Il rifugio Calvi rappresenta una delle mete più frequentate di tutte le Orobie e l’ampia conca che lo ospita è di una bellezza non comune: torrenti scroscianti, pascoli verdissimi e laghi smeraldini circondati da cime prestigiose. Le montagne si guardano tra loro con atteggiamento solenne ed elegante, come in una sfida di bellezza. Questa conca è anche la culla del fiume Brembo, che ha le sue sorgenti ai piedi del pizzo del Diavolo.
Una leggenda attribuisce l’origine del nome Brembo al valente condottiero dei Galli Senoni, Brenno, autore del sacco di Roma nel 390 a.C. Dopo aver raggranellato un cospicuo bottino, Brenno ripiega al nord, incalzato dai romani desiderosi di recuperare l’onore e il tesoro. Brenno, vittorioso sui romani anche in una successiva battaglia a Fiesole, decide di spingersi fino a Bergamo, ritenendolo un luogo strategico e sicuro. Il condottiero gallo, per evitare ulteriori combattimenti, chiede alla città di sottomettersi. Di fronte al categorico rifiuto dei bergamaschi, Brenno reagisce espugnando la città e radendola al suolo.
Nel frattempo, i romani, non avendo ancora digerito il doppio smacco, inviano a Bergamo il console Tito Manlio al comando di un esercito molto agguerrito. Giunto sul luogo, il console, per scongiurare lo scontro efferato tra i due schieramenti, propone a Brenno di risolvere la questione con una sfida a duello tra loro due. Brenno, sicuro di sé, accetta la sfida. La disputa è molto cruenta e, alla fine, Tito Manlio ha la meglio. Contravvenendo alle regole tra duellanti, il console romano decide di risparmiare Brenno, ma costui, per il disonore, si toglie la vita gettandosi nel fiume. Da allora quel fiume porta il nome del valoroso condottiero gallo. Per quanto affascinante possa sembrare questa leggenda, l’origine del nome Brembo è ben diversa. Il nome è infatti costituito da due temi: bre – embo. Nelle lingue celtiche il primo significa monte, altura mentre embu nelle lingue indoeuropee identifica l’acqua. Pertanto Brembo significherebbe «acqua dei monti».
Da qualche anno i lavori alla diga del Fregabolgia tolgono un po’ di fascino paesaggistico al rifugio Calvi, penalizzato dallo svuotamento dell’invaso artificiale. Ecco l’occasione per spingersi a scoprire i gioielli naturali della Conca del Calvi. A poca distanza dal rifugio, si celano infatti, gelosamente custoditi dalle cime più alte, alcuni meravigliosi specchi d’acqua, poco frequentati e sconosciuti ai più perché non sono visibili dal rifugio. L’ itinerario di oggi può costituire una valida alternativa al percorso di discesa a valle oppure un’appagante escursione per chi sceglie di fare base al rifugio. Alcuni laghi sono facilmente raggiungibili, il lago dei Curiosi e il lago Cabianca, con sentieri ben tracciati, altri, il lago Zelto e il lago del Vallone, risultano decisamente più complicati da guadagnare ma sono di una bellezza entusiasmante.
Propongo un itinerario che parte dal rifugio Calvi (2006 metri) e tocca i laghi secondo una progressione ad impatto emotivo crescente. Dal rifugio ci abbassiamo qualche metro per imboccare il sentiero CAI n° 210A, che procede in direzione Sud. Nel primo tratto, viaggia abbinato al sentiero CAI n° 226, diretto al passo Portula. Raggiunta quota 2060 metri, i due percorsi si separano: teniamo la destra seguendo le chiare indicazioni dei cartelli segnavia. Senza fatica, si guadagna il pian dell’Asen, un bucolico pianoro con l’omonima baita seminascosta. È bello volgersi all’indietro per ammirare i meravigliosi scorci paesaggistici: protagonista assoluto è il pizzo del Diavolo con la sua forma triangolare quasi perfetta e il fratello minore, il Diavolino. Anche i monti Aga, Poris e Grabiasca fanno bella mostra di sé.
