Il Tor des Glaciers è il fratello maggiore del più celebre Tor des Geants, che in passato ha visto celebrare le gesta del gandinese Oliviero Bosatelli. Con il Geants condivide solo la partenza e l’arrivo a Courmayeur e pochissimi tratti. Oltre alla lunghezza decisamente superiore, il Tor des Glaciers si differenzia per l’assenza di segnalazione del percorso: gli atleti si muovono in completa autonomia utilizzando il GPS come indicatore del tracciato e hanno come punti d’appoggio solamente i rifugi alpini presenti lungo il percorso. Una prova durissima, da concludere nel tempo limite di 190 ore, riservata ai pochi eletti che negli anni precedenti sono riusciti a portare a termine il Geants in meno di 130 ore.
Per la prima volta, quest’anno, due atleti bergamaschi sono riusciti nell’impresa di tagliare il traguardo di Courmayeur: Paolo Bonandrini (quattordicesimo in poco più di 160 ore) e Mirko Carminati (trentottesimo in 180 ore). Per un escursionista “normale” occorrono circa 20 giorni per completare il percorso! Quest’anno, dei 128 partiti solo 44 hanno concluso la gara, 13 sono stati fermati dall’organizzazione a pochi km dall’arrivo per l’inaspettata nevicata che ha ricoperto il famigerato Col del Malatrà con 40 cm di manto immacolato. Tutti gli altri concorrenti sono stati costretti al ritiro.
Mi viene proposto di raccontare questa avventura e colgo l’occasione al volo. Eccomi in quel di Premolo nei pressi dell’abitazione di Paolo Bonandrini. Mi viene incontro con un sorriso che illumina la serata, pronto a porgermi il benvenuto con una stretta di mano molto vigorosa – roba d’altri tempi! Subito mi sento a mio agio. In casa c’è Ilaria, giovane compagna di Paolo, pimpante come una ragazzina. Con lei, Paolo condivide molte uscite in montagna. «Spesso è lei che aspetta me in cima alle salite! È forte, ma non ne vuole sapere di indossare un pettorale».
Paolo è molto alto e ben strutturato fisicamente, madre natura gli ha donato atleticità. Nonostante siano trascorsi pochi giorni dalla conclusione della durissima gara, non mostra segni di stanchezza: il portamento è aitante, il viso disteso e gli occhi vispi come quelli di un bimbo. Svaniscono presto le titubanze formali e ci ritroviamo a chiacchierare a ruota libera tutti e tre, anzi quattro, perché a farci compagnia è la simpaticissima gatta nera Puma che s’insinua tra le nostre gambe azzardando, senza timore, di guadagnare le mie ginocchia. Paolo e Ilaria si alternano frequentemente nei discorsi; lui è ponderato nelle parole, lei… effervescente naturale.
Paolo ha 38 anni e lavora come meccatronico presso un’officina vicino a casa. Per allenarsi deve ritagliare il tempo nelle pause dal lavoro: «Quest’estate per il caldo ci allenavamo la mattina prestissimo, prima del lavoro». La passione per lo sport gli è stata trasmessa da mamma Elena, con trascorsi nell’atletica, e dallo zio Vincenzo, cui Paolo era molto legato, buon atleta di sport di montagna che ha sempre seguito le gesta del nipote. Purtroppo, è mancato prematuramente per un incidente in campagna poco prima dell’ultima avventura di Paolo.
«Il primo pettorale della mia vita l’ho indossato a 21 anni. Non ho seguito i suggerimenti degli amici che mi consigliavano di avvicinarmi gradualmente alle competizioni. Così la prima gara è stata una Maratona (42 km!). Ho fatto fatica, ma l’ho portata a termine». Il concetto di finisher ricorre spesso nei suoi racconti e con un pizzico d’orgoglio afferma: «Ho sempre concluso tutte le gare a cui ho partecipato. Per la verità a un Mezzalama (la più estrema e prestigiosa gara di scialpinismo, ndr) sono stato costretto al ritiro perché il mio compagno di squadra stava male».
