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Il pizzo Farno, un po’ brembano e un po’ seriano

Articolo. Dedichiamo una delle ultime escursioni in alta montagna prima delle nevicate autunnali al pizzo Farno che non è da confondere con il monte Farno della Valgandino. Dopo i furori estivi, quest’oggi scegliamo di ridurre il dislivello partendo in quota, dai 1600m delle baite di Mezzeno, in territorio di Roncobello.

Lettura 6 min.
Verso il lago Colombo

Il pizzo Farno ha un carattere schivo e non ama mettersi in mostra. Gli onori del palcoscenico li lascia ai fratelli più celebri, eppure è un monte amabile con un cuore pulsante, un po’ seriano e un po’ brembano … sì perché se ne sta proprio sullo spartiacque tra le due valli. Scorgerlo dal fondovalle è impossibile, tuttavia regala grandi soddisfazioni a chi, armato di buona volontà, decide di salirlo. La docile morfologia e la particolare ubicazione la rendono una cima raggiungibile da molte località: dalle seriane Valgoglio (per la Valsanguigno) e Valcanale (per il rifugio Alpe Corte e il passo laghi Gemelli), oppure dalle brembane Carona (per il rifugio Laghi Gemelli) e Roncobello (per le baite di Mezzeno e il passo di Mezzeno). Il pizzo Farno si presta anche per ampi giri ad anello che toccano ambienti incontaminati di rara bellezza.

Roncobello è un comune della Valsecca, laterale della val Brembana, che ha in Bordogna, Baresi e Capovalle le frazioni più rilevanti. Giovanni da Lezze, inviato dalla Serenissima nel 1596 a rendicontare il territorio bergamasco, aveva indicato Baresi come borgo più importante della vallata, mentre Bordogna, Costa Roncho (Roncobello) e Co de Val (Capovalle) erano considerate contrade minori. Lo sviluppo turistico dei primi anni del novecento ha invece conferito progressiva importanza a Roncobello, rendendolo, negli anni, il borgo principale e più popoloso della Valsecca. È proprio di questo periodo (1905) la realizzazione del Grand Hotel (conosciuto anche come il «Grande Albergo»), struttura ricettiva di lusso che ha contribuito ad accrescere la fama di Roncobello richiamando in zona molti turisti dell’alta borghesia. Dopo il fulgore iniziale, il primo conflitto mondiale diede inizio ad un lento declino che culminò, verso la fine degli anni settanta, con la chiusura dell’attività. Oggi la struttura è stata convertita in miniappartamenti mantenendo, tuttavia, la fisionomia di un tempo.

Il termine valsecca, nell’immaginario collettivo, lascia intendere una valle arida, priva d’acqua di superficie ma, in questo specifico caso, il riferimento al termine latino siccus (secco) è insostenibile perché il torrente Valsecca scorre assai copioso nel suo alveo. Quindi? Dobbiamo allora risalire alla radice preistorica indoeuropea seik (o seka) col significato di flusso, versamento. Ecco allora che tutto torna.

Quanto a Roncobello, sappiamo che deriva dal termine latino medioevale runcus, terreno dissodato. Poiché le località con questo nome in Italia erano numerose, un regio decreto del 1863 impose la differenziazione e così divenne Roncobello. La tradizione popolare narra che l’aggettivo sia stato voluto dal re Vittorio Emanuele II in persona, rimasto affascinato dalla bellezza del luogo ma non esiste alcuna evidenza storica di tale evento.

Percorriamo in auto tutta la Valsecca, concedendoci una breve sosta presso l’antica fontana di verrucano a Capovalle. Poco oltre la fontana inizia la strada a pedaggio che conduce a Mezzeno (ticket da 2 euro presso il totem a lato della strada). Posteggiamo al termine della strada, nel cuore della conca pascoliva delle baite di Mezzeno (1600m), ed iniziamo il cammino lungo il sentiero CAI n° 215, diretto al rifugio Laghi Gemelli. Siamo su uno dei percorsi escursionistici più gettonati delle Orobie ma, considerata la precoce ora antimeridiana, incontriamo pochissima gente.

