«Eccola, quella è la torre delle streghe». Marco mi indica con un cenno della mano l’edificio che spicca su quelli circostanti.
«Streghe? Quali streghe?», chiedo volgendomi con interesse verso la Torre del Vescovo di Pisogne.
Dietro di noi il Lago d’Iseo lambisce il paese. Dal tavolo di un bar sul lungolago, abbiamo scrutato la massa di acqua blu scuro cercando i detriti che le piogge della stagione si sono lasciate alle spalle. Il sole inaspettato e la giornata ancora tiepida sono stati l’occasione che aspettavo per visitare finalmente questo paese incastonato tra il Lago d’Iseo e la Val Camonica.
Sono qui con l’intenzione di visitare la chiesa di Santa Maria della Neve, conosciuta per i suoi affreschi, ma nemmeno il tempo di un caffè al bar con un amico del posto ed ecco che spunta fuori una storia di cui non avevo mai sentito parlare prima: quella delle streghe di Pisogne. La crudele vicenda coinvolse otto donne che nel 1518 furono accusate di stregoneria, imprigionate nella Torre del Vescovo e poi arse sul rogo proprio nella piazza che sto per raggiungere, lasciandomi il lago alle spalle.
La pietra grigia della Torre del Vescovo svetta sopra agli edifici circostanti, più bassi e colorati. La torre è stata costruita tra il Duecento e il Trecento: un inventario del 1299 segnalava che in quel momento era ancora in costruzione. Alta 32 metri, fu eretta per manifestare il potere vescovile in tempi di guerre tra guelfi e ghibellini, e si affaccia su Piazza del Mercato, un tempo luogo nevralgico di commerci e oggi gremita di persone che si godono un pranzo ai tavoli esterni dei locali, inondati di sole.
«Quindi mi pare di capire che il Vescovo fosse un personaggio importante qui a Pisogne, considerando la torre», osservo. Marco annuisce. «Per circa trecento anni questo è stato un feudo vescovile», dice, mentre con un ampio gesto del braccio indica il paesaggio attorno a noi, «poi i diritti su Pisogne sono stati ceduti alla Vicinia in cambio di terreni nella Bassa. Forse rendevano di più? Era la seconda metà del 1400, non chiedermi l’anno preciso». Sul pannello esplicativo ai piedi dell’edificio scopriamo che in realtà la proprietà della torre è passata al Comune solo nel 1805. «Ah però, la torre se l’è tenuta ancora per parecchio tempo, il Vescovo!», ride Marco.
Le origini di Pisogne in realtà sono molto più antiche dell’epoca di cui abbiamo chiacchierato finora. Le incisioni rupestri in Val Camonica non sono certo una novità, e ne sono state ritrovate anche in Località Biösca, poco sopra al paese, a testimonianza del fatto che questa zona era già frequentata nell’età del Bronzo. Mentre in tempi più antichi la via di comunicazione principale era la Via del Ferro, che collegava la zona mineraria di Pisogne alla Valtrompia, in epoca romana l’arteria più importante si confermò la Via Valeriana , che oggi è uno splendido cammino di circa 190 km totali e a Pisogne si imbocca proprio dietro la chiesa di Santa Maria della Neve, dove siamo ormai giunti attraversando il paese.
La chiesa fu costruita nella seconda metà del XV secolo e osservandone la facciata sbiadita è facile immaginare le decorazioni nel pieno del loro splendore. Sulla fascia inferiore della facciata si intuisce appena un Trionfo della Morte, che fa pensare che l’edificio fosse sede di una Confraternita di Disciplini. Accanto alla chiesa di Santa Maria della Neve sorge il Convento dei Frati Agostiniani, che si trasferirono a Pisogne nel 1588 per volere di San Carlo Borromeo. La Repubblica Veneta soppresse il convento, che oggi è una casa di riposo: i residenti stanno approfittando del clima tiepido di questo pomeriggio nel chiostro alberato.
Ci accodiamo a una visita guidata per visitare l’interno della chiesa, su cui ho grandi aspettative perché viene chiamata «La Cappella Sistina dei Poveri» per via degli affreschi del Romanino, realizzati tra il 1532 e il 1534. «In che senso dei poveri?», chiedo a Marco, che però mi risponde solo con un misterioso «Vedrai!».
