Anche quest’anno la stagione estiva invita al tradizionale bagno al lago del Becco (1872m). Tra gli innumerevoli laghetti alpini che le Orobie custodiscono, il lago del Becco rappresenta una garanzia per una “puciatina” di qualità: la temperatura dell’acqua è quasi sempre gradevole (fresca ma non fredda), l’ambiente è meraviglioso e l’ingresso in acqua è agevolato dalla presenza di una spiaggetta erbosa che digrada dolcemente verso l’acqua. Rammento a chi non è avvezzo ai bagni nei laghetti di montagna che è fondamentale adottare alcuni accorgimenti prudenti per evitare brutte sorprese. A tal riguardo rimando al seguente articolo che fornisce importanti raccomandazioni.
Il lago artificiale del Becco si trova a quota 1875 metri nella conca dei Laghi Gemelli ed è il più piccolo e meno profondo dei nove bacini del sistema idraulico dell’alta Val Brembana (per questo le sue acque sono più calde). Ogni qualvolta accompagno qualche amico al battesimo del Becco, mi piace ricordare la geniale articolazione delle dighe dell’alta val Brembana: fulcro di questo complesso impianto di bacini idroelettrici è la diga di Sardegnana, che ovviamente è l’invaso più basso (a 1738m di quota) ed è in posizione centrale rispetto alle altre dighe. Da qui parte la condotta forzata che alimenta la centrale idroelettrica di Carona. A Sardegnana confluiscono due canalizzazioni sotterranee: il canale occidentale raccoglie le acque dei laghi Marcio, Pian del Becco e Pian Casere, mentre il canale orientale raccoglie quelle dei laghi Diavolo, Fregabolgia e Val dei Frati.
Le acque di due ulteriori invasi artificiali, i laghi Gemelli e il lago Colombo, confluiscono anch’esse nel lago di Sardegnana dopo aver alimentato la piccola centrale elettrica di Sardegnana. Nel loro lungo percorso collettore, questi canali raccolgono anche le acque di alcune vallette per incrementare l’apporto idrico. Con una cartina alla mano tutto diventa più semplice da comprendere. In un articolo pubblicato sull’annuario del CAI alta val Brembana del 2002 Gianni Molinari spiega che «la centrale di Carona funziona normalmente solo per otto ore nei giorni feriali, rimanendo ferma durante la notte e nei giorni festivi. Quando la centrale è ferma, l’acqua si accumula nella diga di Sardegnana. Durante l’estate tutti gli altri serbatoi restano di norma chiusi, ed a poco a poco prima dell’inverno si riempiono. Quest’acqua viene poi utilizzata durante la magra invernale (dicembre – aprile) inviandola al lago Sardegnana, attraverso i canali collettori». Praticamente tutte le acque del bacino imbrifero del Brembo di Carona vengono sfruttate a fini idroelettrici.
A tal riguardo, ricordo mio padre quando raccontava che la costruzione dei primi impianti idroelettrici in alta valle (negli anni ’20 del secolo scorso) non incontrò i favori dei mandriani fortemente preoccupati perché «se i tira fò ol ‘letrico da l’acqua, i ache fa piö ol lacc bù», cioè se veniva estratta dall’acqua l’elettricità le mucche non avrebbero più prodotto il latte buono!
Torniamo a noi. L’itinerario classico per il lago del Becco parte da Carona e segue il sentiero CAI n° 211 fino al bivio poco sotto la diga del lago Marcio. È un tragitto che non amo, vuoi per il fondo dissestato, per l’affollamento e per il fatto che trovare posteggio a Carona in agosto è spesso un problema. Prediligo invece la partenza da Branzi, in corrispondenza della cascata del Borleggia (840m), dove inizia il sentiero CAI n° 212 (diretto anch’esso al rifugio laghi Gemelli). È un percorso un po’ più erto ma diretto e il tempo che si impiega è sostanzialmente lo stesso. In un paio d’ore si giunge alla diga del pian delle Casere (1816 metri), procedendo a destra si punta al rifugio laghi Gemelli, mentre noi attraversiamo la diga e teniamo la sinistra per salire al lago Marcio (1841 metri). Qui, nei pressi dell’incrocio con il sentiero 211, deviamo per il lago del Becco (sentiero CAI n° 250) che si raggiunge in pochi minuti.
Costeggiamo la riva occidentale del lago fin quasi alla fine dove un dolce declivio erboso invita alla sosta. È questo il “lido del Becco”. Lo splash è inevitabile, con Daniele e Giovanni che ci accompagnano nella “puciatina”. Quest’anno è accaduta una cosa imprevedibile: mentre siamo immersi nel lago, all’improvviso, una mucca proveniente dai pascoli sopra il lago, si precipita al galoppo verso di noi con fare minaccioso. Dietro di lei, una dopo l’altra, altre mucche ci puntano decise. Il timore di ritrovarci con gli zaini e i vestiti lordati ci induce ad uscire repentinamente dall’acqua. Le mucche non ci mollano, pare vogliano farci intendere che quello è il loro territorio e noi ospiti indesiderati. Proviamo con ampi gesti ad allontanarle, invano. Non abbiamo alternativa, siamo costretti ad andarcene e ripieghiamo verso lidi più sicuri. Non ci è mai successo in trent’anni di bagni al Becco.