La fontana di Capovalle
La fontana di Capovalle
(Foto Guido Valota)
Le baite di Mezzeno
Le baite di Mezzeno
(Foto Guido Valota)
L’aquila di Mezzeno
L’aquila di Mezzeno
(Foto Guido Valota)

Si guadagna subito quota passando entro un rado bosco. Spicca una scultura d’aquila ricavata nel tronco di un albero spezzato da un fortunale. Nei pressi delle prese dell’acquedotto, quota 1800 m circa, si abbandonano gli ultimi alberi e in breve si giunge alla baita delle Foppe (1862m). Le pendenze si fanno ora più morbide fino alla piccola baita della Croce (1933m), nel cuore di un dolce pianoro. Dinnanzi a noi l’erto pendio che conduce al passo di Mezzeno. Senza indugi affrontiamo la rampa che si rivela meno ostica del previsto (sarà il buon livello di allenamento estivo?). In breve siamo al passo di Mezzeno (2144 m), uno dei rari valichi prealpini contraddistinti da una croce. La vista si apre, splendida, sui laghi Gemelli con le sue acque cristalline in cui si specchiano i monti d’intorno. Dopo le foto di rito, riprendiamo il cammino abbandonando il sentiero principale per imboccare l’evidente traccia che si stacca sulla destra del passo (procediamo in direzione Est). Con un traverso panoramico sotto la cima di Mezzeno (detta anche cima Papa Giovanni Paolo II in ricordo del Papa alpinista), tra pietroni e rododendri, si guadagna rapidamente il passo dei Laghi Gemelli (2139m), dove incrociamo il sentiero n° 216 proveniente dal rifugio Alpe Corte. Inizia ora la parte più interessante dell’itinerario. Proseguiamo sempre verso Est rimontando una balconata rocciosa con vista superlativa sui monti della Valcanale. Siamo su un sentiero secondario, meno marcato, ma comunque evidente. A guidarci sono dei bolli bianchi un po’ sbiaditi e alcuni ometti di pietra. Guardando verso Nordest si scorgono chiaramente il pizzo Farno e il passo di Valsanguigno, nostre prossime mete.

La baita della Croce con il passo di Mezzeno
La baita della Croce con il passo di Mezzeno
Il passo di Mezzeno
Il passo di Mezzeno
Verso il passo laghi Gemelli
Verso il passo laghi Gemelli

Affrontiamo un breve passaggio leggermente esposto, che richiede un briciolo di attenzione, e poi, mantenendo sempre la quota, ci spingiamo verso la valle del Farno, sotto l’occhio vigile del monte Corte, incombente sopra di noi. Per pietraie e rari ciuffi d’erba, risaliamo tutta la valle del Farno fino al passo di Valsanguigno (2306m), affacciato sull’omonima valle, una perla delle Orobie. Spettatori curiosi sono un gruppo di giovani stambecchi che paiono volersi avvicinare per giocare. Giovanni prova a stringere amicizia ma la natura selvatica dell’ungulato prende istintivamente il sopravvento e … clop clop, con due morbidi passi eccolo ristabilire le dovute distanze.

Il pizzo Farno è lassù, a sinistra. Osservato da qui appare complicato da raggiungere, ma non bisogna demordere, il sentiero non affronta la minacciosa balza rocciosa finale. Così attacchiamo fiduciosi l’erto crinale fino alla base della parete rocciosa. Il percorso aggira la cima attraversando il versante occidentale del Farno, fino ad una selletta pietrosa posta sul lato Nord, da cui si accede facilmente alla vetta.

Dalla croce si gode di un panorama sorprendente: con rapidi colpi d’occhio si passa, in un attimo, dalle cime brembane a quelle seriane, tutte ravvicinate tra loro, come se facessero parte di un unico comprensorio. Da questo punto di osservazione privilegiato riusciamo anche a studiare i percorsi di nuove scorribande.

Riguardo all’origine del nome Farno occorre fare una precisazione: alcuni studiosi lo riferiscono al latino farneus, maschile di farnea, un tipo di quercia. Pensando al pizzo Farno, con i suoi 2506m di quota, risulta però difficile credere all’esistenza di querce in zona. È più verosimile l’ipotesi che fa risalire il nome a faren, dal celtico fair, monte.

