93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Il monte Madonnino, lo spartiacque tra Val Brembana e Valle Seriana

Articolo. Sulla vetta a 2501 metri ci accoglie la bella statuetta bianca della Madonna, simbolo della montagna. Ai nostri piedi le meraviglie che ciascuna delle due valli custodisce amorevolmente. L’escursione è lunga 18km con 1400m di dislivello positivo ed è consigliata ad escursionisti esperti con un buon livello di allenamento. Si percorre in sette ore e mezza di cammino

Lettura 6 min.
I laghi Succotto e Cernello visti dal Madonnino

Il monte Madonnino è una cima molto particolare: l’intrigante fisionomia triangolare, la strategica posizione a cavallo tra Valle Seriana e Val Brembana e i sorprendenti panorami la rendono una meta molto ambita dagli escursionisti. È una salita parimenti affascinante sia affrontata da Carona che dal versante seriano.

Quest’oggi abbiamo optato per l’itinerario seriano con partenza da Valgoglio, piccolo borgo pochi chilometri sopra Gromo. Le giornate afose di questo mese d’agosto consigliano una partenza all’alba per riuscire a godere dei panorami prima che le nebbie ricoprano le cime dei monti. Così, di primo mattino, eccoci a Valgoglio, mentre il campanile sta rintoccando l’ora settima.

Il paese deve il suo nome al torrente Goglio, da goi, che in molti dialetti lombardi identifica il «tonfano», una pozza di fiume con acqua profonda. La presenza di miniere di ferro e di fucine per la lavorazione del metallo (queste ultime concentrate soprattutto nella frazione Colarete) hanno rappresentato l’attività principale per la popolazione fin da tempi assai remoti. Fiore all’occhiello di tali opifici erano le spade e le armi da taglio, oltre che armature e corazze. A tal riguardo mi piace citare le parole del Maironi da Ponte che nel 1819 raccontava «…ho veduto spade quivi fabbricate e di una perfezione da pareggiare le migliori che ci vengono dalla Ispagna» ... le lame di Valgoglio che eguagliano quelle di Toledo? Che magnifico guizzo di orgoglio orobico!

Il 1° novembre del 1666 una devastante alluvione colpì la vallata. La furia delle piogge generò una frana che, staccatasi da cima Bani, raggiunse l’alveo del fiume creando un’occlusione con la conseguente formazione di un lago. La veemenza delle acque sfondò lo sbarramento e un’imponente ondata di piena precipitò a valle causando vittime e distruzione. A distanza di 150 anni dal tragico evento il Maironi da Ponte lo ricorda con le seguenti parole: «…nella contrada di Goglio, essendovi in essa mancate di vita sessantatre persone sotto le rovine di un pezzo di montagna caduta, ed asportate per tal causa non solo le abitazioni di tutta la suddetta contrada, ma distrutti li terreni colle rovine di trentadue edifizi, che erano il loro sostentamento, non vedendosene alcun vestigio, ed essendo rimaste cinquecento persone circa senza ricovero e modo di sostenersi». Solo alcune fucine vennero risparmiate ma, nonostante le agevolazioni tributarie concesse da Venezia, la popolazione, completamente impoverita e nell’impossibilità di ricostruire quanto andato perduto, si vide costretta a convertire la propria economia in attività silvo-pastorali.

La vocazione mineraria di Valgoglio ha avuto un sussulto nel gennaio del 2007 quando, dopo trent’anni di studi e ricerche, l’ingegnere chimico Renato Marsetti, pubblicò uno studio in cui rilevava la presenza di oro nel torrente Goglio e nelle rocce vicine all’alveo. In effetti esistono documenti del 1500 che testimoniano il ritrovamento e la lavorazione del prezioso metallo ma, probabilmente, i quantitativi erano talmente modesti da non giustificarne lo sfruttamento minerario. L’eco di tale scoperta bastò per attirare sulle rive del Goglio solerti ricercatori muniti di batea e paletta a setacciare le sabbie del torrente. Il fenomeno durò molto poco: le pagliuzze d’oro raramente rinvenute erano così piccole da scoraggiare nuovi avventori.

