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Cavalli, laghetti e casere. Il giro della conca dei monti Fioraro e Azzaredo

Articolo. Torno sempre volentieri nel territorio di Mezzoldo, culla delle mie estati da bambino. Quest’oggi andiamo alla scoperta dell’ampia conca che circonda il rifugio Madonna delle Nevi con un itinerario ad anello ricco di sorprese

Lettura 6 min.
Attraverso i prati del dosso Gambetta

Raggiungiamo la diga in località Ponte dell’Acqua, pochi chilometri a monte del paese di Mezzoldo, in alta valle Brembana. Lasciamo l’auto nei pressi dell’ingresso della centrale idroelettrica. La diga e la centrale fanno parte di un articolato sistema di bacini e centrali realizzati dall’Italcementi (oggi Italgen) a cavallo degli anni ’50. La centrale sfrutta la caduta dell’acqua proveniente dall’invaso di Alto Mora (il lago sotto la Cà San Marco). La diga del Ponte dell’Acqua raccoglie anche le acque del Brembo per convogliarle alla condotta forzata che alimenta la centrale del ponte di Piazzolo (al bivio della statale per Piazzolo); da qui l’acqua viene nuovamente incanalata per alimentare la centrale di Olmo al Brembo.

A destra del cancello della centrale (1248m) inizia il sentiero CAI n° 135. L’ascesa è subito impegnativa. Strategicamente alcuni del gruppo interrompono la fatica con la scusa di aver intravisto un porcino, ma i porcini ce li hanno già soffiati i fungaioli veri che fin dal primo mattino stanno setacciando la zona. Nella sua parte alta il tracciato diviene meno severo e gli abeti lasciano spazio a qualche radura. Si scollina nei pressi del Dosso Gambetta (1648m) dove spiccano i due edifici della casera Gambetta. La stagione d’alpeggio è ormai terminata anche se quest’anno si è protratta fin quasi ad ottobre. Qui intercettiamo il sentiero CAI n° 113. Lo seguiamo verso destra e risaliamo il prato sopra la casera fino ad un abbeveratoio armoniosamente integrato nella roccia. A questo punto consiglio di abbandonare il sentiero 113 e di procedere lungo l’evidente traccia che risale il crinale. Tale percorso comporta un po’ più di dislivello ma gli scorci panoramici sono senza eguali. Con una dolce alternanza di salite e brevi discese, sempre immersi nei pascoli, raggiungiamo la sommità del Montù (1854m).

Dinnanzi a noi si apre maestosa la conca di Cà San Marco, a sinistra spiccano gli aspri pendii della Valmoresca mentre a destra si può ammirare la conca del monte Fioraro, che rivela nei dettagli le tappe della escursione odierna. I silenzi che fino adesso hanno caratterizzato il nostro cammino vengono rotti dai rombi dei numerosi motociclisti diretti al passo. Scendiamo alla casera Ancogno Vago, anch’essa chiusa, per poi risalire qualche metro fino a intercettare la strada statale in corrispondenza di un ampio tornante. Al termine della curva imbocchiamo l’antico acciottolato della Via Priula che ci riporta sulla statale, poco sopra, in prossimità della Cà San Marco (1829m). La casa cantoniera è ancora lì, dopo secoli, a rassicurare i viandanti con la sua possente struttura. Fu iniziata nel 1593 e terminata nell’estate del 1594. Disponeva di tre stalle, di un locale a osteria e di cinque stanze adibite a vari usi, fra cui una collettiva per i viandanti. Non fu sempre abitata. Non era facile trovare custodi disposti a trascorrere lunghi inverni a quelle quote per magri compensi.

Ci concediamo una pausa caffè e approfittiamo per fare rifornimento d’acqua. Nonostante l’orario mattutino la Cantoniera è tutto un brulicare di gente e moto. Rimaniamo incantati ad ammirare una Moto Guzzi Sport 500cc del 1929. Convinco gli amici ad attenderne la partenza. Dopo qualche energico colpo di pedivella ecco l’inconfondibile ruggito del monocilindrico: un suono pieno e sincero che trasmette fierezza e giovialità. Con un senso di nostalgia la seguiamo in lontananza fino a vederla scomparire.

