Quest’oggi a stuzzicare la nostra curiosità è il fiume Oglio con le sue placide acque e i borghi intrisi di testimonianze millenarie. Per gustarne appieno le peculiarità ecco un itinerario che coniuga storia, natura e architettura in armonica simbiosi.
Ci rechiamo a Credaro, ridente borgo della Valcalepio, reso celebre dalla nobilissima pietra di Credaro estratta e lavorata sulla collina di Bognatica ed esportata in tutto il mondo. È una pietra altamente versatile utilizzata prevalentemente nelle costruzioni, che ha nella resistenza e nella modellabilità le sue qualità migliori. Il colore dorato, caldo e avvolgente, dona alle abitazioni solarità ed eleganza. L’esempio più emblematico è Città Alta, con la cinta di mura e gli edifici storici, la Rocca, la Torre del Gombito e quella di Adalberto, ma anche numerosi manufatti in città bassa, come la Torre dei Caduti e le splendide ville dell’inizio del XX secolo.
Il paese di Credaro ha origini antichissime, risalenti all’età del bronzo. Il ritrovamento di monili e suppellettili riconducibili a quel periodo attestano l’esistenza di primitivi stanziamenti umani. Anche durante l’epoca romana il paese ha visto lo sviluppo di insediamenti fissi, tanto che venne costruito un vicus (un aggregato di case e terreni) a cui i Romani diedero il nome di Cretarium, appartenente al pagus di Calepio. Cretarium in latino significa «terreno argilloso» e posso testimoniare di persona quanto siano scivolosi i terreni collinari di Credaro in caso di pioggia…
Credaro vanta alcune eccellenze architettoniche a cui dedicheremo la dovuta attenzione alla fine dell’itinerario. Scegliamo di partire dall’ampio posteggio nei pressi del cimitero. Imbocchiamo la Ciclovia della Rosta che si diparte dalla rotonda adiacente al posteggio (seguire la direzione Villongo). È un tratto della Ciclovia della Cultura, itinerario che unisce Bergamo e Brescia, Capitale della cultura nel 2023.
Il tracciato, ampio e scorrevole, risale il corso del fiume Oglio ai piedi della collina di Montecchio, sulla cui sommità sorgeva anticamente l’omonimo castello, oggi trasformato in una sontuosa villa privata. In una ventina di minuti giungiamo in prossimità della grande diga, costruita nel 1933 per controllare il flusso delle acque che dal lago si riversano nel fiume. Qui sorge la contrada Fosio, un minuscolo nucleo di case che fino al 1929 faceva parte del comune di Villongo Sant’Alessandro mentre oggi è contrada di Sarnico. La complicità sociale ed economica tra Fosio e Sarnico è, tuttavia, ben più antica. Intorno alla metà del Cinquecento la località col suo porticciolo fu la sede del primo mercato di Sarnico. Qui infatti attraccavano le barche e le zattere che solcavano le acque della seriola Fusia, facilitando gli scambi commerciali tra Sarnico, Palazzolo e il territorio bresciano. Col passare del tempo, il mercato si spostò gradualmente sulle piazze centrali di Sarnico, prospicienti il lago.
È proprio la seriola Fusia che dobbiamo raggiungere, sul lato opposto della diga, ma per arrivarci è necessario spingersi fino al ponte di Sarnico e guadagnare la sponda bresciana del lago. Si transita accanto a un vecchio mulino con una gigantesca pala rotante dopo di che ci si immette sul lungolago. Il tepore del sole e la placidità delle acque fanno assaporare un clima inaspettatamente vacanziero.