Oltrepassiamo l’abitato di Valgoglio per salire alla contrada Bortolotti (1146m), dove è possibile posteggiare in prossimità del «Ristoro 5 laghi» (ticket giornaliero 5 euro). Ci immettiamo sul sentiero CAI n° 228 diretto alla baita Cernello. Dapprima si cammina su una ripida strada asfaltata a fianco della condotta forzata, poi, superata una baita con una bella sorgente, ci si addentra nel bosco. Le pendenze sono sempre sostenute fino a quota 1455m, dove ci si immette su una strada sterrata che permette di respirare. Raggiungiamo la caratteristica fontana di prec , ricavata in un tronco d’abete (dove consiglio di rifornirsi d’acqua), e pochi minuti dopo, si abbandona la strada (1560m) (cartelli indicatori) per riprendere a salire con decisione. Il sentiero si inerpica con stretti tornanti sulla bastionata rocciosa fino a sbucare nella conca dove si trovano le abitazioni del villaggio Enel (1800m), recentemente ristrutturate. L’atmosfera è surreale: le strutture degli impianti idroelettrici (tralicci, condotte, canali e piattine) conferiscono al paesaggio uno spiccato sapore post-industriale, ma le possenti pareti rocciose delle montagne circostanti e i magnifici specchi d’acqua riescono magicamente ad addolcire l’atmosfera.

Prima di raggiungere il villaggio Enel, al bivio, teniamo la destra mantenendoci sempre sul sentiero n° 228. In breve si sale all’altezza della diga del lago Succotto (1850m), se ne contorna una piccola ansa per puntare alla soprastante baita Cernello (1956m). Posizionata a ridosso del lago Cernello, la baita era stata realizzata negli anni ’50 come alloggio per gli operai impegnati nella costruzione della diga. A lavori terminati, venne utilizzata come ricovero dai pastori e, infine, nel 1978 trasformata in rifugio, oggi gestito dal CAI di Alzano. I volontari si alternano nella conduzione del rifugio, garantendo l’apertura nei finesettimana estivi e per tutto il mese di agosto. Camminiamo da un’ora e mezza, una pausa caffè è d’obbligo.

Con rinnovate energie, ci prepariamo per l’attacco finale al Madonnino. Dalla baita, con direzione Est, imbocchiamo il sentiero CAI n° 230, diretto al passo Portula. Si risalgono i pendii pratosi del monte Signale sino a sbucare sul crinale sudorientale del Madonnino, a quota 2195m. Ci troviamo affacciati sulla conca del Cardeto con i suoi splendidi laghetti. Saliamo lungo la linea di cresta che, in un breve tratto è piuttosto aerea, mantenendoci sempre sul sentiero, molto evidente. A quota 2340m circa, il sentiero n° 230 abbandona il crinale per dirigersi, a destra, verso il passo Portula. La cima del Madonnino è appena sopra di noi. Rimaniamo sul crinale e, con un ultimo sforzo, eccoci in vetta (2501m). Ad accoglierci la bella statuetta bianca della Madonna, simbolo della montagna. Siamo sullo spartiacque tra Val Brembana e valle Seriana e, da quassù, si possono ammirare le meraviglie che ciascuna di esse custodisce amorevolmente. Allargando lo sguardo verso l’orizzonte scorgiamo anche le Alpi che paiono molto vicine. Fortunatamente siamo partiti presto perché sulle cime più alte le nuvole fanno già capolino.

La maggior parte degli escursionisti torna a valle per il medesimo percorso dell’andata. Per rendere invece più appagante l’escursione, consiglio di rientrare effettuando un percorso ad anello. Così, tornati sui nostri passi fino a quota 2340m, prendiamo il sentiero 230 diretto al passo Portula. Un traverso tra ripidi prati costellati di sassi conduce dapprima al valico del Portulino (2305m) e, poco dopo, al passo Portula (2278m), affacciato sulla conca del rifugio Calvi. Ci troviamo nel punto chiave del celeberrimo «Trofeo Parravicini», classicissima di scialpinismo: dal Portulino gli atleti, messi gli sci in spalla, risalgono il ripido crinale Est del Madonnino (che oggi non abbiamo volutamente affrontato in discesa per evitare inutili tribolazioni).

