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Le quattro matte di Colere, guglie rocciose che raccontano storie di folletti

Articolo. Questi caldi scampoli d’estate consentono ancora escursioni in alta montagna in tutta tranquillità. Ne approfittiamo per recarci a Colere, in valle di Scalve, per un itinerario ad anello molto interessante

Lettura 6 min.
La Presolana vista dal monte Ferrante

Raggiungiamo la località pian di Vione (1152m), splendido pianoro di prati e boschi nel suggestivo anfiteatro naturale della Presolana. Inizia qui il sentiero della Guaita (segnaletica CAI n° 402), un itinerario di salita al rifugio Albani alternativo al percorso classico.

Si narra che questo pianoro sia stato teatro di una sanguinosa battaglia, combattuta tra i franchi cattolici dell’imperatore Carlo Magno e gli uomini pagani di Cornelio Alano, signore di Breno. Quest’ultimo, rifiutando la resa ai franchi e la conversione al cattolicesimo, si rifugiò in terra scalvina con un manipolo di cavalieri, senza tuttavia riuscire a sfuggire alla cattura, avvenuta in loco. All’episodio dell’arresto di Alano alcuni studiosi fanno risalire l’origine del nome Presolana («preso-alano»). Anche se la vicenda vanta riscontri storici credibili non nascondo la mia perplessità sull’etimologia della montagna simbolo delle Orobie.

Il pian di Vione accolse per numerosi anni una sorta di raduno giovanile hippy chiamato «Festa della Luna». Nato come evento musicale di tre giorni nel 1978 su iniziativa di Radio Libera Val di Scalve, la festa venne seguita e organizzata per un buon numero di anni da diversi giovani coleresi. La manifestazione si svolgeva l’ultima domenica di luglio e, anno dopo anno, la partecipazione crebbe a dismisura raggiungendo numeri impensabili (si parla addirittura di trentamila presenze), sfuggendo al controllo degli organizzatori. Le ultime edizioni diventarono raduni spontanei senza più riferimenti né autorizzazione. L’evento, ormai divenuto incontrollabile e incontrollato, creò gravi disagi alla popolazione del paese oltre a insidiare il delicato ecosistema del pian di Vione. Si culminò con alcuni episodi di intolleranza che innescarono la messa in atto di misure dissuasive che, nel 2006, portarono alla fine dello storico raduno.

Proprio una domenica di fine luglio di trent’anni fa, completamente ignaro della concomitanza della festa, ebbi l’idea di un’escursione da Colere al passo della Porta. Nonostante la partenza all’alba, trovare posteggio a Colere fu un’impresa. Ci incamminammo verso il pian di Vione guidati dal tam tam dei bonghi. Sbucati sul pianoro notammo una coltre di fumo aleggiare sopra le tende disseminate a centinaia in ogni angolo del bosco. L’accampamento era immerso in un silenzio surreale, tutto pareva imbalsamato. Attraversammo il pianoro soggiogati da quell’atmosfera onirica mentre un insolito odore, morbido ed aspro, accompagnava i nostri passi. Non so dire quanto tempo impiegammo a raggiungere l’attacco della via ferrata, ma ricordo che per un bel po’ camminammo con il sorriso stampato sul viso e senza accusare la minima fatica.

Anche nelle mattine di piena estate il sentiero della Guaita sale immerso nell’ombra, alternando tratti nella pietraia ad altri nel bosco. Poco sopra il pian di Vione si incontrano alcune interessanti calchere, le antiche fornaci per cuocere le rocce calcaree e ricavarne calce. Superate le calchere il tracciato si raddrizza con decisione. Fortunatamente le vivaci argomentazioni di Giovanni e Benedetta rendono l’ascesa divertente e meno dura. Sopra le nostre teste incombono minacciose le pareti verticali della Presolana. Sbirciando in alto verso la cima del canalone davanti a noi notiamo quattro eleganti guglie rocciose, sono le Quattro Matte.