Giungiamo al ponte che consiglio di attraversare sul lato Est perché regala scorci molto vasti sul lago. Approdiamo in provincia di Brescia, a Paratico. Saliamo la collina di Paratico, in direzione della chiesa. Questo poggio, meno di un secolo fa, era tutta un vigneto, oggi non più…
Andiamo alla ricerca del sentiero SVO ( Sentiero Verde dell’Oglio ) le cui indicazioni si trovano già alla seconda rotonda di Paratico. Percorriamo via s. Pietro poi scendiamo per via Molino fino al suo termine, in corrispondenza della diga sull’Oglio. Qui iniziano la seriola Fusia ed il sentiero SVO, che corre al suo fianco. La vista sul nucleo di Fosio è perfetta e se ne coglie l’antica struttura di porticciolo. Fusia, come Fosio, derivano dal termine latino fossio, scavo. Fu proprio nel lontano 1347 che i nobili Oldofredi di Iseo diedero il via allo scavo di questo canale. Ancor oggi la roggia raggiunge i paesi di Palazzolo, Chiari e Rovato ed irriga quelle campagne. Per tutto il periodo tardo-medievale e veneto le seriole rappresentavano importanti vie di comunicazione commerciale. Riporto quanto Giovanni da Lezze nel 1596 andava dicendo riguardo a questa seriola: «Dalla bocca di detto fiumme Oglio nel ricevere il fin del lago se ne cava et è formata una seriola bellissima navicabile con barche piccole atte a portare intorno mille pesi di robba, che cammina nella riva del bresciano e se ne va con navigazione sin alla terra di Palazolo del Bressano».
Con la mente proiettata a quattro secoli fa percorriamo il sentiero accanto alla seriola. Nel primo tratto l’SVO corre parallelo ai binari della linea Palazzolo-Paratico: nei mesi invernali non circolano convogli ma con la bella stagione è il “treno blu” a ridare vivacità a questa ferrovia. Inutile dire che la tentazione di percorrerne un pezzo è fortissima, anche perché dai binari la vista sull’Oglio è decisamente migliore…
Dopo circa un chilometro la ferrovia se ne va per altri lidi e rimaniamo in compagnia della seriola e degli scorci silenti del fiume. Alcuni isolotti rappresentano l’habitat ideale di cigni, cormorani, alzavole e aironi. Ne ammiriamo alcuni splendidi esemplari. Seguiamo la seriola per circa quattro chilometri, non disdegnando alcune deviazioni su tracce che si dirigono verso il fiume. Attraversiamo anche il complesso industriale Niggeler&Kupfer, azienda leader del mercato tessile fondata nel 1876 da due imprenditori svizzeri, che scelsero di costruire qui la fabbrica per affiancare all’opificio una centrale idroelettrica che rendesse l’azienda autonoma energeticamente.
Abbandoniamo il SVO all’altezza dell’intersezione del sentiero con la strada provinciale che collega Capriolo a Tagliuno. Ci fermiamo ad ammirare le splendide prospettive che da qui si godono verso il castello di Calepio e il borgo fortificato di Trebecco (nostre prossime mete). Svoltiamo a destra e scendiamo a bordo strada fino al Porto di Calepio, località sorta a ridosso del ponte sull’Oglio (portare attenzione: è solo un brevissimo tratto ma è una via molto trafficata). La località da tempo immemore è legata all’esistenza del ponte, alla navigazione sull’Oglio e a un grande mulino da grano, attivo fino alla seconda metà dell’Ottocento. Oggi al posto del mulino c’è l’imponente costruzione della vecchia filanda, notevole esempio di architettura industriale di fine Ottocento.
Oltrepassiamo il ponte e torniamo in terra bergamasca. Imbocchiamo la strada sulla destra (via provinciale XII) e immediatamente saliamo a sinistra, dove si diparte la scalinata di accesso al nucleo storico di Calepio. Una breve ma erta salita è il preludio a un tuffo nel Medioevo di grande effetto: il castello (privato), le torri, il palazzetto e la pieve di San Lorenzo, sono tutti splendidi edifici, nobilitati dalla pietra di Credaro.
Scendiamo nuovamente al Porto di Calepio e risaliamo, a fianco del fiume, in direzione di Credaro. Anche questa strada, apparentemente secondaria, in realtà si rivela piuttosto trafficata. Si supera sottopassando il portico di una cappelletta eretta in ricordo dei morti di peste del 1630 e, ben presto, la strada si impenna. Al culmine della salita è d’obbligo una sbirciatina al castello di Trebecco. Il maniero si erge su uno sperone roccioso compreso fra il torrente Uria e il fiume Oglio, in un luogo strategico che permetteva di controllare la piana alluvionale del fiume. È uno straordinario esempio di borgo medievale fortificato , risalente con ogni probabilità al X secolo, con un unico ingresso costituito da una torre. All’interno si sviluppano alcune corti disposte in maniera irregolare, separate da una stretta strada interna che divide l’intera struttura. Vari cambi di proprietà hanno portato nel tempo ad un frazionamento, che ha contribuito in modo rilevante al decadimento del borgo, ma un recente intervento di recupero ha ridato al borgo l’antico splendore.
