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Da Chignolo d’Oneta al monte Segredont, “a caccia” di primule

Articolo. Andare in cerca della primula albenensis e ritrovarsi a celebrare la neonata primula chignolensis. È quello che è successo domenica 5 maggio 2024, quando abbiamo assistito al riconoscimento ufficiale di una nuova specie botanica. Ecco il nostro racconto

Lettura 7 min.
Primula Chignolensis (Sergio Epis)

Ci rechiamo in val del Riso, una valle tributaria del fiume Serio anticamente conosciuta come Valgorno, per raggiungere la cima del monte Segredont. In verità, la vetta è solo un pretesto escursionistico perché il nostro obiettivo è la fioritura della primula albenensis , una rarissima specie botanica endemica che cresce esclusivamente in questa zona. Il nome albenensis è legato al monte Alben, la montagna simbolo della vallata e il luogo in cui venne individuata nel 1988 dai ricercatori Enrico Banfi e Renato Ferlinghetti. Dopo approfonditi studi nel 1993 venne riconosciuta ufficialmente come nuova specie.

La nostra escursione prende il via da Chignolo d’Oneta, un piccolo borgo posto al centro della valle ma defilato dai principali paesi. Chignolo poggia su una costa ridente che volge lo sguardo a oriente, a 830 metri di quota. L’abitato è circondato da pascoli e boschi, mentre alle sue spalle si stagliano imponenti i contrafforti rocciosi dell’Alben. Il nome Oneta deriva dal latino alnetum, termine collettivo di alnus, ontano, quindi «boschi di ontani», mentre Chignolo è da attribuire a cuneolus, piccolo cuneo da intendere come punta di terra tra due corsi d’acqua. In effetti Chignolo d’Oneta è compreso tra due torrenti: il Riso e il Musso.

Riguardo alle sue origini si ipotizza che sotto l’Impero Romano si fosse costituita con un piccolo nucleo abitativo di pastori. Nel Medioevo l’insediamento si stabilizzò e Chignolo divenne un importante luogo di passaggio per chi da Bondo e dalla valle Seriana si dirigeva in val del Riso. Per lungo tempo il borgo è stato servito solo da sentieri e mulattiere. Nella primavera del 1964 iniziarono i lavori di costruzione della strada, che soltanto negli anni ‘70 permise di raggiungere la parte bassa dell’abitato. Si dovette però attendere il 1983 affinché la carrozzabile raggiungesse la chiesa parrocchiale. Ad oggi Chignolo conta un centinaio di abitanti.

Lasciamo l’auto nel piccolo posteggio presso la chiesa (840m) e ci incamminiamo sulla ripida strada asfaltata seguendo le indicazioni del sentiero CAI n° 526, diretto al bivacco Plana. Un breve strappo consente di raggiungere il colle di Chignolo (890m) dove alcune baite immerse nei pascoli fanno da contraltare alle guglie calcaree dell’Alben. Ci addentriamo in val Noseda procedendo in piano, allietati dalla frescura del bosco. Seguiamo una stradella a mezzacosta che attraversa le pendici nord-occidentali del monte Castello fino a una santella dove inizia il sentiero vero e proprio. La musica cambia e le pendenze si fanno decisamente più “orobiche”. Una mezzoretta di fatiche ed eccoci sbucare nel prato che accoglie il bivacco Plana (1235m), una piccola baita d’alpeggio caduta in disuso ristrutturata modo encomiabile dal gruppo amici della Plana.

In cerca di primule con Sergio Epis
In cerca di primule con Sergio Epis
In contemplazione
In contemplazione
Primula Albenensis
Primula Albenensis
(Foto Sergio Epis)

Oggi il bivacco brulica di gente indaffarata. Ci avviciniamo a tre persone intente ad appendere sull’uscio alcune gigantografie della primula. Ne approfitto per chiedere alcune dritte per andare a scovare la celeberrima primula albenensis. Tutti gli sguardi dei volontari si girano verso Sergio, appassionato fotografo di Gorno ed esperto conoscitore del territorio: «Siete molto fortunati! Dovete sapere che tra un paio di ore saliranno quassù due esperti botanici per classificare ufficialmente un’altra nuovissima specie botanica: la primula chignolensis! Sono sei anni che la studiamo e finalmente oggi avverrà il riconoscimento ufficiale ». Facile memorizzare la data: 5 maggio 2024 (il Manzoni poeta viene in nostro aiuto). E pensare che stamattina eravamo convinti di andare alla ricerca di un’eccellenza botanica (la primula albenensis), mentre adesso ci ritroviamo catapultati in un evento più prestigioso!

Rimango anche sorpreso dal modo in cui Sergio ci parla della primula albenensis, quasi snobbandola, come se si trattasse un fiore comune. I suoi occhi invece si illuminano quando descrive la primula chignolensis: «È il risultato di un’ibridazione fra la primula albenensis, endemica del monte Alben, e la primula auricola, orofita europea, entrambe conviventi in questa zona. Se pazientate un attimo vi posso condurre a vederle».

Con la stessa eccitazione dei bimbi la notte di Santa Lucia ci mettiamo in attesa di Sergio. Pochi minuti dopo appare con una Nikon professionale al collo invitandoci a seguirlo. Si ferma poco distante dal bivacco presso alcune guglie rocciose. Il terreno è in ombra, ripido e piuttosto scivoloso. Fortunatamente gli amici della Plana hanno tirato una corda per agevolare la salita e posizionato una scala per osservare i fiori da vicino. Queste primule crescono nelle fessure delle rocce calcaree e più si trovano in anfratti defilati più sono belle. Uno alla volta ci avvicendiamo sulla scala ad ammirarle: uno spettacolo! Sergio ci mostra i tre esemplari di primula, tutti cresciuti a pochi metri di distanza uno dall’altro. Poi prosegue: «Temevamo di essere fuori tempo massimo perché ad aprile ci sono stati giorni di caldo anomalo che hanno anticipato la fioritura. Per fortuna il freddo ne ha bloccato lo sviluppo consentendoci di osservarle ancora per qualche giorno, ma siamo agli sgoccioli». Ci sentiamo dei privilegiati.

Facciamo ritorno al bivacco dove gli amici della Plana stanno preparando ogni bendidio per il momento conviviale. Scopriamo anche che i due botanici attesi al bivacco sono gli stessi che più di trent’anni fa hanno studiato e classificato la primula albenensis: Enrico Banfi e Renato Ferlinghetti.

Nei giorni scorsi, mentre esaminavo la cartina ho notato l’esistenza di un «osservatorio» nei pressi del bivacco. Chiedo lumi a riguardo e veniamo indirizzati su una traccia di sentiero che, muovendosi in direzione nord, conduce in pochi minuti presso un balconcino roccioso con vista mirabile sulla vallata. Questa deviazione è sicuramente meritevole, ma il terreno insidioso la rende adatta solo ad escursionisti esperti. Torniamo nuovamente al bivacco e ci congediamo da Sergio e gli amici della Plana con la promessa di risentirci per organizzare una visita alle miniere di Gorno (Sergio è anche una guida).

Riprendiamo il cammino seguendo le indicazioni per il bivacco Testa. Il sentiero sale deciso nel bosco e in corrispondenza di alcune conformazioni rocciose i nostri occhi, ormai allenati, riescono a scorgere altri esemplari di primule. Siamo stati capaci anche di individuare qualche esemplare di primula lombarda , illustrataci da Sergio, un’altra meraviglia. In mezzoretta raggiungiamo il crinale che separa la val del Riso e val Vertova (1500m), dove intercettiamo il sentiero CAI n° 530. Le nuvole stanno ricoprendo l’Alben e un venticello fresco ci ricorda che non siamo in estate, tuttavia suggerisco di fare una deviazione per raggiungere il bivacco Testa. Ci si muove in un contesto ambientale molto suggestivo, un divertente saliscendi tra pinnacoli ed erti pendii pratosi con vista panoramica sulla val Vertova.

In dieci minuti siamo al bivacco Testa (1490m), posto su una sella, il passo Pradaccio, ben riparato da uno sperone roccioso. Il bivacco, sorto sui ruderi di un antico ricovero per pastori e cacciatori, è sempre aperto ed è composto da una cucina, a disposizione degli escursionisti, e alcuni posti letto (prenotabili contattando il GAV Vertova). Quest’oggi al bivacco è allestito un ristoro per i concorrenti del trail del Segredont, una gara di corsa in montagna che si sviluppa sui monti che fan da contorno alla val Vertova. Assistiamo al passaggio di alcuni atleti e ci incamminiamo dietro di loro in direzione del Segredont.

Il sentiero è piuttosto largo e riusciamo facilmente a scansarci al passaggio dei concorrenti. Tornati alla sella sopra il bivacco Plana, proseguiamo dritti lungo il sentiero 530. Superato un dosso appare dinnanzi ai noi l’elegante cuspide rocciosa del Segredont (1548m) con la sua croce, peccato che sia avvolta nella nebbia. In pochi minuti siamo al bivio dove un cartello di legno indica la via per la vetta. L’ascesa è breve ma richiede attenzione e passo sicuro.

La croce del Segredont (in secondo piano il monte Alben), aprile 2022
La croce del Segredont (in secondo piano il monte Alben), aprile 2022
Il monte Segredont tra le nebbie
Il monte Segredont tra le nebbie
Il passo di Bliben
Il passo di Bliben

Torniamo sul percorso e riprendiamo il sentiero 530 che, con direzione sudest, inizia a perdere quota. Dapprima si guadagnano i prati del passo di Bliben (1309m) e, dopo esserci immessi su una strada cementata, si scende al passo di Dasla (1140m). In questo tratto si transita accanto a una serie di cascine, una più bella dell’altra. Al valico di Dasla abbandoniamo il 530 e ci dirigiamo verso nord, lungo la strada che scollina in val del Riso. Camminiamo su un percorso che pur non essendo segnalato non lascia dubbi, basta seguire la strada. Ci si abbassa di quota fino a raggiungere i prati della baita di Scuazzoli e, poco sotto, un roccolo di caccia.