Erica, Gardenia, Genzianella e Rosina erano quattro sorelle di Colere, una più bella dell’altra. Consapevoli della propria avvenenza, si prendevano gioco dei numerosi corteggiatori illudendoli invano. Con l’avanzare dell’età, per non rimanere senza marito, decisero di convolare a nozze con quattro giovani fratelli di bell’aspetto. Era consuetudine per le donne del tempo andare nei boschi a fare legna mentre agli uomini competeva il lavoro in miniera o nei pascoli. Un giorno, mentre erano intente a raccogliere legna, incontrarono i folletti del bosco. Incuriosite da quelle simpatiche creature condivisero con loro il cibo che avevano portato da casa e si dilettarono in loro compagnia con balli e canti per tutto il giorno (una sorta di addio al nubilato ante litteram). I folletti rimasero affascinati da tanta gioviale bellezza e si fecero promettere un successivo incontro.

Bisogna sapere che i folletti sono creature molto affabili, ma non vanno assolutamente mai presi in giro. Le fanciulle, nonostante i moniti degli anziani del paese, si beffarono di loro e non si presentarono all’appuntamento. I folletti, adirati per l’inganno, promisero vendetta. Attesero che le quattro sorelle tornassero nel bosco e si presentarono al loro cospetto intonando un canto dai toni angoscianti. Quelle note alienanti portarono alla follia le ragazze che, nel tentativo di fuggire, si arrampicarono per tutto il canalone fino alla sommità dove un fulmine le colpì, pietrificandole. Questi eleganti torrioni portano il nome delle quattro fanciulle e rappresentano ancor oggi un’ardua sfida alpinistica per i climber del luogo.

Tra una chiacchiera e l’altra giungiamo a quota 1600m dove un cartello invita alla deviazione per il belvedere alpino. Seguiamo le indicazioni e in pochi minuti perveniamo ad un suggestivo terrazzo naturale con vista aerea su Colere e la val di Scalve. Da qui si gode anche di un’ottima prospettiva sulle Quattro Matte.

Tornati sul sentiero principale procediamo in direzione del colle della Guaita. Poco prima del colle si aggira un’enorme dolina pietrosa dove si incrocia il sentiero CAI n° 401, diretto al passo della Porta. Stamattina il canalone della Porta è tutto un brulicare di escursionisti impegnati nella rinomata via ferrata.

Pochi minuti ancora ed eccoci al colle della Guaita (1891m). Bellissimo il contrasto tra la maestosa parete Nord della Presolana illuminata dai primi raggi del sole e la conca del laghetto Polzone, ancora in ombra. Il lago appare in evidente carenza idrica al punto da assomigliare più ad una pozza d’acqua che a un lago. Il rifugio Albani è lì davanti a noi. Raggiungiamo le ex baracche dei minatori, strutture parzialmente recuperate per testimoniare la fervida attività estrattiva della zona. Sono ancora presenti i tralicci della vecchia teleferica utilizzata per trasportare a valle il minerale estratto e un trenino che si insinuava nei meandri della miniera. Qua e là si notano i buchi di ingresso delle gallerie. Fino agli anni ’70 del secolo scorso si estraeva la fluorite. Principalmente utilizzata nella metallurgia come fondente (dal latino fluere ovvero fondere) la fluorite veniva impiegata anche nella lavorazione del vetro e nella produzione di prodotti antiruggine; curioso il suo utilizzo in aggiunta ai detersivi per far brillare i capi (specialmente quelli di colore bianco). Non da ultimo la NASA, l’agenzia spaziale americana, ne faceva uso come additivo al combustibile dei razzi lunari.

In un attimo siamo al rifugio Albani (1948m). Camminiamo ormai da due ore e una pausa è d’obbligo. Mentre sorseggiamo il caffè scambiamo due parole con il rifugista: «la stagione estiva è andata bene, soprattutto il mese di agosto e questi primi giorni di settembre. Stanotte avevamo addirittura 78 ospiti!». Ne approfitto anche per acquistare la nuovissima cartina del CAI con i sentieri della valle di Scalve.