Ritrovata la tranquillità iniziamo il rientro. A tal fine propongo un itinerario alternativo, molto suggestivo e pressoché sconosciuto. Me lo ha consigliato due anni fa Martino, un giovane papà del luogo salito al lago con le bimbe per fare il bagno. Anche le mie figlie sono state “svezzate” proprio in queste acque ed entrare in sintonia con lui è stato semplicissimo. Così Martino mi ha rivelato questo interessante percorso: il sentiero della Polveriera. Il nome è attribuito alla presenza nel suo tratto terminale su Carona di due piccoli depositi di dinamite, utilizzata molti anni fa durante lo scavo del canale che convoglia le acque del lago di Carona alla condotta forzata della centrale idroelettrica di Bordogna. Anche il lago di Carona è un bacino artificiale che raccoglie le acque utilizzate dalle turbine della centrale di Carona al termine della condotta forzata che precipita da Sardegnana.
Torniamo al lago Marcio e costeggiamo quasi interamente la sua riva occidentale (sentiero 211 con direzione Carona). Poco prima della diga, in corrispondenza dell’ansa più pronunciata del lago, si diparte sulla sinistra (con direzione Ovest) una piccola traccia, non segnalata, che si addentra tra i pini mughi. Già dopo pochi metri il sentiero diviene più evidente e si può proseguire fiduciosi. Non esistono indicazioni né bolli, ma è sufficiente mantenersi sul sentiero più evidente ed evitare le pur rare deviazioni minori. La maggior parte delle app escursionistiche riporta il sentiero dettagliatamente. Immediatamente ci ritroviamo immersi nella natura più incontaminata: ci muoviamo nella quiete assoluta tra pini mughi e giovani larici, accompagnati dal dolce cinguettio delle cince. Costeggiamo una vasta torbiera, il Moio grande (nome che deriva dal basso latino molleus nel significato di “terreno molliccio”), che anticamente ospitava un lago.
Oltre la torbiera il sentiero compie un’ampia curva e procede in direzione Nord, abbassandosi di quota dolcemente. Giungiamo così al cospetto del pizzo Vacca dove, in corrispondenza di una amabile sella pascoliva, risplende la baita Tabià (1750m). Tabià è un termine molto raro sulle Orobie, è di origine veneta e indica il fienile. Il dialetto bergamasco annovera invece tabiòt che indentifica comunemente il capanno di caccia. Poco distante aggrappato agli erti pendii del pizzo Vacca spicca infatti il roccolo Tabià. Entrambe le strutture sono in ottime condizioni e d’intorno tutto è perfettamente pulito e in ordine. Un’oasi di pace e serenità.
La selletta che ospita la baita Tabià separa le valli di Branzi e di Carona. Esiste un sentiero che scende diretto su Branzi, ma mi è stato sconsigliato perché poco evidente. Perciò, alla sella, pieghiamo a destra in direzione di Carona. Lo scenario cambia nuovamente: entriamo nel regno dei rododendri e dei mirtilli che, nonostante non sia più il periodo migliore concedono ancora ai nostri palati qualche manciata deliziosa. Si scende ai margini del bosco aggirando alcune belle radure fino a quota 1550 dove, nei pressi di un pianoro si incontra l’unico vero bivio del sentiero della Polveriera: manteniamo la sinistra perché a destra si raggiunge la baita Foppone. Ora il percorso entra nel bosco e diviene più ripido e ostico ma mai pericoloso. Si transita alla base delle pareti rocciose del pizzo Vacca e, zigzagando tra gli abeti, con un po’ di pazienza si arriva ai due ex depositi di dinamite (polveriere).
Subito dopo siamo presso le case di Carona prima della diga. Per rientrare a Branzi scendiamo a prendere la strada piana, il sentiero di servizio creato dall’Enel per permettere la manutenzione e il controllo del canale di collegamento tra il lago artificiale di Carona e la condotta forzata della centrale idroelettrica di Bordogna. Alcuni tratti sono assicurati con funi metalliche e offrono scorci mozzafiato sulla vallata. In mezzoretta si giunge al bivio per Branzi. Consiglio di procedere ancora due minuti lungo la strada piana, superare il Borlegì, per giungere al balcone panoramico sulla cascata del Borleggia. La vista su Branzi e la cascata è davvero suggestiva.
Torniamo al bivio e raggiungiamo a Branzi. Mentre gustiamo un panino presso la tavernetta di Jury, con lo sguardo rivolto alla cascata, Giovanni «l’artista» ci fa notare che la prospettiva sulla cascata richiama un dipinto del maestro giapponese Hokusai, «la cascata Kirifuri». Questi flash culturali mi trovano sempre impreparato, così mi precipito in internet per cercare conferme. Effettivamente la somiglianza è davvero sorprendente. Grazie Giovanni!
P.S. Il sentiero della Polveriera, non essendo un percorso segnalato, richiede esperienza e capacità di orientamento. Non va affrontato con superficialità. Consiglio di dotarsi di una app escursionistica e di scaricare la mappa della zona prima di intraprendere il percorso. L’escursione al lago del Becco qui descritta (con partenza da Branzi) è lunga 17 chilometri con poco più di 1000 metri di dislivello positivo. Calcolare cinque/sei ore di cammino. Chi invece sceglie di partire da Carona e puntare direttamente al lago del Becco, coprirà un tragitto di 11 chilometri con un dislivello di 750 metri.
Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli.