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Il mondo visto dal brolo Fumagalli sul colle di San Vigilio

Intervista. È un angolo di terra situato lungo la via Orsarola (dietro al Monte Bastia) che racconta storie, cambiamenti e speranze. Viene custodito da Dante Fumagalli che ogni giorno, da anni, lo osserva

Lettura 6 min.

Il termine “brolo” deriva dal latino broglus, che indicava un piccolo orto o giardino, spesso vicino a una casa o a un edificio rurale. Originariamente, il brolo era uno spazio coltivato ad uso familiare, dove si piantavano frutti, erbe aromatiche o fiori, e a volte si allevavano anche piccoli animali.

Nel corso dei secoli, il brolo ha assunto un significato più ampio, diventando un giardino curato che può però conservare un legame con la natura selvaggia. In passato, i broli erano luoghi di lavoro agricolo, ma anche di incontro e di riposo per le famiglie contadine. Ogni famiglia ne aveva uno, simbolo di sicurezza e connessione con la terra. Nel contesto bergamasco, i broli si trovano spesso ai margini dei paesi o tra le colline, adatti alla coltivazione di frutti, ortaggi e fiori.

Con il tempo, questi spazi sono diventati giardini storici, dove la tradizione e la natura si intrecciano, come nel caso del brolo di Dante Fumagalli. Oltre alla coltivazione di piante da frutto, il brolo ha sempre avuto un’importanza per la cura delle piante medicinali e aromatiche, che venivano usate per preparare rimedi naturali. Questo legame con la natura e la conoscenza pratica si riflette nella professione di Dante come farmacista, ma affonda anche le sue radici in un passato che mescola tradizione e natura.

Oggi, questi giardini storici continuano a essere luoghi di riflessione e creatività, dove la memoria familiare e le tradizioni si tramandano di generazione in generazione, mantenendo viva la storia di questi spazi e il loro legame con la cultura rurale.

ARM: Com’è nato il Brolo Fumagalli e che cosa rappresenta per lei oggi?

DF: Ha una storia antichissima. Già nei censimenti ottocenteschi, come quelli che ti sto mostrando, si trovano documenti che testimoniano la presenza di gelsi, voluti dalla Repubblica di Venezia per la produzione della seta. Ancora prima, dalle pendenze del terreno, si intuisce la presenza di antichi vigneti. È sempre stata una terra fertile, che nel tempo ha saputo adattarsi ai bisogni e alle tradizioni che cambiavano.

ARM: Cosa prova a vivere ogni giorno in un luogo che ha radici così profonde?

DF: È un’esperienza difficile da spiegare. Camminare nel brolo è come attraversare il tempo. Ogni albero, ogni sentiero conserva i ricordi di chi ci ha preceduto. Quando cammino qui, sento la voce di mio padre, l’amore di mia moglie, le risate dei miei amici, il peso della memoria, ma anche la leggerezza di una vita semplice, fatta di stagioni e di lavoro della terra. Il brolo ci parla, se abbiamo la pazienza di ascoltarlo.

ARM: Il brolo circonda una dimora carica di arte, aneddoti e storia. Che valore ha per la sua famiglia questo intreccio tra natura e memoria?

DF: Per noi è tutto. Il brolo è un patrimonio di famiglia tanto quanto la casa. È il teatro di tante storie che ancora vivono in noi. Un ricordo affettuoso è quello dell’ “Aquilino d’argento”: un uomo che, ubriaco, cadde nel nostro brolo e chiese a mio padre un anticipo su una moneta rara che sosteneva di aver perso lì. Mio padre, con ironia, gli rispose che avrebbe potuto cercarla quanto voleva... chissà, magari sarebbe spuntato anche un albero di monete! Sono piccoli racconti che parlano di un mondo contadino fatto di ingegno, leggerezza e un pizzico di magia.

ARM: Durante la visita non ho potuto fare a meno di notare le scritte in cantina e i quadri floreali...

DF: La cantina è il cuore pulsante del brolo: lì conserviamo marmellate, vini e mieli. Le scritte, come «nolite inebriarvi vino», nascondono sempre un sorriso e un invito alla riflessione. I quadri floreali sono invece merito di mia moglie, che ha sempre avuto una grande passione per i fiori. Lei ha trasformato il brolo anche in un piccolo paradiso di colori: i fiori attirano insetti, api, farfalle e contribuiscono a creare, ogni primavera, una straordinaria trama vegetale. Nel prato fiorito si intrecciano specie diverse, spontanee e coltivate, e l’effetto è una sinfonia di vita che racconta il valore ecologico di lasciare spazio alla biodiversità.

ARM: Quando coltivate le rose e le piante da frutto, che cosa cercate davvero? Bellezza, memoria o speranza?

DF: Cerchiamo equilibrio. La bellezza è importante, ma non basta: ogni pianta è un legame con chi è venuto prima di noi e un gesto di speranza verso chi verrà. Le rose, in particolare, sono il nostro orgoglio: abbiamo varietà scenografiche e rifiorenti e come la Sanguinea Bankia, rose antiche inglesi come la York and Lancaster e la Canary Bird. Ogni rosa ha un carattere, una storia da raccontare, un colore che sa toccare l’anima. Vorrei tanto che mia moglie fosse qui per raccontarti delle nostre spedizioni per trovare le varietà più insolite e inebrianti.

