Non credo di esagerare nell’affermare che questo itinerario rappresenta una delle escursioni autunnali più suggestive delle Orobie. Nonostante la vicinanza ad itinerari molto frequentati, è un percorso poco conosciuto e per questo ancor più affascinante. Nella sua parte alta (ubicata tra i 1800m e i 1900m di quota) il sentiero tocca numerosi roccoli – le tradizionali strutture adibite alla cattura degli uccelli – splendidi esempi di architettura popolare perfettamente integrata nell’ambiente naturale. Testimoni di una cultura alpina che ha avuto il suo massimo sviluppo nel XIX secolo, oggi i roccoli sembrano inesorabilmente destinati alla scomparsa. Questo sentiero, grazie alla preziosa opera di manutenzione di volontari e appassionati, ne mantiene vivo il ricordo.
L’amico Guido è uomo assai esperto di montagna: ha fatto di Baresi, frazione di Roncobello, la sua fissa dimora, pur senza rinnegare le sue origini brianzole. Maestro di sci da fondo ed ottimo scialpinista, vanta una innata sensibilità estetica che lo porta spesso a proporre escursioni in splendidi luoghi. Non esito a chiamarlo. L’appuntamento è per sabato pomeriggio. Le giornate stanno inesorabilmente accorciandosi (sono gli ultimi giorni di ottobre) e per non rischiare di ritrovarci al buio, decidiamo di portare le torce frontali.
Inoltre, per abbreviare il percorso di discesa, scegliamo di parcheggiare un’auto poco prima delle baite di Mezzeno, mentre con l’altra torniamo a Roncobello, dove ha inizio il nostro cammino. Siamo in via Papa Giovanni XXIII, appena sopra l’abitato del paese, nei pressi di un piccolo posteggio (1050m). Anziché seguire il sentiero diretto, Guido propone una variante più dolce che, per comoda mulattiera, ci conduce nei pressi del passo del Vendulo (riconoscibile per la bella Madonnina). Qui intercettiamo il vero sentiero dei roccoli (segnavia CAI n° 272) che, ufficialmente, prende il via più in basso, dalle case di Baresi.
Lo seguiamo, e in breve siamo alla frazione Fraggio (1162m), caratterizzata da una grande casa contadina posta su un bel pianoro erboso, dove ad accoglierci troviamo un gregge di pecore di una razza che non ho mai incontrata sui nostri monti: hanno il naso, le orecchie, le ginocchia e le zampe nere a fare da contrasto con il foltissimo vello bianco. Le corna sono ricurve all’indietro. Docilissime e affettuose ispirano subito simpatia e tenerezza. Scambiamo due parole con l’allevatore Walter, detto Danegia, che descrive le innumerevoli qualità della pecora naso nero del Vallese trasmettendo un entusiasmo e una passione non comuni per un pastore.
Ci fermeremmo volentieri in sua compagnia, ma dobbiamo procedere. Poco oltre Fraggio il sentiero dei roccoli abbandona la mulattiera principale (che conduce alla frazione Cornelli) e svolta a sinistra. Bisogna prestare attenzione al bivio perché il cartello è posizionato dietro un albero nel senso opposto rispetto alla nostra direzione di marcia (!). In questo punto notiamo Guido impugnare i bastoncini che fino a quel momento aveva tenuto, inutilizzati, in una mano. Ne comprendiamo immediatamente il motivo: il sentiero si impenna inesorabilmente, zigzagando a stretti tornanti nel bosco senza concedere un metro di tregua.
