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Su, verso l’anello dei Campelli

Articolo. Risaliamo quest’oggi i sinuosi meandri del torrente Stabina, estrema diramazione occidentale dell’alta Valle Brembana, fino all’abitato di Valtorta, che deve il nome proprio alla tortuosa ed aspra conformazione del territorio

Lettura 6 min.
Risalendo le piste verso i piani di Bobbio

Nei secoli passati fino ai primi anni del Novecento questa sorta di isolamento geografico dalla valle Brembana privilegiò gli scambi commerciali di Valtorta con la Valsassina, attraverso i piani di Bobbio. Inoltre, la considerevole distanza dai centri nevralgici del potere, conferì a questi territori una completa autonomia amministrativa. Ciò avvenne sia quando la comunità stabina era sotto il dominio del Ducato di Milano sia quando passò sotto il controllo della Repubblica veneta. L’autogoverno, i frequenti contatti con le popolazioni della Valsassina e del lago, i pascoli rigogliosi e la presenza di importanti miniere di ferro conferirono un discreto agio economico alle popolazioni della vallata ed una inconsueta vivacità culturale per una comunità di montagna.

Tale indipendenza amministrativa stimolò nella popolazione una spiccata attitudine “politica” tanto che uno dei soprannomi dei valtortesi è proprio «aocàch» (avvocati). La tradizione mineraria e l’arguzia dei popoli stabini e brembani, tra il XVI e il XVII secolo, diede vita alla invenzione del forno bergamasco che può essere considerato un vero e proprio antesignano del moderno altoforno: sfruttando i corsi d’acqua presenti in abbondanza nel territorio vennero realizzati dei mulini che azionavano grandi mantici per alimentare il fuoco dei forni. Si aumentava così il gradiente di combustione accelerando i processi fusori del minerale. La principale produzione metallurgica di Valtorta era legata alla realizzazione di utensileria e di chiodi. Per questo un altro appellativo dei suoi abitanti è «ciodaröi» (costruttori di chiodi).

Superiamo il paese e risaliamo la valle fino a Ceresola (dal latino ceresium, ciliegio, ad indicare la presenza di ciliegi), località da cui partono gli impianti sciistici che raggiungono i piani di Bobbio. Dall’ampio posteggio (1345m) ci dirigiamo verso i piani di Bobbio seguendo la strada di servizio delle piste da discesa. Superata una vasca per l’innevamento artificiale (1483m) si entra nella valle Lavazzero. La strada piega a destra e risale a tornanti nel bosco con pendenza regolare. Per guadagnare tempo seguiamo invece la ripida traccia che risale la pista da sci. In breve e con qualche affanno, guadagniamo i 1715m dei piani di Bobbio, in corrispondenza della stazione di arrivo della seggiovia Fortino. I piani di Bobbio devono il loro nome all’abbazia di San Colombano di Bobbio sita in val Trebbia (provincia di Piacenza) che era proprietaria dei pascoli utilizzati per l’alpeggio estivo del proprio bestiame. Per un attimo provo ad immedesimarmi nei pastori piacentini alle prese con la lunghissima transumanza dalla val Trebbia ai piani di Bobbio!

La vista si apre sui grandi pascoli bobbiesi mentre l’orizzonte arriva fino alle Grigne. Qui si incontrano le prime indicazioni per «l’anello dei Campelli» che noi seguiremo in senso antiorario. Il percorso diviene molto più dolce e ci dirigiamo agevolmente verso il rifugio Lecco mentre i piani di Bobbio iniziano a brulicare di escursionisti, per la maggior parte saliti quassù con gli impianti da Barzio.

In pochi minuti perveniamo al rifugio Lecco (1777m), posto all’imbocco della valle dei Camosci, in un suggestivo anfiteatro naturale dominato dalle pareti rocciose dello Zucco Pesciola, dello Zuccone Campelli e dello Zucco Barbesino. Su queste rocce dolomitiche hanno arrampicato nomi prestigiosi dell’alpinismo: il triestino Emilio Comici, il lecchese Riccardo Cassin, il milanese Vitale Bramani (l’ideatore delle celeberrime suole Vibram) e molti altri. Nei pressi del rifugio, a sedurre gli escursionisti, ci sono un paio di invitanti amache al cui richiamo Marialuisa (con noi anche in questo giro) non riesce a resistere!

Dal rifugio, dopo aver aggirato un altro invaso per l’innevamento artificiale, raggiungiamo la bocchetta di Pesciola (1784m), valico posto sul bordo meridionale dei piani di Bobbio. Siamo all’inizio del sentiero CAI n° 729, antico e ardito percorso di collegamento tra i piani di Bobbio e i piani di Artavaggio. Viene anche chiamato «sentiero degli stradini» perché quando in valle Brembana, nei primi decenni del Novecento, i numerosi cantieri stradali abbisognavano di manodopera, questo tracciato veniva percorso dalle maestranze della Valsassina per raggiungere più velocemente il luogo di lavoro. È un sentiero attrezzato con alcune corde fisse nei punti più esposti. Non presenta difficoltà particolari, richiede solo un pizzico di attenzione in un paio di passaggi, sempre attrezzati con catene.

Il sentiero degli stradini attraversa i ripidi pendii meridionali dello Zucco Pesciola e dello Zuccone Campelli con un andamento prevalentemente pianeggiante. Dalla bocchetta guardando verso Sud in val del Faggio si intravede, poco più in basso, la baitella di Pesciola. Il 21 febbraio 1944 questa minuscola casetta fu teatro di una cruenta imboscata nazista ai danni di tre partigiani barziesi (l’interessante racconto dell’episodio è narrato con dovizia di particolari al seguente link).

