Da qualche settimana è ripartita la stagione dei rifugi. Chi dal 13 giugno, chi in una fase successiva, le strutture votate all’accoglienza degli escursionisti hanno attivato i loro servizi.
Quella in corso è una stagione che si prospetta dominata da diverse novità per quanto riguarda le norme legate alla situazione sanitaria e per la presenza di un nuovo tipo di avventori, richiamati dalla voglia di montagna e aria aperta. Non sono poi mancate novità anche in merito alle forme di coordinamento tra i rifugisti e un dialogo costante a fronte della situazione. Per capire meglio la situazione abbiamo fatto una chiacchierata con i gestori dei rifugi.
Chiusure anticipate e lockdown
“Fin dall’inizio di marzo in conseguenza all’emergenza abbiamo chiuso tutte le sedi” racconta il presidente del CAI Paolo Valoti. Una decisione spontanea, dettata dal senso di responsabilità che ha anticipato la divulgazione di una chiusura ufficiale. Lo conferma Claudio Trentani, gestore del rifugio Carlo Medici ai Cassinelli: “Prima del lockdown, avevamo già deciso di chiudere perché la situazione era insostenibile: c’era un forte aumento delle presenze in montagna nonostante fosse già sconsigliato uscire. Una linea conformata anche dal CAI”.
Una fase che non ha mancato di generare un po’ di confusione: “La difficoltà più grossa è stata nel capire cosa dovevamo fare e come muoverci – racconta Fabio Arizzi del Rifugio Antonio Curò – quando sono uscite le direttive ci siamo adattati: all’inizio erano rigide, poi si sono ammorbidite. Le normative sono le stesse che ci sono in paese: la prova della temperatura, la sanificazione degli spazi e il distanziamento”.
Situazione che ha colpito anche sul fronte economico, come emerge dalle parole di Sandra Bottanelli del Rifugio Albani: “Quando ai primi di marzo ci sono stati i primi casi eravamo nel pieno della stagione invernale. È stata una grossa perdita, anche perché avevamo i magazzini e i frigoriferi pieni”. Non è mancato qualche intoppo: “quando dovevamo applicare le prime restrizioni del distanziamento sociale, ci siamo trovati in forte difficoltà: la gente e anche noi non avevamo ancora capito cosa stesse succedendo. Per il numeroso afflusso di persone in quei giorni avevamo quindi scelto di chiudere prima che fosse imposto”.
C’è anche chi ha approfittato della chiusura per rinnovare gli spazi, come nel caso del Rifugio Resegone di cui ci parla Giancamillo Prosio: “Durante il lockdown siamo stati chiusi e abbiamo deciso di fare una serie di lavori di manutenzione straordinaria, abbiamo finito la settimana scorsa”.
Norme e decalogo dell’escursionista
In generale in questa situazione i rifugisti hanno dimostrato grande flessibilità nell’adeguarsi a norme e obblighi. Uno sforzo che ha dato vita anche al Decalogo comportamentale per escursionisti e turisti in epoca di Covid-19. Una lista nata dalla sinergia del CAI insieme a consorzi, comunità montane, l’Osservatorio per le Montagne Bergamasche, il Parco delle Orobie Bergamasche e la Provincia di Bergamo.
Tra i punti principali di queste regole per l’escursionismo e l’attività all’aria aperta troviamo l’invito a frequentare anche percorsi meno noti, parcheggiare a debita distanza, indossare la mascherina quando si incontrano persone lungo il sentiero, oltre a specifiche sul mantenimento delle giuste distanze (di 2 metri in caso di passeggiate e 10 per cicloescursionisti), all’obbligo di non appoggiare lo zaino su tavoli, panche e sedie, a tenere la massima prudenza e a rispettare sempre le indicazioni comportamentali delle disposizioni ufficiali. Infine un invito a comprare i prodotti tipici del territorio per sostenere le economie e il turismo locali.
Posti dimezzati ed escursionisti alle prime armi
A fronte di tutto questo, gli escursionisti non devono perdere di vista un’esigenza fondamentale: quella relativa alla disponibilità degli spazi nel rifugio e all’adeguato equipaggiamento e preparazione nell’affrontare la montagna.