La carrareccia termina proprio al roccolo, ma venti metri prima c’è una biforcazione e scendiamo a sinistra nel bosco. È l’unico punto del percorso che può lasciare qualche dubbio. All’altezza del roccolo, poco sotto, la stradella diventa un sentiero e compie un tornante a sinistra addentrandosi nella valle del torrente Musso. Il sentiero, non sempre evidente, attraversa un paio di vallette e scende fino a raggiungere il greto del torrente. Oltrepassato il Musso, ricompaiono i segnavia biancorossi, freschi di tracciatura. Evidentemente il sentiero è oggetto di opere di manutenzione proprio in questi giorni.

Si procede in un territorio aspro e selvaggio, immersi nel silenzio. Con andamento quasi pianeggiante inizia un lungo e suggestivo traverso in cui è più facile incontrare animali selvatici che uomini. Superiamo un bivio con l’indicazione per la Corna Rondena e, poco oltre, intravediamo tra le fronde del bosco il tetto di alcune cascine: sono le abitazioni di Ortello, contrada di Chignolo. Prendiamo il sentiero che si dirige nel prato sopra le case. Passiamo accanto a una santella dedicata alla Madonna del Frassino e alla cascina attigua (Plassa, 815m).

Il signor Elio con la gerla
Il signor Elio con la gerla
(Foto Carlo Cella)
Il bivio in località Scuazzoli
Il bivio in località Scuazzoli
Ortello (in secondo piano Chignolo d’Oneta)
Ortello (in secondo piano Chignolo d’Oneta)

Qui incontriamo Elio, con la gerla ricolma di fieno. Naturalmente ne approfittiamo per scambiare due parole: «Sono nato in questa casa, una volta ci abitavano dieci persone, ora la utilizzo solo io per mangiare quando salgo per seguire gli asini». Incuriosito dalla gerla gli chiedo dove portasse il fieno: «Ah lo metto via per l’inverno, è per gli asini». Elio ha 65 anni e una grande passione per gli animali e la terra. Pare che si trovi a suo agio con noi e prosegue a briglia sciolta: «Quando ero piccolo davo una mano con le bestie e andavo a scuola a Chignolo a piedi, anche quando c’era la neve. Poi a quattordici anni mi hanno mandato a Paullo a fare il magut, in famiglia…ma è un’esperienza che non auguro a nessuno!». «A Ortello c’erano più di cento persone, mio papà erano in dieci fratelli».

Lo incalzo chiedendogli qualcosa sul lupo di Chignolo che lo scorso inverno aveva sbranato alcune pecore. Elio sfila il cappello e lascia trasparire un filo di emozione: «L’ho visto, davvero! Era mattina presto e stavo andando al capanno con la torcia. Ho sentito un rumore in basso e ho puntato la luce…era fermo, grigio, alto così…mi fissava e gli occhi illuminati dalla torcia luccicavano tantissimo… ma so ‘ndat vià a la svelta!». Poi racconta che sono state posizionate alcune fototrappole e che, dalle immagini, sembravano cani selvatici…ma l’espressione di Elio è più eloquente di tante fototrappole. «Va beh, vado a preparare da mangiare, è ora», rimette il cappello e ci saluta incamminandosi verso la stalla con la sua gerla.

Scendiamo a Ortello (788m), un grappolo di case circondate dai pascoli. Le dimore più antiche sono di origine medievale e conservano i portali d’ingresso di pietra, alcune case custodiscono ancora gli antichi ballatoi di legno cui appendere ad essiccare i prodotti della terra. Attraversiamo la contrada calpestando, in alcuni tratti, il selciato originale della mulattiera che proveniva da Bondo. Chignolo è ormai vicino e seguiamo la strada che attraversa il prato al cui margine sorge la grande croce degli alpini. Successivamente si passa accanto alla chiesetta di San Rocco e, poco oltre, alla fontana egia , antica fonte di acqua freschissima.

Ci intrufoliamo nelle viuzze di Chignolo e puntiamo verso la piazzetta. L’ora è perfetta, l’appetito ancor di più, così andiamo dritti al tavolo che la signora Renata ha amorevolmente apparecchiato per noi… Ma questa è un’altra storia, tutta da raccontare!

P.S. L’itinerario proposto, deviazioni comprese, è lungo circa 13,5km con 1000m di dislivello positivo. Calcolare cinque ore di cammino. Non presenta difficoltà tecniche eccetto la variante per l’osservatorio della Plana e la salita al Segredont. Rifornirsi di acqua in partenza.

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli eccetto dove diversamente indicato. Il video invece è di Carlo Cella, @ormenellaneve)

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