Il cammino procede spedito mentre i prati lasciano spazio alle rupi rocciose immergendo il viandante in un paesaggio particolarmente suggestivo. Giungiamo al tratto attrezzato, è il battesimo della ferrata per Marialuisa. Procediamo con attenzione e prudenza ma le difficoltà sono minime al punto che la voce di Marialuisa continua simpaticamente ad echeggiare tra le pareti e i pinnacoli rocciosi. Superato il tratto attrezzato si prosegue comodamente mentre si intravedono, innanzi a noi, le prime radure dei piani di Artavaggio, dominate dall’inconfondibile silhouette del monte Sodadura.

In meno di un’ora dal rifugio Lecco raggiungiamo la bella conca della casera Campelli (1783m) con la sua caratteristica pozza naturale. Si odono ancora i campanacci delle mucche al pascolo nonostante siamo a fine agosto. Proseguiamo in direzione ovest risalendo un breve pendio pratoso ed ecco apparire improvvisamente il rifugio Gazzaniga Merlini (1889m), arroccato su una spettacolare rupe rocciosa. Ci troviamo a metà del nostro percorso ad anello e per chi lo desidera, è possibile raggiungere il rifugio con una piccola deviazione. Noi tiriamo dritto lungo il sentiero che risale fino ad intercettare il sentiero CAI n° 101 a quota 1850m. Lo seguiamo in direzione nordovest fino alla baita la Bocca (1923m).

La giornata splendida e la disinvoltura con cui Marialuisa ha superato il tratto attrezzato del sentiero degli stradini suggeriscono una deviazione verso la cima dello Zuccone Campelli (2175m), massima elevazione della zona. Poco oltre la baita, abbandoniamo il sentiero n° 101 e seguiamo le evidenti indicazioni per la vetta. La deviazione non è proprio breve (calcolare un’ora abbondante tra andata e ritorno) e il tratto finale, tra l’anticima e la cima, è attrezzato con funi metalliche per superare un breve salto di roccia. Nulla di estremo ma sono necessari assenza di vertigini e un minimo di dimestichezza con i passaggi su roccia anche perché le corde metalliche servono per superare un tratto in discesa e arrampicare in discesa è più complicato.

A chi non se la sente di affrontare i passaggi attrezzati vale la pena ricordare che la sosta sull’anticima consente comunque di godere dei medesimi panorami della cima. Un paio di dritte su come utilizzare le catene ed ecco Marialuisa guadagnare la croce dello Zuccone Campelli. Il panorama è meraviglioso: sotto di noi con vista mozzafiato i piani di Bobbio e in lontananza, verso Ovest, la Grignetta e la Grigna; a Nord fa bella mostra di sé il maestoso pizzo dei Tre Signori, che funge da contraltare alle Alpi valtellinesi. Via via, volgendo lo sguardo verso est si scorgono tutte le cime delle Orobie brembane. Scrutando verso sud i piani di Artavaggio e la val Taleggio sono la premessa alla vastità della pianura che si estende a perdita d’occhio fino agli Appennini. Lo sguardo completa il giro panoramico dopo aver raggiunto l’inconfondibile profilo del monte Resegone.

Affascinati da tanta bellezza torniamo sui nostri passi. Ripetiamo il passaggio roccioso, che, al ritorno, si rivela molto più abbordabile quindi scendiamo a riprendere il sentiero n° 101 che percorriamo in direzione dei piani di Bobbio. Questo tratto, un poco monotono, viene chiamato «sentiero dei Mughi» e conduce, dopo essersi addentrato in alcune conche selvagge, alla bocchetta dei Mughi (2030m). Fin qui di pini mughi gran pochi, ma nei pressi della bocchetta, se ci affacciamo nella conca sottostante (che si chiama, appunto, valle dei Mughi) ne comprendiamo la toponomastica. Dalla bocchetta il sentiero n° 101 riporta ai piani di Bobbio passando sotto le imponenti pareti dello Zucco Barbesino. Il tratto finale lambisce l’ardita falesia dell’Era Glaciale, frequentata parete con impegnative vie d’arrampicata, recentemente rinnovate.

Siamo tornati nei pressi della stazione d’arrivo della seggiovia Fortino e l’anello dei Campelli può dirsi completato. Non ci resta che scendere ai piani di Ceresola mentre la fame sospinge i nostri passi con estrema determinazione. Raggiungiamo le baite di Ceresola (nei prati sotto il posteggio) dove un’invitante cascinale ben ristrutturato e con tavolate all’aperto invoglia alla sosta. Con immensa soddisfazione gustiamo gli ottimi piatti preparati con passione e originalità dai giovani gestori del Risto Bar Ceresola (verificare i giorni di apertura nei mesi autunnali).

P.S. l’escursione qui descritta è lunga poco più di 14 km con 1050m di dislivello positivo (calcolare circa 5 ore di cammino). La deviazione allo Zuccone Campelli richiede ulteriori 3,5 km e 250m di dislivello (un’ora abbondante).

P.P.S. il paese di Valtorta merita indubbiamente una capatina: l’Eco-Museo etnografico rappresenta un’autentica testimonianza della vita del passato con la visita del museo vero e proprio, allestito nell’ex casa della Pretura, e attraverso l’itinerario sul territorio che comprende il maglio-mulino, la segheria, le fucine, la miniera e la chiesa di S. Antonio abate della Torre, di origine romanica. In paese si trova anche la latteria sociale di Valtorta, fondata nel 1954, dove è possibile acquistare i prelibati formaggi lavorati con il latte raccolto da 12 allevatori locali.

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