La nostra attenzione è rivolta alla ricerca dei bolli bianco-rossi, perché le numerose tracce dei fungaioli, assidui frequentatori della zona, rischiano di confonderci. Gli argomenti di discussione che fino a pochi minuti prima avevano dilettato il nostro cammino adesso lasciano il posto al ticchettio dei bastoncini in un alternarsi ritmico con gli sbuffi del respiro, decisamente affannoso. Ora più che mai apprezziamo la saggezza di Guido che riesce a trovare preziose pause contemplative per ammirare alcune peculiarità del luogo: i rossastri pinnacoli rocciosi di Verrucano Lombardo (nella sua migliore espressione), la curiosa simbiosi tra un faggio e due abeti uniti nel medesimo ceppo di origine, le frasi evocative dipinte sui sassi dal “Cente” Milesi, un pensionato di Fraggio, che ha letteralmente adottato questo tratto di bosco curandolo e personalizzandolo in modo molto originale.
Così, amabilmente distratti, raggiungiamo il passo del Fuslì (1508m), un suggestivo intaglio fra le rocce che qui assumono uno spiccato color rossiccio, simile alla vinaccia. Sporgendosi da una di queste e guardando verso il basso notiamo un camoscio adagiato a riposarsi su un terrazzino naturale. Un nostro involontario fruscìo è sufficiente a farlo scattare in piedi… e a noi non resta che ammirarlo mentre scompare lestissimo nel bosco!
La salita prosegue per un breve tratto su facili roccette, per poi riprendere ancora ripida nel bosco. Quando la vegetazione inizia a modificarsi e gli abeti lasciano spazio ai pini mughi, ecco che le pendenze si fanno più dolci. Raggiungiamo un colletto a quota 1736m e il nostro sguardo, finalmente, allarga i suoi orizzonti verso la vallata di Roncobello. Procedendo lungo il crinale, scorgiamo in lontananza un imponente muro a secco nel bel mezzo del bosco. È stato realizzato per contenere il terrapieno del roccolo del Monte Corno (1814m). Un traverso tra i pini mughi ci conduce rapidamente al roccolo, arditissima costruzione realizzata su un cocuzzolo roccioso a sbalzo sulla valle di Fondra.
Si nota la tipica struttura del roccolo con gli alberi posti a semicerchio intorno al casello in muratura costruito in posizione sopraelevata. Consiglio, a chi non soffre di vertigini, di provare a sporgersi dal roccolo per osservare le rocce su cui è appoggiato. La vista è mozzafiato e l’emozione cresce ancor di più osservando il suggestivo contrasto tra il verde dei pini mughi e il giallo autunnale dei larici e dei sorbi, mentre la nebbia gioca a nascondino con le aguzze rocce rosse.
Inizia ora un tratto suggestivo: il sentiero è stato ricavato aprendo un varco tra l’intricatissima rete di rami e di radici dei pini e ci ritroviamo a camminare letteralmente immersi in un mare di pini mughi. Per un attimo la memoria mi riporta al sentiero Selvaggio Blu, il famosissimo trekking nel Supramonte ogliastrino, nel suo faticoso procedere tra i contorti ginepri e le guglie rocciose a picco sul mare.
In un divertente alternarsi di brevi salite, discesine e lunghi traversi, raggiungiamo, adagiato su una bella sella erbosa, il roccolo della Fontana (1864m), che deve il nome ad una sorgente d’acqua nelle vicinanze. Più avanti, in una radura poco sotto il sentiero, ecco il roccolo dei Larici (1875m), caratteristico perché, per meglio mimetizzarlo, è ricoperto di rami di larice. Entrambi sono ancora attivi come appostamenti fissi di caccia. Si continua verso Est e, superate le deviazioni per la cima Mencucca e per il bivacco dei Tre Pizzi, il percorso diviene più aperto ed agevole fino al roccolo del Veroppio (1860m). Osservando il casello notiamo la caratteristica parte alta lignea con le feritoie di osservazione e la finestrella centrale. Da qui veniva lanciato lo sbrof, uno strumento simile ad una piccola racchetta da tennis che, simulando un falco in volo, serviva a spaventare gli uccelli che dai rami alti del roccolo fuggivano verso il basso rimanendo intrappolati nelle reti.
