È una domenica di fine estate, una di quelle giornate perfette dove il cielo è talmente azzurro da sembrare finto e la temperatura scalda la pelle in un tepore confortante, senza essere fastidiosa. Una giornata così sembra fatta apposta per salire un po’ di quota e per andare a rigenerare gli occhi stanchi ammirando le cime delle montagne che si stagliano contro il cielo.
Oggi scelgo di recarmi in una valle bergamasca minore, forse meno conosciuta rispetto alle sue sorelle maggiori ma non per questo meno interessante: la Valle del Riso. Per arrivarci costeggio il fiume Serio e oltrepasso l’ormai celebre e affollata Coston Beach, resa famosa dall’omonima canzone, per poi svoltare a sinistra prima di Ponte Nossa. Ed eccomi in questa piccola valle che sale fino al passo di Zambla, collegando la Val Brembana e la Val Seriana sotto lo sguardo severo e imponente del Monte Alben.
La mia prima tappa nella Valle del Riso è il Santuario della Madonna del Frassino. In posizione decisamente panoramica, è possibile arrivarci con un sentiero che parte dalla frazione Chignolo di Oneta, ma la stanchezza e la necessità di raccogliere forze per l’attività che mi aspetta nel pomeriggio hanno la meglio e decido quindi di raggiungerlo in auto. Il Santuario guarda giù verso il panorama della valle e si trova in un luogo che sembra fatto apposta per godersi qualche momento di pace.
Dietro alla struttura in ferro che riporta le parole «Ave Maria Gratia Plena Dominus Tecum» si apre il portale che dà su una chiesa di dimensioni modeste. Mi salta però subito all’occhio la splendida pala dell’abside, che scopro essere una «Visitazione» di Gerolamo da Santa Croce che risale alla seconda metà del Cinquecento. Nel Santuario ci sono altre opere di artisti importanti della zona: affreschi di Giovanni Brighenti, una «Incoronazione» di Antonio Cifrondi e l’altare in marmo bianco dei Fantoni. Sulla parete della navata di sinistra, non mancano gli ex voto di chi ha chiesto una grazia.
La costruzione del Santuario risale a dopo il 1512, anno in cui durante un pomeriggio di inizio luglio la giovane Pierina Carobbio, mentre pascolava le mucche nei pressi di un albero di frassino, fu testimone di un miracolo. Pare che Pierina avesse una malattia agli occhi che la faceva soffrire non poco, e in un attimo di dolore particolarmente intenso p regò la Madonna, che apparve davanti a lei, donandole un panno su cui aveva versato delle lacrime di sangue. Pierina Carobbio si passò il panno sugli occhi, trovando immediatamente sollievo, e in cambio promise di far costruire un santuario. Allo stesso tempo, dal terreno iniziò a zampillare una fonte d’acqua, attorno a cui venne edificata una fontana. Le sue fondamenta sono tornate alla luce solo nel 2008, dopo che nel 1983 era stata distrutta durante dei lavori.
Dietro al Santuario, oltre a una trattoria ci sono anche un monumento agli Alpini e una breve Via Crucis che si inerpica per pochi metri sul fianco della montagna. Dopo averla percorsa, approfitto di uno dei tanti tavoli da picnic disposti nei dintorni per un attimo di relax all’ombra delle fronde che si muovono nella brezza, godendomi la vista sulle montagne circostanti.
È poi il momento di dirigermi verso la seconda tappa, altrettanto iconica per la Valle del Riso.
Ho prenotato infatti una visita guidata presso l’Ecomuseo delle Miniere del paese di Gorno, che viene proposta ogni seconda domenica del mese. Il territorio di Gorno, comune all’imbocco della Valle del Riso, fa parte infatti di una conformazione geologica dove sono presenti blenda, calamina e galena, tre minerali utilizzati per la produzione di Zinco. Queste formazioni si sono costituite tantissimo tempo fa, durante l’era Mesozoica, quando il territorio era un fondale marino che poi col tempo si è sollevato fino a formare le montagne che vediamo oggi.
Le miniere di Gorno vengono sfruttate forse già in epoca romana, sicuramente intorno al 1500, quando la Repubblica Veneta le riapre e manda anche Leonardo da Vinci a visitarle in veste di ingegnere governativo. Con il passare del tempo e l’avvento della tecnologia le miniere diventano fondamentali per il tessuto economico e sociale della Valle del Riso: fanno da sfondo alle vite di intere famiglie di minatori e taissine (le donne che effettuavano una prima separazione del minerale dai materiali sterili) fino alla loro chiusura definitiva nel 1982.