Trebecco fu scelto dai conti Martinengo come luogo di residenza prima di trasferirsi nel più nobile castello di Calepio. I Martinengo rimasero proprietari del castello di Trebecco fino al 1811. Per comprendere al meglio la posizione strategica e l’invulnerabilità del maniero consiglio di affacciarsi dal parapetto di una delle ultime corti: sotto di noi si spalanca la profonda e impervia gola del torrente Uria.
Le sorprese non sono finite! Torniamo sui nostri passi e procediamo lungo via Cadorna che, su un lato, ha un ampio marciapiede ciclabile. Alla nostra destra si estendono i fertili campi della piana dell’Oglio. Poco oltre, in mezzo al verde, ecco sbucare il campanile della chiesetta di San Fermo e Rustico, edificio romanico riconducibile all’inizio dell’XI secolo. L’imponente torre campanaria, alta circa 16 metri, presenta nella porzione inferiore una porta tamponata, antico accesso alla chiesa; nella porzione superiore spiccano tre ordini di bifore rivolte ai quattro punti cardinali che alleggeriscono la struttura. Si tratta dell’unico esempio di campanile in facciata della provincia di Bergamo. Si può ipotizzare che la chiesa fungesse da centro devozionale e cimiteriale della prima comunità di Credaro e servisse anche alla curtis di Castel Trebecco. Il contesto agreste rende la chiesetta una vera perla architettonica.
Siamo quasi giunti al termine del nostro cammino ma vale la pena fare un’altra piccola deviazione: in via Lorenzo Lotto, nascosta tra capannoni industriali e dimore non propriamente antiche, si erge la chiesa di San Giorgio. Non se ne conoscono le origini ma risulta già citata in un documento del 1260 nonché elencata tra gli edifici ecclesiastici appartenenti alla pieve di Calepio nel 1360. Tuttavia al suo interno risalta un affresco dell’XI secolo. San Giorgio mantenne il titolo di Parrocchia sino al 1587, quando, le dimensioni ridotte, imposero la costruzione di una nuova chiesa che condannò San Giorgio a un lento declino.
Nel Cinquecento venne realizzato un cenobio di suore dell’ordine dei Serviti. Ebbe però vita breve e venne sostituito da un casolare rustico, tuttora presente, addossato alla struttura della chiesa. Tale dimora contadina, recentemente ristrutturata, ospita un centro di ascolto della Caritas. Il centro è aperto ed entriamo nel cortile: ci accolgono due cordialissimi volontari con cui ci intratteniamo. Purtroppo non sono in possesso delle chiavi per accedere alla chiesa così ci accontentiamo di uno sguardo dall’esterno. Si nota come la cascina abbia letteralmente inglobato parte della chiesa occludendone quasi totalmente la meravigliosa abside esterna.
La chiesa di San Giorgio è nota per gli affreschi realizzati da Lorenzo Lotto nel 1525. Alcuni di questi sono in una cappella sul lato Nord visibili anche dall’esterno e protetti da solide vetrate: una «Natività con i santi Rocco e Sebastiano», il «Padre Eterno» sul soffitto a vela, e figure di santi ai lati. Mi rimane un dubbio: com’è possibile che un gioiello di tale rilevanza sia soffocato da costruzioni così a ridosso? Pongo la questio ai due volontari che, assai abilmente, glissano sull’argomento…
Non ci resta che percorrere le vie di Credaro, magari passando dalla Contrada Cornale (nucleo del XV secolo ottimamente restaurato), e tornare per via Monti al punto di partenza.
P.S. l’itinerario qui descritto, semplice e poco faticoso, è lungo 13,5 km con un dislivello positivo di quasi 300m. Calcolare tre ore di cammino. Per una visita guidata alle chiese romaniche di Credaro contattare l’associazione «Il Romanico nel basso Sebino».
Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli