Shizo Kanakuri è un ragazzo di buona famiglia nato a Tamana, una cittadina nel sud del Giappone. Basso ed esile di corporatura ha un bel viso rotondo che si illumina quando sorride. Il suo profondo senso del dovere lo porta ad accettare l’imposizione del padre di iscriversi all’università in una facoltà che lui, probabilmente, non avrebbe mai scelto. La sua passione è invece un’altra: ama correre in mezzo ai boschi, su e giù per le colline. Si sente vivo, libero, lontano dalla malinconia di tutti i giorni!
Nella primavera del 1911, l’imperatore giapponese Mutsuhito – grande riformatore delle politiche economiche e sociali del paese – interpella Jigoro Kano, rettore dell’università di Tokyo nonché ideatore del Judo. Il pretesto è quello di inviare ai Giochi Olimpici di Stoccolma una rappresentativa giapponese in grado di ben figurare. È importante che il Giappone si riveli al mondo, anche nello sport, e le Olimpiadi di Stoccolma del 1912rappresentano una ottima opportunità.
All’appello organizzato dal rettore, Shizo risponde immediatamente e con lui altri novantasei giovani. La selezione è molto severa e soltanto due studenti vengono dichiarati idonei: il velocista Yahiko Mishima e Shizo Kanakuri, il corridore delle colline.
Il tempo stringe e Jigoro Kano chiede ai ragazzi di allenarsi almeno un’ora al giorno tutti i giorni al termine delle lezioni. Per i ragazzi è un grande sacrificio conciliare studio e allenamenti, ma accettano. Tuttavia ben presto il rettore si accorge che un’ora al giorno non è sufficiente! Interviene allora il Ministro della Istruzione che accorda, in via del tutto eccezionale, il permesso di assentarsi dalle lezioni per allenarsi. Shizo e Yahiko, sollevati dal peso dello studio, riescono a prepararsi con rigore e intensità: in palio, molto più della gara, c’è da difendere non solo il proprio onore ma anche quello dell’imperatore!
E Shizo si fa vedere pronto: qualche mese prima dei Giochi realizza un sorprendente 2h 32’ nella maratona, migliore prestazione mondiale dell’anno. Ma sorge un altro problema: per partecipare ai Giochi non bastano i pochi soldi messi a disposizione dalla neonata Associazione Giapponese di Sport Amatoriali. Così interviene il rettore Kano e organizza una colletta tra professori e studenti: in pochi giorni si raccolgono i 2.000 yen necessari a finanziare la trasferta svedese.
Shizo e Yahiko, con tanto entusiasmo e con il pesante fardello dell’investitura imperiale, intraprendono il viaggio: partono in treno da Shinbashi, raggiungono il porto di Tsuruga, qui si imbarcano e in nave raggiungono Vladivostock; salgono in treno e percorrono tutta la Transiberiana a bordo di un vagone malmesso cibandosi con quel che trovano; giungono a Stoccolma dopo un’odissea durata diciotto giorni.
Sono distrutti ma sono in tempo per la cerimonia inaugurale. Allo stadio olimpico di Stoccolma, dinnanzi a sua maestà il re Gustavo V, inizia la sfilata delle nazioni. “Yahiko, portala tu, sei più alto, deve risaltare bene la nostra bandiera” esclama Shizo. Ed ecco il turno del Giappone: entra Yahiko sventolando con maestria la bandiera del Sol Levante e, pochi passi dietro, appare Shizo, fierissimo, con il cartello “NIPPON”!
I due giapponesi proseguono la loro preparazione in terra svedese con scrupolo e senza concedersi alcuna distrazione. Ma l’ansia cresce man mano che si avvicina la data fatidica. In quei giorni hanno avuto modo di osservare gli atleti delle altre nazioni e si sono resi conto del valore degli avversari.
Finalmente arriva il 14 luglio. Shizo è molto nervoso. Nei giorni precedenti il suo compagno Yahiko ha gareggiato nei 100m, 200m e 400m, ma i risultati sono stati molto deludenti. Eliminato nelle batterie, è riuscito ad agguantare solo la semifinale dei 400m ma, per la stanchezza, non si è presentato al via. Tutta la responsabilità del successo della spedizione nipponica grava ora sulle spalle di Kanakuri.
L’organizzazione, memore dei controversi episodi avvenuti nel passato, ha preso alcune decisioni che contribuiscono ad innalzare il livello di ansia: sono vietati i ristori ufficiali, nessun tecnico può avvicinarsi agli atleti e nessun ciclista può pedalare al loro fianco. La partenza è prevista alle 13.45 ma il termometro, quel giorno, registra l’inconsueta temperatura di 32 gradi.
Lo starter è pronto, i maratoneti sono sessantotto, tutti accalcati. Appena si ode lo sparo, le gambe iniziano a mulinare vorticosamente, volano spintoni, qualcuno inciampa, ma l’entusiasmo della folla sospinge i maratoneti verso sogni di gloria.
Nessuno osa replicare alla partenza dissennata del Finlandese Tatu Kolehmainen, che conduce fino a metà gara per poi ritirarsi esausto. Shizo Kanakuri non delude le aspettative e si porta alle spalle del finlandese. A fargli compagnia il sudafricano Ken McArthur. I due procedono sempre appaiati, e, dopo il ritiro di Kolehmainen, si ritrovano al comando della gara. Hanno un bel vantaggio sui secondi. Intorno al 30° chilometro il sudafricano allunga, Shizo non regge al cambio di ritmo imposto da McArthur e si stacca. Pesa enormemente nella sua testa l’immagine di McArthur che si allontana e il giapponese entra in crisi. Il caldo si fa sentire e la sete ancora di più. In quel tratto, il percorso attraversa il borgo di Sollentuma.
Un signore dal giardino della sua villetta nota il giapponese affaticato. Lo invita ad entrare e gli offre del succo di lampone; vedendolo particolarmente spossato: “si accomodi pure all’ombra sulla poltrona” dice l’uomo e Shizo, attirato da tanta frescura, si siede: “grazie mille, mi fermo solo mezzo minuto, poi riparto”. Kanakuri non fa in tempo a sedersi che si appisola. L’uomo vedendolo dormire beatamente decide di non disturbarlo. Il giapponese si risveglia molte ore dopo, all’imbrunire, quando la gara è ormai conclusa da tempo. La polizia svedese lo sta cercando da parecchie ore, ma di Kanakuri nemmeno l’ombra. Il giorno seguente viene ufficialmente dichiarato “scomparso”. In realtà Shizo, al risveglio, resosi conto dell’accaduto, viene colto da un profondo senso di umiliazione e di vergogna. Senza lasciare traccia di sé e sotto falso nome, lascia la Svezia e ritorna segretamente in Giappone. Raggiunta la sua terra apprende che l’imperatore Mutsuhito era deceduto qualche giorno prima! Oltre al disonore ora si aggiunge anche l’impossibilità di espiare la propria pena attraverso il perdono.
Kanakuri, distrutto nell’animo si ritira nella sua Tamana e corre, tra le colline di ciliegi, alla ricerca di una serenità andata perduta. Dopo la guerra lo cercano ancora ed accetta di partecipare alle Olimpiadi del 1920 e 1924. Egli spera, così, di riparare alla vergognosa figura di Stoccolma. Ma Shizo non è più l’atleta di un tempo e, soprattutto, non è più lo stesso uomo. Ad Anversa si piazza 16°, a Parigi non conclude nemmeno la gara. Più nessuno saprà nulla di lui per molti anni.
Ma in Svezia Shizo Kanakuri rimane ancora “disperso” e la sua vicenda è divenuta una leggenda popolare.
Per questo nel 1962, in occasione dei festeggiamenti del 50° anniversario della maratona di Stoccolma, un giornalista viene incaricato di rintracciarlo. Kanakuri vive ancora a Tamana, è padre di sei figli e nonno di dieci nipoti. Ha fatto per molti anni il maestro di geografia in una scuola della città e si è dedicato alla cura dei ciliegi di una di quelle colline che era solito attraversare di corsa. L’antica ferita non si è ancora rimarginata e solo tra quei ciliegi egli trova la serenità d’animo che da anni va da cercando.
Nel 1967 a Stoccolma si celebra nuovamente l’anniversario dei Giochi Olimpici e il comitato decide di invitare Kanakuri. Il vecchio Shizo, stranamente, accetta. Quando giunge a Stoccolma gli raccontano di quanto il suo nome sia celebre in terra svedese e gli lanciano la proposta: “se la sente di finire la maratona?”. Kanakuri, a settantasei anni, decidere di chiudere i conti con il passato e rimettere a posto le cose.
Raggiunge Sollentuma, entra nel giardino della villetta dove aveva bevuto il succo di lampone, chiacchera amabilmente con il figlio di quell’uomo che tanti anni prima glielo aveva offerto e, da lì, ricomincia a correre. Piano piano il vecchio Shizo Kanakuri percorre i chilometri restanti. Entra nello stadio olimpico e riesce addirittura a sprintare negli ultimi metri. “È stato un lungo viaggio!” dichiara sorridente dopo aver tagliato il traguardo della maratona di Stoccolma nell’incredibile tempo di 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti e 20 secondi!
Alcune precisazioni: il sudafricano McArthur vince la maratona di Stoccolma con il tempo di 2h 36’ 54” davanti al connazionale Cristian Gitsham in 2h 37’ 52”. Terzo l’americano Gaston Strobino in 2h 38’ 42”. Il percorso era lungo 40,25km.
Il grande caldo ha costretto al ritiro numerosi maratoneti: dei 68 atleti partiti solo 34 hanno concluso la gara!
Da registrare, purtroppo, il primo caso di morte in una competizione olimpica: il portoghese Francisco Làzaro, giunto stremato al 30° km si accascia al suolo. Viene soccorso e portato in ospedale. Nonostante l’affannarsi dei medici, muore nella notte per la forte disidratazione.
Nel 2019 lo scrittore Franco Faggiani ha pubblicato il romanzo “Il guardiano della collina dei ciliegi” ispirato alla storia di Shizo Kanakuri.