“Ci sono molte presenze nuove. Per cui la nostra difficoltà risiede nel far capire quanto la nostra non sia solo un’attività economica ma un servizio – ricorda Claudio Trentani – Forniamo anche l’asporto e dobbiamo far fronte a molta gente, ma possiamo accettare un numero molto limitato di persone. È importante trasmettere questo messaggio: non possiamo diventare un punto d’assembramento perché è un rischio. Il nostro invito è di usare la prenotazione, chiamare in rifugio e distribuirsi sui sentieri”.
Da qui, come spiega Fabio Arizzi, l’esigenza sentita di una campagna per “sensibilizzare la gente a muoversi in montagna con un’attrezzatura adeguata, perché in caso di maltempo non possiamo ospitare tutti. Prima di partire consigliamo di consultare bene il meteo e indossare un abbigliamento adatto, con k-way e pantaloni lunghi da portare sempre nello zaino”. Per quanto riguarda i comportamenti dei visitatori: “Alcuni sono abbastanza ligi, tengono la mascherina, rispettano il posto, si siedono distanti. Alcuni purtroppo sono meno flessibili”.
Misure con le quali si è dovuto confrontare anche Giancamillo, che ha aperto solo lo scorso sabato a mezzo servizio. Anche qui per seguire i protocolli della Lombardia dei distanziamenti, i posti disponibili sono stati “dimezzati da 65 all’interno a 35 con il terrazzo che è passato da 40 posti a 20”. Il suo approccio tende comunque ad essere fiducioso: “la gente che va verso il Resegone è moltissima, ma tutti erano muniti di mascherine, che indossavano quando incontravano altre persone. L’escursionista si è reso conto della situazione e osserva le regole e non bisogna colpevolizzare tutti se qualcuno non le rispetta”.
Tra le misure adottate all’Albani, racconta Sandra, “la mascherina e l’igienizzazione delle mani è già diventata una cosa normale per noi gestori e i nostri dipendenti. Ci sono alcune regole ancora troppo rigide che facciamo fatica a far applicare agli escursionisti, come il distanziamento tra gruppi di amici. Poi c’è la cartellonistica all’esterno e all’interno del rifugio che spiega come comportarsi: dall’utilizzo dei tavoli esterni, all’accesso all’interno del rifugio, alla zona notte e all’utilizzo dei servizi igienici. Abbiamo poi riorganizzato le modalità di lavoro del personale, per applicare correttamente le procedure”.
Speranze per il futuro
Non possiamo fare a meno di chiederci come sarà il futuro dell’escursionismo delle valli bergamasche. In ogni caso, sembra che i segnali siano positivi: “Penso che molti quest’estate andranno in montagna, forse più che al mare. Speriamo che la gente capisca il ruolo di presidio che hanno i rifugi, che le competenze dei gestori sono all’altezza della situazione e quindi utilizzino i servizi che ogni rifugio offre per permettere a tutte le realtà di poter continuare con il loro lavoro” afferma Sandra.
Non mancano però elementi problematici in un territorio profondamente ferito dalla situazione. Come la convivenza tra “la gente che ha voglia di divertirsi e gli altri che hanno vissuto una brutta situazione” sottolineata da Claudio. “La semplice valorizzazione non basta, serve equilibrio. Se vendiamo la montagna come troppo facile e accessibile c’è il rischio che perda il suo significato di luogo di pace. Può essere anche un’occasione: bisogna fare informazione e cercare di sensibilizzare le persone”.
Conclude Paolo: “Ci stiamo poi accorgendo che sta crescendo un bisogno di montagna e aria aperta che le montagne possono aprire e offrire. Quindi muoviamoci per incontrare la gente che vive qui, facciamoci ambasciatori e sentinelle di questa cultura. Dobbiamo pensare a creare economia, perché acquistare i prodotti della malga è un gesto piccolo e ci permette di gustare eccellenze di qualità”.