Se c’è una cosa che amo dell’autunno, è la possibilità di riscoprire i percorsi collinari e una dimensione più morbida del camminare. Estensiva più che intensiva, con chilometri di sentieri e salite dolci da assaporare passo a passo, in un saliscendi che difficilmente supera i duecento metri di dislivello.
Sentieri perfetti per le famiglie con bambini, certo, ma anche per chi ama immergersi in bucoliche atmosfere di boschi e prati, che qua e là lasciano spazio ai filari di vigneti.
Tra le mete predilette per queste peregrinazioni all’insegna del relax e dell’aria fresca, le colline affacciate sulla Valcalepio costituiscono per me uno dei luoghi più suggestivi. Sarà la vicinanza a casa, la bellezza naturalistica o forse quell’affetto che si riserva ai luoghi legati all’infanzia, ma tra i miei sentieri prediletti c’è quello che dal Parco del Pitone (anche detto del Pitù) conduce fino al santuario di San Giovanni delle Formiche.
Un nome quest’ultimo che nell’infanzia suscitava in me un istintivo e automatico solletichio, accompagnato dall’immagine di un enorme formicaio brulicante. Una suggestione non troppo distante dall’effettiva origine del nome, connesso (pare) alle molte formiche svolazzanti che avvolgono l’ex monastero in occasione della festa del ventinove agosto, data in cui si celebra il martirio di San Giovanni.
Non sorprende dunque che la coincidenza abbia indotto i locali ad abbandonare il nome precedente (“San Giovanni in Conidio” con riferimento alla forma a cono dell’altura su cui è situato), in onore della nuova e inaspettata connessione tra il Santo e l’operoso insetto. Tanto da indurre i fedeli locali a rivolgersi proprio a San Giovanni per una richiesta curiosa: debellare le fastidiose formiche.
Ma torniamo a noi. Come dicevo, la partenza dell’itinerario comincia all’ingresso del parco del Pitone, sebbene personalmente preferisca lasciare l’auto in prossimità della Chiesa di Santa Maria Annunciata a Gandosso, in via Prato Alto. Da qui, si prosegue a piedi lungo la strada, che presto lascia spazio a via degli Alpini.
Giungiamo in una decina di minuti all’ingresso del parco, dominato dai tronchi coriacei delle querce, sovrastati da chiome rigogliose. Un vero spettacolo per occhi e spirito, prolungato, più avanti, da un bosco dove si possono trovare anche frassini e carpini secolari, castagni e robinie. Attraversiamo il prato, dove sulla sinistra veniamo accolti da un primo assaggio del parco avventura, con qualche ponticello sospeso, passerelle e liane.
Superato l’edificio, imbocchiamo il sentiero 650 (o 701) immergendoci nel verde ormai punteggiato dai primi sentori d’autunno, con sporadiche pennellate di ocra e gialli. Da subito troviamo qualche traccia degli animali selvatici, con la terra che in alcuni punti è stata smossa dal passaggio dei cinghiali. Un passante ci rassicura: l’attività del grosso mammifero si limita agli orari notturni.
Seguiamo il percorso ben segnalato attraverso il bosco, che dopo un primo scorcio panoramico con uno sguardo verso le cave di Zandobbio si tuffa nel verde. Emergeremo più avanti, in un alternarsi di tratti esposti e prati dominati dalle meravigliose architetture arboree dei roccoli.
La funzione originaria del Parco del Pitone era infatti l’attività del roccolo, in passato postazione degli uccellatori per la caccia. Oggi (sebbene non siano più utilizzati) se ne possono trovare diversi esemplari, mantenuti da una sapiente opera di conservazione. E infatti bastano pochi minuti di cammino prima di incontrare un primo giardiniere intento nella potatura di qualche ramo un po’ troppo sbarazzino.
Osservando le architetture (talvolta ad arco, talvolta a cerchio) dei diversi impianti arborei, la mente corre inevitabilmente a questa arte antica. Immaginiamo così le reti sostenute dalle file sovrapposte di rami a mo’ di finestrelle, dove i volatili restavano intrappolati tentando la fuga, spaventati dallo spauracchio che l’uccellatore lanciava dalla sua postazione all’interno del casello (una torretta su più piani disposta nel punto più alto del pendio).
Ancora oggi l’area circostante è punteggiata da cespugli di bacche e frutti, impiegati per attirare le diverse specie di uccelli. Ma i tempi cambiano e quella che un tempo rappresentava una trappola, oggi costituisce un innocuo e delizioso albergo per pennuti.
Il nostro excursus immaginario viene interrotto dall’arrivo di un gruppo di ciclisti, frequentatori affezionati della zona. In lontananza, il paesaggio si perde nella leggera foschia mattutina, che diradandosi lascia spazio a una meravigliosa visuale del Lago d’Iseo.
È trascorsa poco meno di un’ora e siamo ormai nelle vicinanze dell’ex Monastero, ora riconvertito a ristorante, location esclusiva e gettonatissima per matrimoni. Il motivo di questo successo emerge con chiarezza all’arrivo: incastonata nel verde e affacciata su un balcone panoramico sul lago (dove la vista nelle giornate limpide giunge fino alle mura di Bergamo), l’antica chiesetta dotata di campanile domina il territorio dall’alto del colle Conisio.
La mattinata è ormai inoltrata quando torniamo sui nostri passi. Altri cinquanta minuti di cammino ed eccoci nuovamente al Parco del Pitone, di cui questa volta percorriamo il sentiero più basso attraverso il bosco sospeso. Sulle nostre teste una fitta rete di ponti tibetani, carrucole, funi e passaggi sospesi tra le querce, con percorsi per tutti i gusti e tutte le capacità, ormai animati dai bambini armati di imbracatura, moschettoni e un’aura da piccoli Indiana Jones in erba (a tal proposito, questo sarà l’ultimo weekend di apertura, nel caso vogliate farci un salto).
Quando raggiungiamo l’uscita del parco è quasi mezzogiorno. Un ritorno accolto da una inaspettata e festante sequenza di campane, che accompagna il nostro rientro. Una degna conclusione, per una mattinata trascorsa nel verde.