Il monte Cancervo, con la sua mole frastagliata e imponente, da sempre incuriosisce chi percorre la valle Brembana. Un nome così singolare attizza la fantasia, tant’è che sembra che l’origine sia una contraffazione, per opera di cartografi, del termine Cancerbero, nome con il quale è registrato nelle mappe e nei libri del XIX secolo. Sarebbe quindi derivato da Cerbero, il mitologico cane a tre teste con il corpo ricoperto di serpenti, feroce animale messo a custodia della porta dell’Ade perché nessuno dei morti ne potesse uscire. Gli unici che riuscirono a domarlo furono Eracle e Orfeo. Il termine iniziale Can dovrebbe aver avuto la funzione di specificare che Cerbero è un cane. Dubito fortemente che i nostri antenati siano arrivati a scomodare la mitologia greca per dare il nome a questo monte, ma devo ammettere che è un’ipotesi molto affascinante. Ricordo che quando avevo le figlie piccole, per distrarle dalle fatiche del cammino in salita, solevo inventare storie di fantasia legate ai nomi dei luoghi bergamaschi e il Cancervo era uno dei soggetti più utilizzati.
Nonostante dal fondovalle presenti un aspetto arcigno, il Cancervo è una cima arrotondata e dolce che può essere raggiunta facilmente seguendo il sentiero CAI n° 136 con partenza dal piccolo posteggio in località Foppetta (1100m), sulla strada che collega la Pianca (San Giovanni Bianco) a Cespedosio (Camerata Cornello).
Per non essere da meno rispetto a Eracle e Orfeo, quest’oggi propongo un sentiero di salita alternativo: il canalino dei sassi. Compiremo così un’escursione ad anello in un ambiente incontaminato e intrigante.
Dal posteggio sopra indicato, torniamo a ritroso per 400m lungo la strada asfaltata in direzione della Pianca, fino ad incontrare, sulla destra, un cartello di legno con l’indicazione «canalino dei sassi». Iniziamo la salita che, quanto a pendenze, non ha nulla da invidiare ai più blasonati vertical delle Orobie. Dopo pochi minuti il sentiero si raddrizza facendoci guadagnare quota rapidamente con stretti e ripetuti zig zag. Alzando gli occhi ammiriamo una serie di torrioni calcarei, mentre alle nostre spalle i panorami sulla valle Brembana divengono ampi e aerei. Più che un sentiero, sembra una traccia di cacciatori ma il percorso è sempre evidente e contrassegnato da una serie di bolli gialli. Nulla di tecnico, occorre solo un po’ di allenamento per affrontare agilmente la salita.
Giunti alla base dei torrioni inizia un breve traverso, unico momento di respiro, dopo di che si riprende a spingere entro un canale sassoso (da qui probabilmente il nome del sentiero). Uno sforzo finale ed eccoci allo scollinamento (1610m). Il paesaggio cambia improvvisamente: ora attraversiamo una serie di pianori erbosi e piccole conche di arbusti, serpeggiando tra divertenti pinnacoli rocciosi. D’ora in poi il silenzio è d’obbligo, le probabilità di imbattersi in animali selvatici sono alte. Siamo nell’habitat ideale di cervi e camosci. Proprio quest’abbondanza di animali selvatici ha richiamato in zona il lupo che, di tanto in tanto, viene a procurarsi cibo da queste parti.
Procediamo in falso piano sempre seguendo i bolli gialli, ora addentrandoci in boschetti di faggi, ora attraversando pascoli ancora intatti. Questa è la zona in cui il 13 luglio 1914 si nascose Simone Pianetti di Camerata Cornello, la cui storia, cruenta e coinvolgente al tempo stesso, merita di essere raccontata. Il Pianetti balzò agli onori della cronaca per una vendetta personale perpetrata nei confronti dei responsabili di una sorta di ostracismo popolare delle due attività che, in tempi diversi, aveva aperto tra il suo paese e San Giovanni Bianco: dapprima una taverna e successivamente un mulino elettrico. Dopo un florido inizio, ben presto le sue attività vennero boicottate e lui bollato come libertino, anarchico e anticlericale. Sentitosi vittima di un’ingiustizia popolare decise di vendicarsi di persona e quella mattina, imbracciato il fucile, nel volgere di poche ore uccise sette persone, tutte in qualche modo responsabili del fallimento delle sue attività e delle maldicenze: il dottore, il segretario comunale e sua figlia, il calzolaio, il parroco, il messo comunale e una donna rea di un debito in denaro mai saldato.
