche del freddo. Secondo questa versione i soffi gelidi provenienti da sottoterra sarebbero così dovuti alle gelide alitate del demonio. Non a caso, un tempo la valle era conosciuta anche con un altro nome: Valle del Diavolo.
Con queste suggestioni, comincia il nostro cammino in fila indiana nella zona protetta del percorso. Dopo una scalinata in pietra attraverso il bosco, la vista si apre sulla valle verdeggiante, dove in lontananza è ancora possibile vedere i segni della cava che ha deturpato parte della zona, prima (per fortuna) dello stop definitivo dell’attività estrattiva nel 1976. È l’inizio della parte migliore della visita.
Le “buche del freddo” e l’orto botanico
Quando arriviamo in questa parte del percorso ci rendiamo subito conto che c’è qualcosa di diverso: i rumori della statale sono scomparsi, lasciando spazio a un silenzio meraviglioso mentre un vento insolitamente fresco per luglio inoltrato accarezza il gruppo. Qua e là restano tracce degli animali selvatici mentre i segni sui tronchi degli alberi tradiscono il passaggio di qualche cervo.
La guida ci mostra così una serie di buchi nel terreno: sono le bocche di alitazione dell’aria fredda che punteggiano questa area. Al loro interno escono correnti d’aria con una temperatura compresa tra 2°-4° anche in piena estate. E nonostante le fioriture migliori siano visibili nel periodo di maggio, ancora oggi è possibile ammirare piante alpine crescere nelle loro vicinanze.
Salendo lungo il sentiero giungiamo così a un’altra area contrassegnata da uno steccato, dove facciamo la conoscenza delle principali specie microtermiche del biotopo. Un piccolo orto botanico dove sono raccolte piante che generalmente è possibile ammirare solo a quote ben più alte, in alcuni casi superiori ai mille metri di altitudine. La nostra preferita è l’erba unta: pianta carnivora del gruppo, caratterizzata da una struttura funzionale che le permette di attirare e catturare gli insetti di cui si nutre grazie a foglie vischiose e al tempo stesso favorire l’opera degli insetti impollinatori, grazie a un fiore solitario che si erge più alto.
Alla ricerca delle stelle alpine
Proseguendo, il paesaggio si apre in una prateria verdeggiante, circondata dal bosco e dove talvolta emergono cumuli di detriti. Accediamo a un ultimo steccato, edificato per impedire agli animali selvatici di entrare e brucare questa parte di terreno. Qui ci aspetta un’ultima sorpresa prima di concludere la nostra visita: la vista delle stelle alpine. Dopo qualche passo accompagnati dalle indicazioni sapienti della nostra accompagnatrice, questa ci indica una serie di punti in lontananza, contrassegnati da un piccolo paletto verticale. Aguzzando la vista e grazie all’uso di un binocolo, finalmente le vediamo: le regine della flora alpina spuntano a coppie o solitarie dal terreno. Un bel finale per una gita all’insegna della natura.