Nel mio girovagare per mari e monti spesso ho avuto la fortuna di imbattermi in animali selvatici delle più svariate specie. Conservo un vivissimo ricordo di quegli incontri e la collezione è quasi completa. Ma c’è un animale che non sono mai riuscito ad intercettare: il muflone. Vi chiederete quale senso possa avere parlare di un animale tipicamente mediterraneo in questa rubrica? Confesso che per me è stata una grande sorpresa scoprire l’esistenza del muflone in terra bergamasca!
Il muflone è un bovide dalle caratteristiche corna ricurve, più tozzo di uno stambecco ma egualmente agile e scattante. Ama rifugiarsi nei boscosi pendii scoscesi senza tuttavia disdegnare il pascolo in zone meno impervie. È diffuso soprattutto nelle isole del Mediterraneo. Il carattere schivo e timoroso e l’innata diffidenza verso l’uomo lo rendono un animale difficilmente avvistabile. L’ho spesso cercato nelle mie scorribande isolane senza mai avere la fortuna di incontrarlo.
Ebbene, nel 1993 il servizio caccia e pesca della Provincia di Bergamo ha sperimentato l’introduzione di nove esemplari di muflone presso il pizzo di Casnigo. L’esperienza è stata ripetuta con successo, pochi anni dopo, sul monte Bronzone in comune di Predore e, nel 2011, a Ruspino in comune di San Pellegrino. Ad oggi le colonie di questi ungulati contano qualche centinaio di esemplari. Per questo motivo l’escursione di oggi ha come meta la Conca del Farno in Valgandino, alla ricerca dei mufloni orobici.
In compagnia di Sabrina e Simone scegliamo di partire dal Santuario della S.S. Trinità di Casnigo per passare proprio nei paraggi del pizzo di Casnigo, luogo di introduzione dei primi esemplari. Il santuario della S.S. Trinità è una pregevole costruzione romano-gotica posta su una collinetta, a 700 m di quota. Dal suo sagrato si gode di una vista invidiabile sulla media valle Seriana e sulla Valgandino. La chiesa cela tesori artistici di grande suggestione, tra cui spicca un grande affresco attribuito a Cristoforo Baschenis, realizzato verso la fine del ‘400 raffigurante il Giudizio universale. Tale eccellenza è valsa a meritarsi l’appellativo di “Sistina della Bergamasca”. La chiesa apre la domenica mattina dei mesi estivi e in rarissime altre festività. Consiglio vivamente una visita, magari in occasione della tradizionale processione dei Re Magi la sera del 5 gennaio.
Dal posteggio del Santuario della S.S. Trinità seguiamo le indicazioni del sentiero CAI n° 543 che sale seguendo la strada cementata diretta all’altro veneratissimo santuario casnighese, la Madonna d’Erbia. Pochi minuti di cammino e un cartello indica la deviazione a destra. Seguiamo una costa erbosa alternando tratti di prato a boschetti di giovani faggi e ginepri. Incontriamo gruppi di cascine che un tempo erano vere e proprie frazioni abitate tutto l’anno dai contadini, mentre oggi sono state trasformate in seconde case.
Spiccano dinnanzi alle abitazioni le immancabili piante di noce. Era tradizione presso il mondo contadino piantare un noce in occasione della nascita di una figlia. La pianta veniva tagliata quando la figlia convolava a nozze e il ricavato dalla vendita del prezioso legname veniva utilizzato per arricchire la dote. Laddove non si rendeva necessario il taglio, il noce poteva garantire una gradevole ombreggiatura nei mesi estivi mentre nei mesi autunnali dilettava i palati con i suoi gustosi frutti. A tal proposito mi piace ricordare la frase che ripeteva la cara mamma dell’amico Paolo quando, ai tempi del Liceo, nelle pause di studio pomeridiano, ci offriva pane e noci: pà e nus, mangià de spus! nus e pà, mangià de cà!
In questo alternarsi di paesaggi mutevoli e ricordi indelebili il cammino procede agile e, in meno di un’ora, sbuchiamo sulla strada asfaltata che da Barzizza sale alla conca del Farno. La rinomata conca, meta molto frequentata in ogni stagione dell’anno, regala sempre pregevoli scorci. Purtroppo rimangono due note stonate a contrasto con l’amenità del luogo: la mastodontica ex colonia delle Orsoline che per molti anni ha ospitato migliaia di ragazzi (ormai destinata all’abbattimento per ospitare una struttura di accoglienza turistica di dimensioni decisamente più contenute) e i tralicci dello skilifta testimoniare l’ennesimo fallimento dell’imprenditorialità sciistica in terra bergamasca degli anni settanta.
Superiamo i numerosi posteggi in prossimità della colonia e procediamo lungo la carrozzabile che attraversa tutta la conca e si dirige verso la località la Montagnina. Siamo a quota 1250m. Con un percorso che inizia ripido per poi addolcirsi, in poco meno di tre chilometri, siamo ai piedi del Pizzo Formico nei pressi della pratosa piana della Montagnina, che d’inverno ospita la rinomata pista da sci di fondo. Pur trovandoci a soli 1450m di quota, l’origine carsica della zona contribuisce a creare un microclima particolarmente rigido che in pieno inverno porta il termometro a registrare temperature decisamente anomale. Il 23 febbraio del 2018 si sono registrati – 33 gradi e il 12 gennaio di quest’anno – 29 gradi! Non spaventiamoci: quando il sole entra nella piana le temperature risalgono velocemente tanto che spesso mi è capitato di sciare a mezze maniche.