Riprendiamo il cammino seguendo il sentiero CAI n°101 (sentiero delle Orobie Occidentali) che, fino al passo San Marco (1992m), percorre integralmente il tracciato della via Priula. Il selciato, molto ampio, mostra ancora diversi tratti di pavimentazione originaria e altri dovuti a rifacimenti successivi, fra cui quello austriaco della prima metà del XIX secolo. Lungo il percorso si notano alcuni cippi chilometrici che indicano la distanza da Bergamo e sono riferibili a questo periodo, quando la strada fu dichiarata «nazionale». Durante la dominazione austriaca la strada del passo San Marco entrò in competizione con la via dell’Aprica e con quella del Lago di Como quando si cercava di scegliere il percorso di comunicazione migliore fra Milano e Vienna attraverso le Alpi Retiche. Alla fine venne preferita la via del lago, progettata dall’ingegner Donegani nel 1832, ma anche la via di S. Marco, sul finire del secolo, fu per buona parte ritracciata.

In corrispondenza del valico notiamo alcune curiose sculture nella roccia. Sono le opere di arte rupestre dello scultore Angelo Fierro, avellinese di Cervinara e residente a Morbegno. L’artista negli ultimi vent’anni ha realizzato numerose sculture lavorando i massi che incontra lungo i sentieri della zona. Fierro ha realizzato opere anche in Valmalenco e in altre aree montane della Valtellina.

Dal passo proseguiamo lungo il 101, in direzione del rifugio Balicco. Stiamo attraversando il versante settentrionale del Pizzo della Segade e ci troviamo in territorio valtellinese. Il silenzio è tornato a farci compagnia: non incontreremo più nessuno fino al rifugio.

Dopo una breve risalita giungiamo in un bellissimo tratto di cresta, piuttosto aereo ma privo di difficoltà, che si interrompe nei pressi della Bocchetta d’Orta (2065 m), un’angusta e ripida forcella. Discendiamo un breve canalino erboso ritornando così in terra bergamasca. Con alcuni saliscendi si attraversa l’ampia conca erbosa del monte Fioraro fino al passo della Porta (2023m). Pochi minuti in falsopiano per giungere al Bivacco Zamboni (1995 m), bella costruzione di pietra che in questo periodo però risulta inagibile. Poco sotto il bivacco si trova il rifugio Balicco (1963m).

Il rifugio, realizzato da ERSAF Lombardia, è stato inaugurato nel luglio 2015 ed è intitolato a Marco Balicco, già sindaco del comune di Mezzoldo. Dal 2020 la dedica è stata estesa anche al fratello Raimondo, anch’egli sindaco di Mezzoldo, nonché responsabile della nazionale della Corsa in montagna per numerosi anni. Il rifugio è un grazioso ed elegante edificio in legno di larice, ben integrato con una vecchia baita di pietra. Sono le 13.30, la giornata è insolitamente calda (siamo a metà ottobre) e i tavoli all’aperto sono tutti pieni. L’ipotesi di accontentarci delle barrette non entusiasma: i nostri palati sono già stati sedotti dai succulenti piatti che imbandiscono i tavoli. Fortunatamente se ne libera uno e ci precipitiamo ad impossessarci dell’agognato desco. Nonostante l’impianto elettrico del rifugio oggi sia andato in tilt, Silvia, la rifugista, non perde il sorriso e riesce ad accontentarci: ecco serviti i gustosi piatti del menù. Non è la prima volta che pranzo in questo rifugio e devo dire che la cucina, semplice e casereccia, è sempre attenta all’utilizzo di materie prime di qualità e non tradisce mai le aspettative.