Capisco il motivo del soprannome non appena alzo gli occhi verso gli affreschi: i corpi dei personaggi che ricoprono la volta, le pareti e la controfacciata sono sgraziati, grotteschi. Il Romanino si è ispirato alle persone reali, ai veri abitanti di Pisogne che ritrae anche nei volti dipinti, tralasciando l’eleganza pittorica a favore di una rappresentazione popolare della Passione, Crocifissione e Resurrezione di Cristo. Sicuramente qualcosa di unico, direi quasi rivoluzionario, che immagino abbia fatto sentire più vicini alla religione molti fedeli dell’epoca.
La guida ci consiglia di andare a visitare anche la Pieve di Santa Maria in Silvis , il cui portale è dello stesso autore di quello di Santa Maria della Neve. Ci spiega che in anni recenti, durante dei lavori di rifacimento dei pavimenti, è stata trovata una vasca battesimale medievale che a sua volta si è scoperto essere un “riciclo creativo” di un monumento sepolcrale di epoca romana. Incuriositi, dopo qualche minuto di camminata in salita ci troviamo davanti alla scalinata che conduce a Santa Maria in Silvis. Anche in questo caso si indovina una facciata molto più colorata di quella di oggi, seppur affascinante proprio per i tanti anni di Storia e intemperie che l’hanno via via sbiadita. Non entriamo in chiesa per non disturbare la messa in corso, ma girando intorno all’edificio troviamo una piccola cappella con sette teschi esposti in una teca. Anche loro sono stati ritrovati per caso, durante la costruzione della strada che da Pisogne porta alle sue frazioni. Chissà quanti altri segreti si celano, sotto questo terreno!
Torniamo verso la parte bassa del paese passando dal parco comunale, un giardino molto curato e silenzioso, e attraversando i vialetti fiancheggiati da grandi alberi ci ritroviamo in un attimo alla chiesa Parrocchiale di Santa Maria Assunta, dove entriamo solo per sbirciare gli stucchi settecenteschi sul verde pastello delle pareti e l’organo dei fratelli Serassi.
Dal sagrato della chiesa, in posizione sopraelevata, si scorge l’edificio giallo e porticato del Torrazzo, che si trova proprio di fronte alla Torre del Vescovo ma in precedenza avevamo quasi ignorato, presi dalla faccenda delle streghe. Ora invece ci fermiamo a leggere il pannello esplicativo, per scoprire che qui abitò il bandito Giorgio Vicario, che a inizio Settecento spadroneggiava a Pisogne. «Streghe, banditi… che posto, Pisogne!», ride Marco.
Passeggiando tra le vie pedonali, dove un sole sempre più basso scalda le pareti colorate delle case e i loro terrazzini fioriti, ci troviamo davanti a un edificio interamente coperto di rampicanti rossicci. Si tratta dell’antica Tipografia Soardi, fondata alla fine del XIX secolo: un’attività storica che ha svolto un ruolo importante nella diffusione della cultura nella zona. Svoltiamo a sinistra lungo la stretta via Torcolo, che prende il nome dai torchi per la spremitura delle vinacce che si trovavano proprio qui. Le installazioni dell’artista Cambi a forma di lisca di pesce, che ricordano l’inesorabile passare del tempo, ci conducono fino a Piazza Berlai e al centro storico Colaela, dove restiamo piacevolmente stupiti dalle installazioni molto particolari e dall’atmosfera che si respira tra queste vie.
Indecisi se dirigerci verso Hogwarts o Atlantide, optiamo infine per il lungolago di Pisogne, e devo ammettere che nella luce del tardo pomeriggio autunnale non ha nulla da invidiare ai luoghi fantastici sopra citati. Poche persone passeggiano con tranquillità, godendosi in silenzio il sole che cala dietro le montagne scure e colora di rosa il cielo striato di nuvole. «Ѐ l’ora dell’aperitivo?», chiedo attirata da un tintinnio di calici che proviene un bar affacciato sul lago. «O forse è l’ora delle streghe?».