Oggi è una giornata strana, le nebbie mattutine tipicamente autunnali non si dissolvono mentre in lontananza risaltano le cime delle Orobie completamente assolate. Decidiamo comunque di effettuare il giro ad anello di tutta la conca, sempre bello e divertente.
Nei pressi della baita che funge da spogliatoio della pista da fondo imbocchiamo la stradella che conduce ai 1536m del rifugio Parafulmine. Il rifugio è un ottimo punto di appoggio per i numerosi escursionisti, sciatori e bikers che frequentano la zona. Nei mesi autunnali è aperto dal giovedì alla domenica. Prendiamo la ripida scorciatoia che punta dritta verso il rifugio.
Alle spalle del rifugio c’è una collinetta dalla cui sommità, nelle giornate limpide, si gode di un bellissimo panorama sulla Valgandino, sulle montagne soprastanti il Lago d’Endine e, più in lontananza, sui monti del Sebino. Dalla collina procediamo in direzione Est seguendo una traccia di sentiero che tocca alcune belle panchine posizionate nei punti sosta del “Giro delle malghe”. Anche questi prati mostrano evidenti segni di devastazione ad opera dei cinghiali. In pochi minuti ci troviamo a scendere verso il sottostante passo dei morti della Montagnina (1483m), caratteristico per la tribulina votiva (edicola o cappelletta) e la pozza d’acqua ricca di vegetazione palustre.
Raggiunto il passo seguiamo a sinistra la carrareccia che scende dolcemente verso la vicina baita di Montagnina. Superata la baita imbocchiamo sulla destra il sentiero che conduce alla evidente Forcella Larga (1470m). Con percorso quasi pianeggiante in breve siamo alla Forcella, una splendida finestra sull’alta valle Seriana e la piana di Clusone. Spiccano la bronzea campana degli alpini di Gandino e Clusone ed i ruderi della Capanna Ilaria, rifugio costruito nel 1928 per accogliere i numerosi scialpinisti che in quegli anni si cimentavano nella famosa traversata del Formico che andava da Casnigo a Clusone sci ai piedi (bei tempi!). Nei primi anni ’40 si registrò la caduta del tetto, preludio al definitivo decadimento della costruzione.
Dalla Forcella procediamo in direzione Nord-Ovest seguendo il sentiero (CAI n° 549) che con alternanza di tratti ripidi e traversi pianeggianti conduce alla maestosa croce del pizzo Formico (1636m). Il panorama generalmente merita una sosta contemplativa. Purtroppo oggi le nebbie e il freddo ci inducono ad una repentina discesa lungo il sentiero CAI n° 542 che, seguendo la dorsale, ci riconduce verso la conca del Farno.
Siamo nel territorio dei mufloni. Il nostro sguardo si volge frequentemente a curiosare gli impervi versanti Nord del Pizzo Formico, ahimè invano! Con fiducia proseguiamo convinti di intercettarli più in basso. Torniamo presso la conca del Farno non prima di aver deviato verso il bellissimo roccolo del Farno, posto sul crinale appena sopra il sentiero. Poco prima della ex Colonia abbandoniamo la strada mantenendoci sul sentiero CAI n° 542. Si entra subito nel bosco perdendo quota rapidamente. Raggiungiamo in sequenza alcune baite che mantengono l’integrità di un tempo e in breve ci ritroviamo nei pressi del pizzo di Casnigo.
Non dobbiamo aspettarci la classica cima con la bella croce. In realtà siamo di fronte ad una sommità poco pronunciata e ricoperta da un fitto bosco che nasconde il panorama. Per accedervi, in corrispondenza delle cascine dol Pèzz, bisogna abbandonare il sentiero e seguire il crinale. Proviamo a raggiungere la piccola sommità muovendoci con circospezione nella speranza di incontrare i mufloni proprio nella zona in cui sono stati liberati quasi trent’anni fa. Nulla.
Con un pizzico di delusione ritorniamo sul sentiero principale e dopo una breve discesa in un bosco di betulle raggiungiamo i prati soprastanti la Madonna d’Erbia. A preannunciare l’imminente conclusione della gita, ecco comparire il campanile proprio in corrispondenza di un bellissimo roccolo. Un clic è d’obbligo. Scendiamo ancora un poco fino a raggiungere la strada che conduce alla Madonna d’Erbia. La discesa sull’asfalto in meno di un chilometro ci riporta nuovamente al santuario della S.S. Trinità.
Un naturale scetticismo riguardo alla reale presenza dei mufloni in questo territorio giunge spontaneo, così, appena rientrato a casa, mi sono tuffato in internet ed ho trovato un paio di video eloquenti che fugano ogni dubbio. Torneremo sulle tracce dei mufloni!
P.S. l’itinerario proposto ha uno sviluppo di circa 17 km con 1100m di dislivello. È percorribile quasi integralmente anche in mountain bike (ad eccezione della salita al Pizzo Formico) ed è un ottimo allenamento per gli appassionati di Trail running (tranne un paio di rampe si riesce a correre per quasi tutto il tracciato).