Considerata la splendida giornata di sole e l’orario antimeridiano, suggerisco di prolungare la gita con un percorso ampio e panoramico. Fortunatamente i compagni di escursione sono allenati e il consenso giunge unanime. Puntiamo così al passo dello Scagnello (2078m), bel valico pratoso affacciato sulla Valzurio. Da quassù la prospettiva sullo spigolo Nord della Presolana è ineguagliabile. D’ora in poi i panorami si alterneranno sorprendenti e vastissimi.

Stiamo percorrendo il sentiero delle Orobie (CAI n° 401) in direzione nord ovest, verso il rifugio Curò. Tappa successiva è lo Chalet dell’Aquila (2250m), strategico locale realizzato nel punto più alto del comprensorio sciistico di Colere. La struttura apre nella stagione invernale quando gli impianti di risalita sono in funzione. Un piccolo strappo conduce sul Ferrantino (2325m), fratello minore del più imponente monte Ferrante (2427m). Il sentiero 401 evita la cima transitando alla base della cuspide rocciosa, ma una capatina in vetta è d’obbligo. La traccia di salita è evidente e richiede solo un po’ di attenzione nel tratto in cui attraversa alcune facili roccette. Occorrono solo pochi minuti per raggiungere la croce. La vera cima si trova pochi metri oltre la croce, contraddistinta da un ometto di sassi. Il panorama è superlativo e abbraccia tutte le Orobie sconfinando dalle Alpi fino alla pianura. Benedetta, reduce da recenti escursioni ampezzane, rimane ammutolita, catturata da tanta meraviglia.

Torniamo sui nostri passi per riprendere il sentiero 401. Mentre transitiamo sotto la parete rocciosa del Ferrante lo sguardo corre verso la conca del rifugio Curò. Una insolita scia bianca precipita dal rifugio verso valle: «ehi, le cascate del Serio!». Siamo fortunati, oggi c’è l’apertura delle cascate. La distanza è ragguardevole ma sufficiente per ammirarne la maestosità.

Il percorso prosegue dolcemente sullo spartiacque fino al passo di Fontanamora (2235m), ampia sella prativa affacciata sulla val Sedornia. Abbandoniamo il sentiero delle Orobie per scendere in val Conchetta lungo il sentiero CAI n° 404. Il tracciato si snoda tra ghiaioni, prati, cocuzzoli e larici isolati in un contesto naturalistico di rara bellezza. Percorriamo tutta la valle fino a raggiungere la graziosa malga Conchetta (1792m) e da qui le piste da sci che ci guidano fino a malga Polzone (1570m). Le imponenti opere di ammodernamento degli impianti di sci di Colere lasciano intuire un futuro roseo per questa località di sport invernali.

Un certo languore inizia a farsi sentire così ci precipitiamo a valle lungo la cementata di servizio degli impianti fino a Carbonera (1063m), dove si trova la stazione di partenza degli impianti. Ci accomodiamo ai tavoli del Nevada pub dove abbiamo il privilegio di assaggiare polenta e capù, i deliziosi involtini di verza ripieni di carne tipici delle vallate bergamasche. Rinfrancati nella mente e nel fisico, con grande tranquillità ci concediamo una interessante visita all’Ecomuseo delle Miniere di Carbonera (per le visite contattare la Pro Loco di Colere). Di fronte all’ingresso del museo, in prossimità di un parco giochi, si diparte una strada forestale che consente di raggiungere il pian di Vione senza obbligarci a scendere a Colere.

P.S. L’escursione qui descritta, compresa la salita al monte Ferrante, è lunga 18 km con un dislivello positivo di circa 1500 metri. Calcolare sei/sette ore di cammino.

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)

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