Risaliamo un breve tratto per guadagnare il bellissimo balcone pratoso soprastante la conca di Mezzeno, il Cap, che ha nella baita di Campo (1879m) il suo fulcro paesaggistico. Alle spalle della baita si intravedono, nascoste tra le nebbie, le pareti calcaree del Corno Branchino, della Corna Piana e del pizzo Arera. Guido ci confessa il suo sogno: realizzare su questo ampio pianoro una pista da fondo! Chi osa dargli torto? Il luogo è ottimamente soleggiato, la quota garantisce la neve per molti mesi l’anno ed il contesto ambientale è tale da fare invidia alle più rinomate località delle Dolomiti.
Proseguiamo sempre sul sentiero CAI n°272 in direzione delle baite di Mezzeno per raggiungere il roccolo del Tino (1870m). Qui incontriamo l’Àngel, che in compagnia della moglie e del figlio trascorrerà la notte al roccolo per la imminente mattinata di caccia. Nello sgabuzzino adiacente al casello si odono ancora i cinguettii delle iscére (viscarde) che domani avranno l’arduo compito di attirare gli uccelli di passo con il loro canto di primavera.
Scambiamo due parole con lui e scopriamo che tutti i roccoli della zona sono costruiti su terreno demaniale che il comune di Roncobello affida in concessione ventennale agli affittuari. Costoro, di generazione in generazione, rinnovano la convenzione, contribuendo a mantenere viva una cultura che ha caratterizzato per secoli l’economia delle nostre vallate. La temperatura è divenuta frizzante, così accettiamo volentieri di entrare nel casello dove ci accoglie il tepore della stufa a legna. La moglie ci mostra, con un pizzico di commozione, un manoscritto incorniciato e affisso al muro, datato 23 gennaio 1944, in cui il nonno Giuseppe Milesi chiede il permesso di costruire il roccolo e riceve il relativo consenso ufficiale dal sindaco di Roncobello. Conserva anche gelosamente una tabella datata 6 agosto 1976 che riporta le tariffe di vendita degli uccelli da richiamo (vivi) che i roccoli di questa tipologia catturavano nelle reti.
Il pomeriggio sta volgendo al termine, ma anziché scendere alle baite di Mezzeno (come indica il sentiero CAI n° 272), il nostro “maestro” suggerisce una variante. Torniamo un poco indietro fino alla baita di Campo e risaliamo la dolce collinetta posta alle sue spalle (in direzione Ovest). Qui, cercando con un po’ di attenzione tra i pini mughi, si imbocca un bel sentiero che scende lungo il crinale. Con lo sguardo sempre rivolto verso la vallata di Roncobello incontriamo due autentici gioiellini, frutto della cura e della passione dei proprietari: il roccolo di Monte Campo (1805m) e, poco più in basso, il capanno di Costa di Campo (1750m).
Le nebbie in dissolvimento e le ultime luci della giornata consentono alcuni scatti meravigliosi. Dopo le soste contemplative riprendiamo la discesa che, abbandonato il crinale, prosegue in direzione Est. Entriamo in un bel bosco di abeti e in pochi minuti raggiungiamo la strada che conduce a Mezzeno, a quota 1550m, proprio dove avevamo posteggiato precedentemente l’auto, giusto in tempo per cambiarci gli indumenti perché il buio si è già impadronito della vallata.
P.S. La stagione migliore per intraprendere questa escursione è l’autunno. La favorevole esposizione al sole consente di camminare coccolati dal tepore dei suoi raggi anche in autunno inoltrato. Nel tratto alto (quello tra i pini mughi) esistono un paio di scalette in ferro che, con l’ausilio di corde metalliche, agevolano il superamento di alcune facili roccette.
P.P.S. L’itinerario proposto (con l’opzione di due auto) ha uno sviluppo di 10km con un dislivello positivo di 1050m. Alternativa meno faticosa, suggerita per chi ha solo un’auto al seguito, è quella di partire dalle baite di Mezzeno (1593m) (strada a pagamento) e seguire il sentiero CAI n° 272 con percorso di andata e ritorno fino al roccolo del Corno.