Mentre pasteggiamo rimango incuriosito dalla presenza di due cavalli legati alla staccionata del rifugio. Scorgo una ragazza che veste gli inconfondibili stivali da amazzone e mi avvicino. Si chiama Giovanna, è di Nembro e da sempre appassionata di cavalli. È la prima volta che mi capita di incontrare escursionisti a cavallo sulle Orobie. «Immagino siate saliti dalla Fraccia» chiedo ritenendo quello l’unico itinerario possibile a cavallo. Con una solarità non comune mi risponde: «Siamo partiti stamattina da San Simone e abbiamo fatto il giro dal passo di Lemma». Fatico a comprendere quale sia stato il loro reale itinerario ma poco importa, sono ormai contagiato da quello spirito avventuroso. Giovanna mi conferma di dedicarsi a escursioni di questo tipo da parecchio tempo e di essere sempre alla ricerca di itinerari nuovi. Per curiosità le chiedo: «Quanto “consuma” un cavallo in una giornata così impegnativa?». Sorridendo mi risponde: «Ci vuole una balla di fieno ma non possiamo portarcela appresso, così i cavalli si accontentano di mangiare l’erba nei momenti di pausa». Di lì a poco ecco Giovanna montare in sella e, con estrema disinvoltura, incamminarsi verso il bivacco Zamboni. È uno spettacolo osservare i cavalli muoversi placidi nei prati, tra sassi e ruscelletti.

Ben rifocillati e sorridenti ci apprestiamo a riprendere il cammino, sempre sul sentiero 101, alla volta della bocchetta di Piedevalle (2060m): uno stretto intaglio che consente di discendere sull’altro versante sino alla magnifica baita Piedevalle (1944 m), posta ai margini di una rigogliosa conca erbosa in prossimità della sorgente del fiume Brembo. Dalla baita si continua con sentiero a mezzacosta fino al laghetto di Cavizzola (1911m), minuscolo specchio d’acqua cristallina incastonato tra enormi massi. Poco sotto il laghetto si trova la casera Cavizzola. La casera è una delle uniche due realtà bergamasche abilitate alla produzione dello Storico Ribelle: il formaggio Bitto storico prodotto da pochissimi alpeggiatori valtellinesi che resistono e continuano, nonostante le guerre dell’industria casearia, a rimanere legati all’antica tradizione. Non vengono utilizzati mangimi e fermenti, le vacche sono rigorosamente di razza bruna alpina e le capre di razza orobica (o Valgerola), e gli animali sono sempre al pascolo e alimentati con il pregiato foraggio di questi prati. Stento ancora a crederlo ma in occasione della recente manifestazione casearia «Forme» di Bergamo una forma stagionata di Storico Ribelle del 2014 è stata venduta all’incredibile prezzo di 200 euro al chilo! Allo Storico Ribelle e al giro delle Casere dedicheremo un approfondimento la prossima stagione d’alpeggio.

Al laghetto di Cavizzola abbandoniamo il sentiero delle Orobie e imbocchiamo il sentiero CAI n° 111A, chiamato anche «sentiero delle Casere». Con una comoda discesa raggiungiamo la casera dei Siltri (1725 m). La malga appartiene al comune di Sorisole dal 1817 e per secoli ha rappresentato la casera d’alpeggio per gli allevatori del paese. Da qui attraverso uno splendido lariceto arriviamo alla baita Costa Piana (1716m) posta su un magnifico pianoro erboso, rivolto al tramonto. Il comignolo è fumante e i proprietari si stanno godendo in totale tranquillità il tepore pomeridiano.

Poco oltre la baita, nei pressi di un crocefisso ligneo, pieghiamo a sinistra scendendo in val Terzera. Dopo essere transitati per una penzana, raggiungiamo la casera Terzera (1608m) dove imbocchiamo la strada agrosilvopastorale (sentiero CAI n° 115) che riconduce alla diga del Ponte dell’Acqua.

P.S. L’itinerario qui descritto è lungo circa 22 km con 1300m di dislivello positivo. Calcolare sette ore di cammino. È un percorso classificato come Escursionistico con l’unica eccezione rappresentata dal tratto di cresta del sentiero 101, in corrispondenza della bocchetta d’Orta, che richiede un po’ di attenzione. Chi volesse accorciare il percorso, una volta giunto al rifugio Balicco, può scendere direttamente al rifugio Madonna delle Nevi e poi, per strada asfaltata, tornare alla centrale elettrica del Ponte dell’Acqua (in tal caso i km sono 17 e il dislivello 1100m).

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)

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