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Le contrade di San Giovanni Bianco (seconda parte)

Articolo. Attraversiamo il fiume Brembo per continuare a esplorare i mille volti di San Giovanni Bianco. Ecco la seconda parte del nostro itinerario ad anello tra arte, storia e natura

Lettura 6 min.
Il Cancervo e l’orrido della val Taleggio

Riprendiamo il cammino iniziato quindici giorni orsono alla scoperta delle contrade di San Giovanni Bianco. Ci eravamo lasciati lungo la vecchia statale della valle Brembana all’altezza della passerella sul fiume Brembo (440m), posta ai piedi della rupe su cui poggia il Cornello dei Tasso. Attraversare il fiume regala già la prima emozione: l’acqua del Brembo scorre generosa, sfoggiando un inaspettato color smeraldo, mentre tutt’intorno trionfa il verde della vegetazione nel pieno vigore primaverile. Appena giunti sull’altra sponda, il tracciato della via Mercatorum ritorna evidente e ci accompagna, passo dopo passo, nella quiete della natura.

Ci si addentra in una freschissima valletta carsica, dove il bianco delle rocce contrasta con il sottobosco muschioso. L’antica mulattiera mostra un selciato ancora in ottime condizioni, è un piacere camminarci. Dopo aver sfiorato alcune cascine, eccoci sbucare in corrispondenza della contrada Grumo (620m): una manciata di case messe lì quasi per caso sopra una selletta erbosa lontano dal mondo. Il nome deriva dal latino grumus cioè mucchio di terra, collinetta. In effetti una collina boscosa domina il borgo (il Pes del Gröm) ponendolo al riparo dai venti di tramontana.

Ai tempi della via Mercatorum, Grumo conobbe un momento di massimo sviluppo e prosperità. Il suo declino coincise con la costruzione, per volere della Serenissima, di una nuova via di comunicazione vallare più ampia e veloce, la via Priula, il cui percorso tagliò fuori tanti piccoli paeselli come Grumo. Se la sponda destra del Brembo ci ha fatto conoscere nuclei abitativi di enorme valore storico e architettonico, questo versante della vallata si distingue per il carattere più intimo e sobrio dei borghi.

Grumo conserva case di impronta cinquecentesca con porticati di pietra e alcune lobbie antiche. È apprezzabile lo sforzo dei residenti di ridare vita a una contrada che, fino a pochi decenni fa, versava in precarie condizioni di conservazione. L’operazione di recupero dei malandati edifici ha quasi sempre salvaguardato l’aspetto e lo stile architettonico originario. La piazzetta centrale ospita la chiesetta dedicata a S. Giacomo maggiore apostolo, originaria del XVI secolo ma oggetto di ripetuti rifacimenti nei secoli successivi. Nel 2016 un prezioso intervento di restauro ha restituito la voce alle tre campane bronzee del campanile. Proviamo a intrufolarci per le viuzze di Grumo, ma è talmente piccolo e accogliente che sembra di entrare in casa di altri.

Lungo la via Mercatorum
Lungo la via Mercatorum
Grumo
Grumo
Prospettiva di Grumo
Prospettiva di Grumo

Il cammino prosegue lungo il sentiero che costeggia la chiesa alla sua sinistra. Dopo aver superato l’edificio che un tempo ospitava la scuola, si entra in un prato e, subito dopo, si intercetta la strada asfaltata che seguiamo per pochi minuti fino a un bivio sentieristico ben indicato da un cartello. Svoltiamo a destra imboccando il sentiero che sale piuttosto deciso entro un piccolo canale, reso sdrucciolevole dal fogliame ancora presente sul fondo. In breve si approda in un prato con un bel casello, mentre dinnanzi a noi appare l’incantevole chiesetta di San Rocco (720m), la cui origine è quasi certamente da far risalire alla terribile pestilenza del 1630. La facciata sfoggia un bel porticato con archi a tutto sesto sostenuti da colonne di pietra.

L’affaccio dal porticato, con l’inconsueto pavimento di ciottoli, è sorprendente: protagonista indiscusso è il monte Cancervo, possente e severo a proteggere gli assolati borghi di Pianca e Camerata Cornello, poi i sinuosi meandri della val Taleggio sovrastati dal pizzo Grande e il monte Sornadello e, infine, il suggestivo colpo d’occhio sulla vallata. Mi piace utilizzare l’immagine con cui l’amico Giovanni, artista indigeno innamorato del Cancervo, descrive il monte da questa prospettiva: «sembra il dorso di un bisonte con il muso infilato ad abbeverarsi nell’orrido della val Taleggio»… La fantasia non manca ma la suggestione è azzeccata!

Seguiamo la strada asfaltata per poche decine di metri oltre la chiesa fino a un bivio, sulla destra, dove inizia il sentiero diretto alla contrada Bosco (cartelli indicatori). Bosco è suddiviso in due nuclei entrambi rivolti verso sud e separati da una valletta, Bosco entro e Bosco fuori. La distinzione tra entro e fuori è quasi certamente legata alla posizione geografica: entro perché le sue case sono sulla costa che si spinge dentro la valletta, fuori perché le abitazioni sono su un poggio poco oltre la valle. Il sentiero attraversa ambedue i nuclei rivelando un curioso connubio tra ruralità antica e moderna. Non passa inosservata, a Bosco entro, la vecchia casa del curato, con i suoi affreschi di Santi. Alcune dimore sembrano abitate, ma fatichiamo a trovare qualcuno disposto a scambiare due parole… La vita di montagna occupa l’uomo in ogni istante!