Dopo l’esperienza nella Maratona, Paolo capisce di non essere portato per l’asfalto e inizia a correre lungo i sentieri seriani. Poco alla volta, si rende conto di trovarsi a suo agio sulle lunghe distanze. Da qui, l’idea matta di due compagni di allenamento: «dai che ci iscriviamo alla 100 km di Valdigne?». Detto… fatto. 100 km su e giù per la valle d’Aosta senza mai esagerare e concludendo in ottime condizioni fisiche. L’euforia del traguardo spalanca a Paolo le porte del mondo degli Ultratrail. Nel 2014, la prima partecipazione al Tor des Geants. Negli anni successivi, porta a termine altre tre edizioni del Tor con risultati sempre più incoraggianti.
L’esperienza accumulata e la grande consapevolezza nei propri mezzi porta Paolo a progettare la partecipazione Tor des Glaciers. «Cosa ti ha spinto a provare il Tor des Glaciers?» gli domando. «Il desiderio di scoprire i miei limiti e di mettermi alla prova in una gara più impegnativa e su un percorso molto simile, per caratteristiche tecniche, alle nostre montagne». Non è una gara che puoi improvvisare: bisogna studiarla attentamente nei dettagli: «Quest’estate con Ilaria siamo andati due volte in valle d’Aosta a provare alcuni tratti del percorso, quelli più insidiosi. Ho capito che avrei dovuto evitare di transitare in quei luoghi di notte. Perciò ho calcolato i tempi di percorrenza per arrivare nei punti critici con la luce del sole».
Si rivela così un’altra qualità dell’atleta Paolo: la progettualità. Se programmi tutto bene, anche l’imprevisto può essere affrontato serenamente. In quest’ottica, gli chiedo di mostrarmi l’abbigliamento utilizzato in gara. È tutto essenziale, ma indispensabile: i “baffi” di protezioni delle vie respiratorie dall’aria fredda, i calzari a preservare l’integrità dei muscoli tibiali, le ghette per evitare che la polvere entri nelle scarpe, le calze di ricambio per prevenire le vesciche ai piedi, le tre paia di scarpe utilizzate in alternanza, il guscio antipioggia, l’orologio GPS e il navigatore GPS, le due torce frontali, i bastoncini, lo zainetto leggero e capiente, i guanti, il cappellino e il berretto.
Domando a Paolo come gestisca l’alimentazione in una gara così lunga. «Nulla di scientifico, mentre cammino mi alimento con barrette energetiche – quelle del supermercato, sottolinea Ilaria – poi, quando arrivo nei rifugi, mangio di tutto: pasta, zuppe, brodo. Ma mi è anche capitato di gustare polenta concia con brasato, salamelle alla panna, lasagne, persino mocetta con la fontina, che in Valle d’Aosta non può mancare!». Ilaria mi mostra alcune foto scattate mentre Paolo si rifocilla nei rifugi… e il personaggio inizia a diventare il mio idolo!
Poco alla volta, anche il ruolo di Ilaria inizia a definirsi: ha seguito Paolo con trepidazione in ogni istante della gara, scrutando meticolosamente il GPS e fornendogli la migliore assistenza possibile nei rifugi. In questo genere di competizioni, l’unico supporto esterno consentito agli atleti avviene presso i rifugi. Oltre a Ilaria, scopro che a seguire Paolo c’erano Monica, mamma di Ilaria, e Livio, fedelissimo seguace d’avventura, una squadra affiatatissima. E da lassù, lo sguardo sempre vigile di zio Vincenzo. È proprio a lui che Paolo, con gli occhi visibilmente commossi e il dito sollevato verso il cielo, ha dedicato l’impresa quando è transitato sotto lo striscione d’arrivo.