L’Ecomuseo delle Miniere di Gorno è nato nel 2009 proprio con l’intento di preservare, raccontare e valorizzare la storia di questo territorio e della comunità che lo vive e l’ha vissuto in passato. E ci riesce davvero bene: nell’edificio che un tempo ospitava le scuole elementari di Gorno, la prima metà della visita guidata scorre veloce mentre scopro un mondo che si nasconde nelle viscere del terreno, fatto di pietra e di roccia, di buio, scoppi di dinamite e lavoro usurante. Un mondo che però è anche fatto di scienza, tecnica e tecnologia che hanno permesso di scavare chilometri di gallerie sotto le montagne, e di farlo anche con un certo orgoglio.
L’Ecomuseo ospita svariate testimonianze di questo mondo affascinante, e tutti gli oggetti che vi sono racchiusi sono originali, recuperati direttamente nelle miniere o donati da privati che hanno vissuto in prima persona il lavoro presso i siti minerari o in funzioni correlate. Rimango ammaliata dalle teche dedicate alle piccole meraviglie del mondo minerale, che rilucono di colori straordinari. Grazie alla preparazione e all’abilità delle guide riesco anche ad avere un’idea (quasi) chiara di come funzioni il processo di lavorazione dei minerali, ma non è tutto: l’Ecomuseo racconta anche storie di emigrazione e di salvataggi incredibili, di famiglie che si ricongiungono in Australia, di un fossile che ha 220 milioni di anni e risponde al nome di Gornogomphodon. Insomma, l’Ecomuseo delle Miniere di Gorno è una bellissima sorpresa, e sono sempre più curiosa di passare alla seconda parte della visita guidata.
Ѐ infatti tempo di recuperare l’auto e di percorrere i due chilometri che salendo verso le montagne dividono Gorno dalla Miniera di Costa Jels: ora si fa sul serio. Dopo aver indossato l’elmetto giallo e una giacca in vista della temperatura di dieci gradi che mi aspetta, sono pronta ad andare a vedere con i miei occhi le gallerie.
Questa seconda parte della visita guidata accenna all’aspetto geologico ma si concentra specialmente sul lavoro dei minatori e su tutto il procedimento estrattivo: un corposo bagaglio fatto di tecniche, gesti precisi e metodici, attrezzatura specifica. Una volta entrata in queste gallerie basse e umide, dalle pareti ricoperte di muffa come un soffice manto bianco, mi chiedo come abbiano potuto così tanti minatori resistere per ore ed ore a lavorare con i loro picconi nella roccia , coperti di polvere e con il continuo rimbombo delle esplosioni di dinamite nelle orecchie. E credo sia importante che il loro duro lavoro, così indissolubilmente legato al territorio, venga conosciuto anche da chi, come me, vive un’epoca e una quotidianità del tutto diverse.
Alla fine del percorso all’interno delle miniere, la guida conduce tutto il gruppo all’esterno, dove il tepore del sole del pomeriggio mi scalda mentre mi incammino lungo i binari su cui correvano i carrelli che trasportavano la roccia alla laveria. L’edificio si intravede tra gli alberi ed è il luogo dove prima il lavoro delle taissine e in tempi più recenti i reagenti chimici ripulivano il minerale da altri materiali.
Questa parte di percorso che si dirige verso l’uscita dal sito si snoda sul fianco della montagna ed è davvero molto panoramico. Mentre alla mia destra il sole si nasconde dietro a una nuvola che fa da cappello al monte Alben, creando fasci di luce opaca nel cielo azzurro, mi accorgo che il percorso dentro le miniere mi ha stancato, eppure ho percorso solo una piccolissima parte delle gallerie che si estendono per più di 200 chilometri. Com’è facile, in questi casi, sentirsi piccolissimi!
Il sole che scende dietro alle vette più alte segna la conclusione della mia giornata nella Valle del Riso. Sono arrivata qui senza sapere nulla e torno a casa con lo zaino pesante, colmo delle cose che ho imparato e della solita bellezza che le montagne bergamasche sanno donare ad ogni valle che abbracciano.
(Tutte le foto sono di Lisa Egman)