ARM: Quanto sente viva l’eredità scientifica e creativa della sua famiglia nella produzione di marmellate, vini, mieli e nei profumi della cucina a km0?

DF: Moltissimo. Non si tratta solo di sapere come si coltiva, ma di capire a fondo il carattere di ogni pianta, rispettandone i tempi e le esigenze. Nelle marmellate, nei vini, nei mieli c’è il nostro sapere scientifico, ma anche l’amore per il territorio. È un modo per mantenere viva una tradizione che non vuole essere nostalgica, ma profondamente attuale, come testimonia la popolarità della cucina a Km0, che per noi è da sempre uno stile di vita. Non c’è soddisfazione più grande che godere del proprio raccolto nella brutta stagione aprendo un vasetto di marmellata, perché durante quella bella ogni sapore straordinario pare scontato.

ARM: Qual è il ruolo del compost nel suo giardino? Può parlarci dell’importanza di questa pratica per la salute del terreno?

DF: Il compost è fondamentale per mantenere il terreno sano e fertile. Nel nostro brolo cerchiamo di ridurre al minimo l’utilizzo di fertilizzanti chimici, perché vogliamo che il nostro giardino rimanga il più naturale possibile. Il compost è un metodo naturale per nutrire il terreno e mantenere un ecosistema equilibrato, dove le piante possono crescere in armonia con la fauna. È anche un modo per praticare l’agricoltura a km0, rispettando la terra e facendo in modo che nulla vada sprecato.

ARM: Oggi si parla molto di piante esotiche per fronteggiare i cambiamenti climatici. Lei coltiverebbe specie come mango o avocado, come fanno in Sicilia?

DF: Sono un po’ tradizionalista, devo ammetterlo. Ma la natura insegna a essere flessibili: con il kiwi, ad esempio, è andata molto bene e ormai sembra di casa anche qui. Quindi chissà... mai dire mai! Se riuscissimo a integrare specie nuove senza perdere la nostra identità, potrebbe essere una sfida interessante.

ARM: Il brolo è anche luogo di musica, di incontri, di lezioni. Che cosa prova quando le voci e i canti riempiono questo spazio antico?

DF: Il brolo è sempre stato un luogo di incontri, di condivisione, di scambi. La musica, le voci, i canti che si sentono nel giardino sono come un’eco del passato che continua a vivere nel presente. Ogni evento che si svolge qui aggiunge un pezzo di storia a questa terra. Quando vedo i giovani, i nipoti e gli amici, la famiglia Fumagalli — che ha rami anche in Brasile e che spesso ritornano qui alle radici — riunirsi nel brolo, cantare, imparare, mi sento parte di qualcosa che va oltre il tempo e che continua a vivere e a crescere. È un segno che il brolo non è solo mio, ma di tutti coloro che vogliono imparare e apprezzare la bellezza di questo luogo.

ARM: Guardando ai cambiamenti del clima e della società, sente preoccupazione per il futuro del brolo? Se potesse salvare un solo momento vissuto qui, quale sceglierebbe per raccontare tutto questo alle generazioni future?

DF: Il cambiamento del clima è una realtà che non possiamo ignorare, e ovviamente ci preoccupa. Ma non dobbiamo dimenticare che il brolo è sempre stato capace di adattarsi ai cambiamenti. L’eredità che lasciamo, fatta di conoscenze, di amore per la natura, di cura per il territorio, è una forza che può affrontare le sfide del futuro. Se potessi scegliere un momento da salvare, sarebbe quello in cui mio nipote, che purtroppo non c’è più, morto di Covid, ha cominciato a produrre birra nel brolo. Era un segno di come il nostro lavoro e la nostra tradizione si potessero unire con l’innovazione, dando nuova vita a un luogo che per me è sempre stato sacro. Anche se il brolo cambierà, il suo spirito resterà sempre il medesimo.

ARM: Come cambia la fauna del brolo? Ha notato qualche evoluzione negli ultimi anni?

DF: Sta cambiando: i tassi sono diventati più numerosi, segno che l’ambiente si sta adattando. Anche la presenza di insetti, come le cimici e le lumache, è in aumento: sono un problema, ma anche un segnale di trasformazione naturale. Tuttavia, monitoriamo costantemente il comportamento degli animali per mantenere un equilibrio sano. Mi preoccupa molto la scomparsa del riccio, che un tempo era comune nei colli di Bergamo: da anni ormai nei nostri terreni non si vede più. Purtroppo, volpi e tassi sono diventati predatori anche dei piccoli mammiferi. In compenso, il canto degli uccelli continua a essere una presenza viva e gioiosa, anche se oggi dobbiamo fronteggiare problemi nuovi, come la sovrappopolazione delle cornacchie, che minaccia altre specie più piccole. A volte mi sembra di assistere a una puntata di National Geographic… ma girata nel nostro brolo.

ARM: Grazie, Dante, per averci aperto il cuore del suo brolo. Per qualche ora sono tornata a quando da bambina raccoglievo le ciliegie sulle spalle di mio nonno.

DF: Grazie a te, Anna. Le radici, si sa, non si vedono... ma sono quelle che tengono in piedi anche l’albero più alto. E sapere che qualcuno vuole ascoltare la loro storia dà forza anche a chi custodisce la terra in silenzio.

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