Il 9 agosto 1936 si corre la maratona. A seguirla più di un milione di persone, stipate lungo il percorso. Un giapponese quasi sconosciuto vince la gara: è Son Kitei. Son controlla gli avversari con facilità e quando decide di andarsene lascia il vuoto dietro di sé. Taglia il traguardo in 2h 29’ 19”, nuovo record olimpico. Al secondo rifila più di due minuti di distacco.
Il pubblico che segue l’arrivo all’interno dello stadio olimpico nota due particolari: Son calza un paio di scarpe con un buco sopra gli alluci. Perché? In effetti le scarpe che indossa sono strette e per evitare le sofferenze alle dita dei piedi ha deciso di ritagliare un buco proprio sopra le dita! Ma ciò che lascia sbigottiti i presenti è la mestizia che accompagna lo sguardo di Son nel momento in cui fa ingresso nello stadio, quando taglia il traguardo e durante la cerimonia di premiazione. Nemmeno un sorriso, un gesto di giubilo o un abbraccio. Il medesimo comportamento si riscontra anche con il terzo arrivato, Shoryu Nan, giapponese pure lui.
In realtà il primo ed il terzo classificato non sono giapponesi, ma coreani. Il vero nome di Son Kitei infatti è Kee Chung Sohn e Shoryu Nan si chiama Nam Sung Yong. Il loro paese è stato annesso al Giappone dopo l’invasione nel 1910.
La dominazione giapponese in Corea aveva assunto un carattere fortemente oppressivo: obiettivo dichiarato era l’annientamento della cultura coreana, della loro religione, delle loro abitudini e delle loro menti con l’imposizione totale della cultura nipponica. I coreani non hanno mai accettato il dominio giapponese. Per i Giochi di Berlino gli atleti coreani sono obbligati a partecipare come giapponesi e perciò vengono cambiati i loro nomi.
La corsa ha fatto parte della vita di Sohn fin dall’infanzia. Son aiuta presto la sua famiglia ad arrivare alla fine del mese facendo dei lavori saltuari qua e là nella città, fra cui le consegne che lo fanno correre da una parte all’altra per tutto il giorno. All’età di 16 anni, Sohn trova un lavoro a Dandong, in Cina, e ogni giorno percorre di corsa 8 chilometri per andare al lavoro e altrettanti per tornare perché non ha i soldi per i mezzi di trasporto.
Sebbene corra per necessità piuttosto che per scelta, la predisposizione di Sohn per le corse su lunga distanza è chiara fin dall’infanzia. All’età di appena 12 anni vince la gara di corsa An-Ui, che si svolge sulla distanza di 5.000 metri, da Sinuiju a Antung. In seguito sceglie di frequentare il Liceo Yangjeong di Seul, famoso per la sua squadra di corsa sportiva.
Fra il 1933 e il 1936 Sohn vince 10 delle 13 maratone a cui prende parte in Corea e in Giappone, qualificandosi per la squadra olimpica. Il 3 novembre del 1935 stabilisce il record del mondo di 2 ore 26 minuti e 42 secondi. Il suo miglior tempo lo registra però in un’altra occasione, il 25 aprile 1935, coprendo un percorso che supera di 520 metri la lunghezza standard della maratona in 2 ore 25 minuti e 14 secondi, equivalenti circa a 2 ore 23 minuti e 28 secondi sulla distanza di maratona!
Benché sia eccitato per la partecipazione all’evento internazionale, ha un peso sul cuore. Sohn è costretto a gareggiare non per la Corea, ma per il Giappone.
Il suo successo è amaro dal momento in cui imbocca il rettilineo finale: la gioia di Sohn è smorzata quando sul maxi schermo compare a caratteri cubitali il suo nome con vicina la bandiera giapponese e non quella coreana. Stessa sorte alle premiazioni quando ad alzarsi sul pennone più alto è il vessillo del paese del Sol Levante mentre la banda intona l’inno giapponese.
La medaglia d’oro di Sohn e quella di bronzo del suo collega coreano Nam Sung-yong, giunto terzo, vengono conteggiate a favore del Giappone nelle Olimpiadi estive del 1936 e tutt’oggi sono accreditate ufficialmente al Giappone. Le foto che immortalano Sohn ci mostrano un uomo con la medaglia d’oro al collo e la testa decorata con la corona d’alloro, ma il capo è chino e il volto visibilmente rattristato. Sohn e Nam si rifiutano di firmare foto e autografi in giapponese. Lo fanno solo scrivendo il loro nome in coreano e nelle interviste chiariscono che la Corea è la loro madrepatria.
Il quotidiano coreano Dong-a Ilbo pubblica fotografie di Sohn e di Nam sul podio con il disegno della bandiera giapponese cancellato dalla loro uniforme. Per rappresaglia il governo coloniale nipponico fa imprigionare otto persone e sospende per nove mesi la pubblicazione del giornale.
Dopo aver vinto la maratona alle Olimpiadi, Sohn frequenta l’Università Meiji in Giappone, dove si laurea nel 1940. Nel 1945, quando la Corea viene liberata dal dominio coloniale giapponese, Sohn è ormai diventato un allenatore di maratoneti coreani. Tra i suoi pupilli si annoverano: Suh Yun-bok, vincitore della Maratona di Boston del 1947 soffiando il record mondiale al maestro con il tempo di 2 ore 25 minuti e 39 secondi; Ham Kee-yong, vincitore della Maratona di Boston del 1950 e, attenzione bene, Hwang Young-cho, medaglia d’oro nella maratona alle Olimpiadi del 1992 a Barcellona. L’anziano Sohn, ormai ottantenne, si reca a Barcellona per vederlo correre.
La figura di Sohn è associata a un misterioso tesoro custodito nel Museo Nazionale della Corea. Si tratta di un elmo greco di bronzo risalente al sesto secolo a.C., donato prima dei Giochi olimpici del 1936 al Comitato organizzatore delle Olimpiadi dal giornale sportivo greco Vradiny perché venisse offerto al vincitore della maratona. Il Comitato olimpico, in linea con le sue regole sul dilettantismo che vieta qualsiasi tipo di remunerazione per gli atleti, non consegna l’elmo a Sohn, ma lo dona al Museo delle antichità (Antikmuseum) a Berlino, dove è rimasto ben conservato per 50 anni. In verità qualcuno afferma che la consegna del regalo a Sohn sia stata bloccata proprio dagli allenatori giapponesi.
Dopo l’inchiesta di un giornalista greco che solleva la questione a livello internazionale, giunge l’intervento del CIO che pone fine alla diatriba. Ad un ricevimento tenuto a Berlino Ovest il 10 agosto 1986, esattamente 50 anni dopo la vittoria del maratoneta coreano, Willi Daume, membro del Comitato Olimpico Internazionale e presidente del Comitato Olimpico della Germania consegna nelle mani di Sohn lo storico elmo. Sohn ha 74 anni. L’elmo è di stile corinzio, con protezione del naso e delle guance, è alto 21,5 cm ed è stato forgiato nel sesto secolo a.C. il periodo più florido delle Olimpiadi greche. Fu scoperto in Grecia dall’archeologo tedesco Ernst Curtius nel 1875.
Sohn, commosso per l’evento, decide di donarlo al Museo Nazionale della Corea: “Questo elmo non appartiene a me, ma alla nostra nazione”. Questo oggetto occupa un posto importante nella storia della Corea, come ricordo del turbolento passato della nazione. Sohn si spegne nel 2002 all’età di 90 anni.