La soddisfazione è tanta ma le emozioni non sono ancora finite. La giornata è favorevole e anziché rientrare tornando sui nostri passi propongo una variante: «che ne dite se facciamo il giro passando dal monte Aviasco, poi dal passo d’Aviasco, quindi giù al lago Colombo e poi al rifugio laghi Gemelli?». Rassicuro sulla tranquillità del percorso, sottolineando anche la bellezza dell’itinerario. Così, tornati alla selletta Nord, deviamo a destra seguendo l’evidente traccia che conduce al passo Valsanguigno Nord. In lontananza due camosci fuggono fischiando allarmati, mentre notiamo altri stambecchi pascolare indisturbati. Nel mentre giunge legittima una domanda: «ma i camosci pascolano o brucano?». Le risposte che proviamo a darci denotano una certa fragilità in materia così rimandiamo la questione alla sera, con l’immancabile tuffo nel web. Senza grandi approfondimenti zoologici parrebbe che pascolare sia principalmente riferito al mangiare l’erba (tipico di bovini e ovini) mentre brucare indicherebbe il mangiucchiare a piccoli morsi gemme e foglie (tipico di capre, caprioli e stambecchi). Il camoscio è un erbivoro anomalo perché fa entrambe le cose.

Cuccioli di stambecco
Cuccioli di stambecco
L’alta Valsanguigno
L’alta Valsanguigno
In cerca nuove amicizie
In cerca nuove amicizie

Torniamo a noi. Al passo prendiamo la traccia (numerosi ometti indicano la via) che procede in direzione Est superando un paio di conche e vallette che fino a metà agosto ospitavano ancora chiazze di neve. L’ambiente è arido e selvaggio ma al tempo stesso intrigante e accogliente. Nonostante la stagione autunnale ormai imminente, le rare chiazze d’erba sfoggiano ancora fioriture multicolori. Attraversiamo le pendici settentrionali delle cime di Valsanguigno per poi guadagnare, con una breve salita, l’ampia dorsale del monte Aviasco. È una montagna anomala, abbastanza alta (2408m) che, tuttavia, non possiede una cima ben definita (sulla presunta sommità solo un mucchietto di sassi e un paletto metallico). È un collinone erboso molto allungato, costellato di pietre e rocce levigate dai ghiacci, che tende umilmente a passare in secondo piano rispetto alla mole dominate del monte Pradella. Eppure percorrere tutta la dorsale è un vero piacere: ci si sposta liberamente da un lato all’altro, sbirciando ora il brembano lago Colombo, ora il seriano lago d’Aviasco. Così senza fatica si scende al passo d’Aviasco occidentale (2300m). Anche questo passo presenta due valichi vicini tra loro. Quello “ufficiale”, riportato sulle cartine, è alla nostra destra, a quota 2289m, affacciato sul lago d’Aviasco mentre quello occidentale, così chiamato per convenzione, è invece affacciato sul lago Colombo. Entrambi i passi fan da corona alla testata della valle dei Frati. Anche qui gli stambecchi sono numerosi e sembrano impazienti di conoscerci.

Dal passo, percorrendo il sentiero CAI n° 214, scendiamo comodamente al lago Colombo (2038m). Attraversata la diga imbocchiamo il sentiero CAI n°250 che ci guida al rifugio Laghi Gemelli (1968m). Se fino a pochi istanti fa eravamo in compagnia solo di stambecchi e camosci, ora ci troviamo circondati da escursionisti di ogni genere. Al rifugio c’è molta gente…mi sento quasi a disagio. Non ci fermiamo ma puntiamo dritti al passo di Mezzeno. Un ultimo sguardo ai laghi e poi giù, verso le baite di Mezzeno. Un ottimo piatto di polenta taragna ci attende al rifugio Valle del Drago di Baresi.

P.S. l’escursione qui descritta è lunga 17 km ed ha un dislivello positivo di 1300 m circa. Calcolare sei ore abbondanti di cammino. È un itinerario privo di difficoltà alpinistiche ma, sviluppandosi su sentieri non ufficiali, richiede buona capacità di orientamento e abitudine alle escursioni in alta montagna.

Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli, salvo ove diversamente segnalato

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