Dopo l’ultima esecuzione il Pianetti riparò sul Cancervo, zona che conosceva molto bene essendo lui esperto cacciatore, e fece perdere ogni traccia. Da qui inizia la leggenda: chi racconta che sia stato nascosto da alcuni pastori per poi fuggire lontano, chi dice di averlo avvistato sul monte Pegherolo (sopra Mezzoldo) e chi ipotizza che sia morto cadendo in un dirupo. Nel frattempo, il Pianetti era divenuto una sorta di idolo popolare per essersi fatto giustizia da solo e sui muri della zona cominciarono ad apparire scritte a lui inneggianti, come: «W Pianetti, uno in ogni paese». Molto probabilmente poté contare sull’appoggio di pastori e cacciatori che ne favorirono la latitanza e, in un secondo momento, la fuga, avvenuta oltreoceano. C’è stato chi ha dichiarato di averlo incontrato in Sudamerica e chi ha raccontato di averlo intravisto aggirarsi in quel di Cantiglio (versante sud del Cancervo), dopo la seconda guerra mondiale, per poi dileguarsi nuovamente nei boschi. Secondo alcuni, invece, il Pianetti tornò in Italia sotto falso nome per accasarsi a Milano presso la dimora del figlio, dove morì nel 1952.
Torniamo al nostro sentiero: in corrispondenza di un bivio non segnalato (1650m), anziché procedere in piano e raggiungere la baita del Cancervo, accorciamo il percorso deviando a destra alzandoci di quota. In breve ci connettiamo al sentiero principale proveniente dalla baita e diretto alla cima. Senza troppa fatica e in un paesaggio fatto di prati, roccette e scorci spettacolari, eccoci alla croce di vetta (1831m).
Da qui si gode di un ampio panorama sulla valle Brembana a sud, sulla val Taleggio ad ovest, verso le Orobie brembane a nord, con il dirimpettaio monte Venturosa in primo piano. Dalla croce procediamo verso nord in direzione del sottostante passo di Grialeggio, valico che separa il Cancervo dal monte Venturosa. Il sentiero, sempre evidente, percorre il crinale in discesa e raggiunge in poco tempo il passo di Grialeggio (1690m). Al passo intercettiamo il sentiero CAI n° 136 che riconduce al punto di partenza.
La giornata è splendida, il cielo terso e l’aria fresca al punto giusto. Perché non approfittarne? Così decidiamo di fare una capatina sul Venturosa. Il nome Venturosa è probabilmente un’aferesi di «avventurosa» e, in effetti, se ci si allontana dal sentiero, il terreno diviene assai ostico e insidioso.
Ignoriamo la deviazione per il passo Baciamorti (segnavia CAI n°102) e ci manteniamo sempre sul sentiero del crinale. In pochi minuti si guadagnano i 1834m della bella baita di Venturosa (conosciuta anche come baita del Giacom) con i suoi verdissimi pascoli. Ricordo di aver partecipato, all’inizio degli anni ’90, ad alcune edizioni del Rally del Cancervo, una competizione di corsa in montagna a coppie, in cui i partecipanti dovevano trasportare nello zaino una zavorra di tre chili fatta di sabbia da utilizzare per la ristrutturazione della baita del Giacom. L’arrivo era proprio in corrispondenza della baita dove si depositava la zavorra. Un modo intelligente per contribuire alla sistemazione delle baite d’alpeggio.
Risaliti i prati della baita del Giacom, ci portiamo all’attacco dell’erta finale, un po’ sassosa ma facile. Pochi sbuffi ed eccoci in vetta (1999m). Dalla croce il panorama è ancora più ampio di quello di cima Cancervo, specie verso nord, andando a raggiungere le Alpi Retiche. Nelle giornate più limpide, lo sguardo arriva fino alle innevate cime dell’Oberland Bernese. Anche la vista sulla val Taleggio è completa e suggestiva.
Prima di ripartire mi porto sul bordo settentrionale del monte per scrutare il lago di Cassiglio, nuovamente pieno d’acqua, e il passo di Baciamorti, storico valico di collegamento tra la val Taleggio e la val Brembana. Torniamo sui nostri passi fino al passo di Grialeggio per prendere il sentiero n° 316. Da qualche anno questo sentiero è stato allargato e sistemato rendendo il cammino filante e piacevole.
P.S. L’itinerario qui descritto, comprensivo della salita al monte Venturosa, è lungo circa 10km con un dislivello positivo di 1100m. Calcolare quattro ore abbondanti di cammino. Suggerisco di affrontare il canalino dei sassi con un paio di bastoncini per facilitare l’ascesa. Consiglio anche di fare scorta d’acqua presso la fontana a fianco della chiesa della Pianca: non si incontreranno altre sorgenti lungo il percorso.
(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli eccetto dove diversamente indicato)