Attraversiamo il pianoro e puntiamo verso Ovest, risalendo il comodo pendio di accesso al lago dei Curiosi. Per arrivare al laghetto il sentiero compie una breve deviazione di andata e ritorno che da quota 2070 metri conduce ai 2113 metri del lago (calcolate mezzora dal rifugio). Questo splendido specchio d’acqua cristallina è situato in una piccola conca dominata dalle imponenti cime dei monti Madonnino e Cabianca. È il posto ideale per un bel pranzo al sacco, seduti sull’erbetta in riva al lago. La strana definizione «dei curiosi» viene generalmente attribuita al fatto che, non essendo visibile dal basso, diviene meta solo per le persone più curiose. Questa fantasiosa interpretazione risulta assai simpatica anche se non va dimenticato che in celtico il termine cors significa palude. In effetti, guardandosi intorno, si notano alcune zone acquitrinose in prossimità del lago.
Torniamo sui nostri passi e proseguiamo il cammino alla volta del lago Cabianca. Il percorso è sempre agevole e panoramico. Così, quasi senza accorgerci, in poche decine di minuti giungiamo al cospetto del lago Cabianca (2149 metri). È un bacino più grande e articolato, posto sotto la cima dell’omonimo monte che lo sovrasta con sguardo cupo e minaccioso. «Bianco» è un aggettivo di origine germanica, blank, che significa lucido. A ben guardare, nelle giornate più terse, le rocce del Cabianca baciate dal sole diventano lucide e luccicanti. Le acque cristalline riflettono i monti circostanti creando simpatiche illusioni ottiche. Le placide acque sono assai invitanti ma il fondo pietroso e la precoce ora mattutina sconsigliano la puciatina. Una collinetta sulla riva settentrionale del lago è il sito ideale per scattare le foto.
A questo punto il sentiero n° 210A ripiega verso valle, puntando alla diga del Fregabolgia dove si connette ai sentieri principali. Ci si potrebbe accontentare, ma decidiamo di proseguire nella nostra esplorazione. Da questo momento non ci si muove più su sentieri ufficiali ma solo su tracce e, a volte, nemmeno su quelle. A guidarci saranno soltanto i classici ometti di sassi e un po’ di buon senso.
Dalla base della collinetta da cui abbiamo scattato le foto ci avviamo verso Ovest, attraversando una conca pietrosa poco più bassa del lago. Alzando gli occhi sul pendio di fronte, si intravede una traccia in salita che passa accanto a un alberello isolato. Quella è la nostra direzione, da lì in poi gli ometti diventano ben visibili e numerosi. Si attraversa una terrazza naturale dove non è raro avvistare camosci. La vista sui monti Venina, Masoni e Pes Gerna è davvero interessante. Intorno a noi non c’è anima viva, il silenzio regna sovrano e inevitabilmente le nostre parole svaniscono rapite dalla magia del momento. Il terrazzo naturale culmina con un affaccio nella conca che ospita il lago Zelto. Sotto di noi appaiono due specchi d’acqua separati da una lingua di neve, vista che ci lascia a bocca aperta. Iniziamo la discesa percorrendo un ripido canale di erba e roccette che punta direttamente verso il lago. Nulla di complicato, basta seguire gli ometti per trovare la via migliore. Dopo le roccette le pendenze si ammorbidiscono e si potrebbe scendere al lago saltando da una pietra all’altra. Invece gli ometti ci guidano ad aggirare, sulla destra, uno sperone roccioso rendendo così la discesa più agevole.
Ci abbassiamo di quota compiendo un ampio semicerchio fino a una valletta leggermente più bassa dei laghi. Saliamo brevemente per raggiungerli (2007 metri). Ci troviamo al cospetto di due gioielli naturali che giocano con la neve e le rocce circostanti regalando effetti cromatici sorprendenti. Il nome Zelto è un chiaro riferimento al fatto che questo bacino, essendo in zona d’ombra, per gran parte dell’anno è ricoperto di neve che d’estate rimane a lungo confinata sulle sue rive. Il fatto che venga chiamato al singolare lascia supporre che un tempo il lago fosse uno solo, successivamente diviso in due da una frana. Andiamo a tastare la neve: è compatta e abbondante, così ci avviciniamo al lago orientale. Avanziamo fino al limite delle acque e ci accorgiamo che la neve ricopre una parte della superficie del lago, ma è talmente abbondante che appoggia sul fondo del lago. Giriamo di qua, poi di là, come dei bimbi che si divertono a pestare la prima neve. Ci dirigiamo verso il lago occidentale che, pur mostrando minori quantitativi di neve, risulta ugualmente divertente da circumnavigare.