Al passo Portula prendiamo il sentiero CAI n° 233 che si addentra nella meravigliosa conca del Cardeto. Ci si abbassa di quota fino alla baita alta di Cardeto (1940m), dove esistono due possibili percorsi: raggiungere la vicina baita Cardeto di mezzo, alias baita Flavio Rodigari, ove è possibile rifocillarsi (previo il versamento di una modestissima quota associativa), oppure effettuare il suggestivo giro dei laghi seguendo il sentiero n° 233A. Per curiosità e dettagli escursionistici relativi alla zona faccio riferimento ad un precedente articolo.

Non siamo ancora affamati pertanto optiamo per il giro dei laghi. Le torride temperature anche a queste quote invitano ad una puciatina, ma questi sono laghetti poco profondi: la presenza di alghe e muschi acquatici rendono poco piacevole l’immersione. Rinunciamo a malincuore e proseguiamo il cammino fino a raggiungere il lago basso di Cardeto (1708m). Mentre ci concediamo una piccola pausa contemplativa, mi tornano alla mente le parole dell’amico Aldo, originario di Gromo, quando mi raccontava le peripezie dei giovani gromesi negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso: «con il sopraggiungere dei primi freddi, quando la superficie del lago ghiacciava, si saliva a piedi al Cardeto e, muniti di pattini di ferro applicati a mo’ di ramponi sotto gli scarponi, ci dilettavamo in splendide pattinate al cospetto del Madonnino; quando invece la conca si copriva di neve, noi giovani atleti dello Sci Club Gromo, salivamo con gli sci da fondo in spalla e, dopo un’accurata opera di battitura “manuale” della pista, ci dedicavamo a strenui allenamenti intorno al lago, giocando così d’anticipo rispetto agli altri atleti costretti ad aspettare le nevicate alle quote più basse». Considerate che un escursionista medio impiega circa due ore per raggiungere la conca del Cardeto da Gromo…altri tempi, altre generazioni!

Salutiamo il lago basso e ci riconnettiamo al sentiero 233, diretto alla Ripa di Gromo. Dopo una mezzoretta, superata la radura della baita Nedulo, si entra nel bosco. Ancora un breve tratto e giungiamo al bivio (1400m) con il sentiero CAI n° 281 diretto a Masoni. Lo imbocchiamo molto volentieri perché è un piacevole percorso in leggera discesa immersi nella frescura del bosco. Un’altra mezzoretta ed eccoci sbucare nei pressi della località Masone. Il sentiero si immette su una strada asfaltata che attraversa l’altipiano pascolivo di Selva d’Agnone, un bellissimo pianoro costellato di baite meravigliose baciate dal sole.

Nel minuscolo nucleo abitato che sorge nel mezzo dell’altipiano spicca il piccolo oratorio cinquecentesco di Sant’Antonio Abate (1224m). La chiesetta, nonostante la distanza dal paese, vanta una tradizione storica e devozionale non inferiore a quella delle altre chiese di Valgoglio. La festa di sant’Antonio, da sempre legato alle genti di montagna per il suo legame col bestiame, invece che a gennaio, per ovvi motivi climatici, viene celebrata la seconda domenica di luglio, con una delle ultime processioni campestri rimaste nella diocesi di Bergamo. All’interno dell’oratorio è possibile ammirare la statua del Santo ai cui piedi emerge un maialino che sembra quasi sorridere. Proseguiamo lungo la strada asfaltata ancora per un breve tratto fino a raggiungere il posteggio in località Bortolotti.

P.S. l’escursione qui descritta è lunga 18km con 1400m di dislivello positivo, calcolare sette ore e mezza di cammino. Considerando lunghezza, dislivello e il breve tratto aereo di cresta (non esistono passaggi tecnici di roccia), è consigliata ad escursionisti esperti con un buon livello di allenamento.

N.B. su alcune app escursionistiche (come nella mappa allegata all’articolo) la località Selva d’Agnone è erroneamente riportata in prossimità della contrada Bortolotti. In realtà essa comprende l’altipiano e i boschi della contrada Masone, trecento metri di quota sopra l’abitato di Valgoglio.

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli eccetto dove diversamente indicato)

Approfondimenti