Scopro anche un uomo dal cuore d’oro. Si, perché Paolo ha anche ideato e realizzato un’impresa di 24 ore consecutive di corsa sui sentieri di Premolo finalizzata alla raccolta di fondi per la ricerca sulla fibrosi cistica. Gareggia sempre con una rosellina attaccata sullo spallaccio dello zaino, è il simbolo dell’associazione.
«Con il sonno come ti sei regolato?» gli chiedo. «In quello, mi ritengo fortunato, a me bastano pochi minuti per addormentarmi e dopo un’oretta posso già riprendere il cammino». La strategia dei “microsonni” è una caratteristica comune a molti ultratrailer. Brevissime pause di sonno, sufficienti a rigenerare le energie fisiche e mentali. In 161 ore di gara Paolo ha dormito complessivamente solo 9 ore! Le crisi ci sono, eccome, ma l’importante è mantenere sempre lucidità per gestire mentalmente la difficoltà, anche perché non puoi permetterti di sbagliare percorso.
«La testa e la determinazione sono le qualità migliori di Paolo» afferma Ilaria, che con il suo carattere simpatico e brioso diventa, anche lei, protagonista della serata. Con un pizzico di fierezza aggiunge: «Paolo ha iniziato camminando ed ha finito correndo!». Osservo il video della sua discesa dal Col del Malatrà verso Courmayeur: è sorprendente come riesca a correre fluido dopo sei giorni e mezzo ininterrotti di fatiche!
«Consideri il Tor des Glaciers una gara contro gli altri o contro sé stessi?» è l’ultima domanda che gli pongo. «È una gara con te stesso, gli altri sono compagni d’avventura più che avversari. Con loro, condividi le interminabili notti camminando al buio, la sofferenza, le crisi, i dubbi, le difficoltà. Nascono anche grandi amicizie». Ed è così che mi racconta dello splendido legame che è scaturito con Piero Barmasse, esperto uomo di montagna valdostano, di vent’anni più vecchio, ma quando c’è sintonia l’età non conta. Con lui, Paolo ha condiviso la seconda metà della gara. Insieme hanno affrontato le fatiche più dure, quando il sonno e i dolori cercano di sopraffarti e il fisico ti implora di fermarti. Hanno camminato insieme, si sono incoraggiati, aiutati, spronati a vicenda. Fino al dramma: giunti al rifugio Frassati, a poche ore dal traguardo, Piero va incontro ad una acuta crisi di stomaco. Non riesce a proseguire. Paolo lo sprona ma Piero sta davvero male: «dai Piero, ti aspetto, ci fermiamo un po’ finché non stai meglio, poi ripartiamo insieme», «No Paolo, io mi fermo! Tu devi andare al traguardo, stai troppo bene e devi finire la gara, vai!», «Promettimi che non molli, Piero, io ti aspetto a Courmayeur!».
Così Paolo, tra mille dubbi, riparte. L’incoraggiamento di Piero lo carica come non mai, e vola letteralmente verso traguardo. Fortunatamente Piero, dopo alcune ore di tribolazioni, si riprende dalla crisi e riesce a rimettersi in cammino. Arriva sul traguardo, stremato ma felice e ad attenderlo a braccia aperte c’è Paolo. Da allora, Paolo e Piero si sentono tutti i giorni per telefono, tra loro è nato un legame fortissimo.
Mi fermerei all’infinito a parlare con Paolo e Ilaria, ma l’ora si è fatta tarda. Prima di congedarmi, gli chiedo quale sia il suo sogno per il futuro. Paolo, con il sorriso che ormai per me è divenuto familiare, mi mostra un video di una gara in Alaska: l’Iditarod trail, un’avventura estrema sia per le condizioni climatiche (con temperature spesso vicine a -40 °C) che per la lunghezza del percorso, ben 1770 km!
Buona fortuna Paolo, sono sicuro che ce la farai. Da stasera, hai un sostenitore in più!