Gli ometti riprendono in corrispondenza della riva settentrionale del secondo lago. Attraverso per prati incolti ci guidano all’imbocco di un sentierino che, serpeggiando tra cespugli di nocciolo, si abbassa di quota fino a raggiungere una presa d’acqua con un ponticello (1770 metri), posta lungo il sentiero CAI n° 213 che collega i rifugi Calvi e Gemelli. Lo seguiamo a sinistra in direzione del lago di Sardegnana. Il percorso procede allegramente in piano e, dopo aver superato il bivio per il lago dei Frati/Passo d’Aviasco, entra in una ampia valle. Siamo nel Vallone. A metà circa dell’avvallamento si nota un evidente ometto di sassi a fianco del sentiero. Inizia qui la traccia per il lago del Vallone.
Fatica pura: è una “ravanata” di 500 metri di dislivello entro una pietraia, inseguendo ometti che a volte spariscono. Come dice mio cognato Sergio: «bisogna essere molto determinati per raggiungere il lago del Vallone!». Affrontiamo la salita nelle ore più calde, grondanti di sudore, ma è una scelta obbligata per riuscire ad ammirare il lago illuminato dal sole. Nel mese di agosto i primi raggi raggiungono il lago verso mezzogiorno per poi svanire quattro ore più tardi. Il lago in ombra perde molto fascino. Grazie alle nevicate copiose del periodo primaverile quest’anno lo spettacolo è assicurato: pezzi di ghiaccio che galleggiano nell’acqua come sulla banchisa artica durante il disgelo. L’acqua è color turchese e contrasta con il bianco della neve e il grigio delle rocce che circondano il lago. In verità la neve non è proprio bianca ma sulla sua superficie si nota ancora il colore della sabbia del deserto portata fin qui dalle perturbazioni primaverili.
Pur essendo posizionato ad un’altitudine relativamente modesta (2226 metri), il lago del Vallone conserva le stesse caratteristiche dei laghi alpini glaciali. Mentre siamo in contemplazione notiamo, a pochi passi da noi, uno stambecco in piena pennichella. Ciondola ripetutamente il capo (in bergamasco diciamo «pisà i pòm», cioè pesare le mele, crollare dal sonno) e le nostre parole non lo svegliano, stranissimo! Proviamo ad avvicinarci con mosse feline ma ecco che, visibilmente indispettito, si rialza e si allontana con grande flemma. Una scena divertentissima.
Il lago è incassato in una conca pietrosa ai piedi del pizzo Torretta. Incontrare qualcuno è assai raro, siamo immersi nella natura incontaminata, è un posto per intenditori. Ci abbassiamo di quota per tastare l’acqua … gelida! La puciatina è rimandata. Con l’animo raggiante iniziamo la discesa che, quanto a tribolazioni, non è meno impegnativa della salita. Tornati al sentiero Calvi-Gemelli, teniamo la sinistra, in direzione Sardegnana. Camminiamo solo per pochi minuti fino ad incontrare una traccia sulla destra (non segnalata, ma evidente) che, abbassandosi di quota, si connette al sentiero estivo per il rifugio Calvi. Raggiunto questo tracciato, lo seguiamo fino alla contrada Pagliari, dove ci concediamo un tuffo nelle fredde acque del Brembo. Completamente rigenerati nel fisico, proseguiamo in scioltezza fino a Carona.
P.S. L’itinerario qui descritto (con partenza dal rifugio Calvi) è lungo 14 chilometri con 800 metri di dislivello positivo. Calcolare 5/6 ore di cammino. Chi sceglie di effettuare il giro in giornata, partendo da Carona, aggiunga 8 chilometri e 900 metri di dislivello positivo (corrispondenti a un paio d’ore). Preciso che ognuno di questi laghi può anche rappresentare la meta di singole uscite rendendo l’escursione decisamente più leggera. Il lago Zelto (se raggiunto dal lago Cabianca) e il lago del Vallone sono consigliati ad escursionisti esperti.
(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)