Superate le case di Bosco fuori, ovviamente, ci addentriamo nel… bosco. Oltrepassiamo una valletta e, mantenendoci sempre sul sentiero più evidente, iniziamo a perdere quota, dapprima seguendo una dorsale, poi infilandoci in un’altra valletta fino a che il tracciato ridiventa pianeggiante. Raggiungiamo così le case di San Pietro d’Orzio (600m). Curioso il termine Orzio che pare derivi dal nome personale Iorzi, «Giorgio».

Bosco entro
Bosco entro
Bosco fuori
Bosco fuori
La fontana recuperata (San Pietro d’Orzio)
La fontana recuperata (San Pietro d’Orzio)

Poco prima di entrare nella contrada notiamo, sulla sinistra, un’antica fontana di pietra: era la sorgente che riforniva d’acqua la contrada e fungeva da lavatoio e abbeveratoio per il bestiame. Questa fonte, scomparsa da decenni perché ricoperta da terra e detriti, è stata recuperata quattro anni fa da due contradaioli (Lucia e Flavio Boroni). Costoro, incuriositi dai racconti dei decani del paese, andarono alla ricerca dell’antica fontana. Scavando nella zona indicata, trovarono alcune pietre lavorate. Dopo una laboriosa operazione di sterro e recupero la fontana fa ora bella mostra di sé lungo la via Mercatorum. Per il momento è priva d’acqua, ma presto verrà ripristinato il canale di collegamento con la sorgente nella valletta.

San Pietro fu un borgo importante, già menzionato in documenti del XIII secolo, che conobbe prosperità grazie al transito dei mercanti. Ad eccezione del breve periodo di regno napoleonico, fu sede comunale per molti secoli fino al tempo del fascismo, quando venne definitivamente accorpato a San Giovanni Bianco. Passeggiando per il borgo si intravedono in prevalenza dimore recenti, mentre sono rare le testimonianze del passato. Anche la chiesa stessa è molto recente, costruita nel luogo attuale nei primi anni del ‘900 dopo che la minaccia di una frana obbligò alla demolizione della vecchia parrocchiale. In essa sono state traslate alcune pregevoli tele del Ceresa e una pala del ‘500 attribuita ad Andrea Busati.

Trovo molto curioso ciò che Giovanni da Lezze nel 1596, inviato da Venezia per approfondire la conoscenza della provincia bergamasca, racconta di questo territorio: «Sopra il monte detto la Porchera qual è per mezo la terra del Cornello si ritrova una miniera de arzento molto buona et perfetta, la quale mai è statta fabricata né conosciuta et è facilissima da farsi con poca spesa perché è vicina alla luce che poco cavamento gli andarà et…» e si perde in considerazioni economiche sullo sfruttamento di tale giacimento. Di questa miniera non si conosce nulla ma è meglio non spargere troppo la voce...

L’antico legame della gente di San Pietro d’Orzio con il mondo dei mercanti si può cogliere anche dalle parole del Maironi da Ponte (1819): «Molte famiglie traggono sussistenza dal porto franco di Genova, essendo proprietarj d’alcuni posti d’esercizio di carovana in quel posto».

A questo punto si potrebbe rientrare direttamente a San Giovanni, ma la nostra guida propone di allungare fino a Costa San Gallo (670m). Seguiamo i suoi consigli e procediamo sulla strada asfaltata per un chilometro fino al santuario della Beata Vergine della Costa, luogo di pellegrinaggio di moltissimi fedeli bergamaschi. Oggetto della devozione popolare è il sacro dipinto mariano che miracolosamente nel 1492 iniziò a lacrimare sangue. Dal sagrato si gode di una bella prospettiva sulla media valle brembana.

Appena sotto il sagrato, passa la mulattiera che scende a San Giovanni Bianco. La prendiamo e in mezzoretta siamo in paese. Attraversiamo il Brembo sul bellissimo ponte Vecchio, un manufatto quattrocentesco con impronta ancora fortemente romanica. Attorno ad esso si svolgevano le attività legate al fiume e sono ancora visibili, al margine del corso d’acqua, i resti degli antichi mulini, di fucine e segherie.

Per il ponte Vecchio transitava la Via Mercatorum. Poco oltre ci ritroviamo a camminare su un altro manufatto storico: il ponte della Priula. Costruito alla fine del ‘500 lungo la via Priula, attraversa il fiume Enna con un’arcata unica. In posizione strategica tra i due ponti si trova il quattrocentesco palazzo Boselli, signorile abitazione della famiglia Boselli, ricca di saloni affrescati. È l’imbrunire, passeggiare sui ponti e sotto i porticati di San Giovanni è molto suggestivo. Risaliamo al livello della strada statale e torniamo al punto di partenza.

P.S. Il percorso integrale, cioè l’unione dei due itinerari, è lungo poco meno di 20km e ha un dislivello positivo di circa 900m. Calcolare 7 ore circa di cammino. Nel caso in cui si scegliesse di spezzare in due, l’itinerario vanno considerati i due chilometri di pista ciclabile da San Giovanni alla passerella sul Brembo.

Pur sviluppandosi a bassa quota è un itinerario che ben si adatta anche ai mesi estivi perché si cammina prevalentemente all’ombra dei boschi. Un ultimo suggerimento: la prima parte è più indicata nelle ore mattutine in quanto rivolta verso oriente, la seconda invece dà il meglio di sé nel pomeriggio essendo orientata a ovest.

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli eccetto dove diversamente indicato, il video è di Carlo Cella, @ormenellaneve)

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