In questo inizio d’autunno, assai prodigo di piogge, è fortunoso riuscire a far coincidere il tempo libero con le giornate bel tempo. Non che questo ci scoraggi ma i panorami, sovente, sono condizionati dalle nuvole. Così rinunciamo ad una gita in quota per rispolverare un classico orobico che, anche in assenza del sole, regala scorci gustosi e spunti interessanti: il Monte Scanapà.
La curiosità mi spinge a scegliere un itinerario di salita poco frequentato ma decisamente spettacolare: il Ratù (il nome è una garanzia!). Ci tengo a precisare che questo sentiero, ripristinato nel 2016 e segnato con bolli rossi, viene consigliato ad escursionisti esperti: non è pericoloso ma innegabilmente ripido.
Ci rechiamo ai piedi della Presolana, per la precisione a Lantana, frazione di Castione sulla strada per il monte Pora. Scegliamo di partire dal Santuario dedicato alla Madonna delle Grazie, sorto sui resti di un antico oratorio del XIV secolo, abbandonato e poi ricostruito nel 1909. È domenica e troviamo la chiesa aperta. All’interno spiccano due pregevoli affreschi del XV secolo. Un tempo erano posizionati all’esterno della chiesa; dopo un accurato intervento di restauro, gli affreschi sono stati trasferiti internamente.
Lantana, secondo l’ipotesi più accreditata, è da riferire al viburnum lantana un arbusto con fiori bianchi e frutti a grappolo di colore nero che predilige le zone calcaree (come tutta quest’area). Tuttavia il toponimo può anche essere ricollegato a lantana o antana, antica voce camuna per ontano, pianta che cresce in luoghi umidi (come le valli di Lantana e di Vareno).
Nei pressi del Santuario spicca un nucleo di case, chiuso da una recinzione, che rivela l’antica vocazione rurale del borgo di Lantana. Adiacente al nucleo storico, procedendo su via Lantana, vi è una casa ben ristrutturata sulle cui pareti esterne sono appesi innumerevoli vecchi arnesi da lavoro e cimeli legati alla civiltà contadina e montana. Una sorta di museo all’aria aperta. Ho la fortuna di incontrare il proprietario con cui mi fermo a scambiare due parole: «Di mestiere facevo il muratore. Durante i lavori di recupero del seminterrato sono saltati fuori parecchi attrezzi da lavoro. Ho sistemato i più belli e li ho appesi all’esterno della casa. Da allora mi è presa la passione e quando trovo qualcosa di interessante arricchisco la collezione. Mi capita spesso di trovare, fuori dall’uscio, attrezzi lasciati da sconosciuti che probabilmente sanno che li colleziono. Alcuni finiscono in discarica ma quelli più originali trovano posto sulla parete». Una vera chicca!
Quest’oggi siamo un bel gruppone assortito, la vivacità è garantita. La giornata prometteva sole al mattino ma le recenti piogge hanno saturato l’aria di umidità coprendo le cime fin dall’alba, peccato! Oltrepassata la “casa museo”, ci immettiamo su via Monte Pora. Superata un’area di sosta per camper, procediamo sulla via principale fino ad una evidente curva verso destra. Qui si diparte una viuzza a fondo chiuso che seguiamo fino al suo termine. All’inizio della viuzza, a rassicurarci, un cartello sentieristico indica la giusta direzione. Procediamo per la stradella finché un nuovo cartello segnala l’inizio del nostro sentiero (indicazioni per fonte Squassì e sentiero dei Carbonai). Ci addentriamo nel bosco che, finalmente, sfoggia un’incredibile varietà di funghi, uno spettacolo raro fino a poche settimane fa. Le pendenze iniziano a rivelarsi allenanti e solo i più atletici di noi riescono ancora a interloquire. Dopo un quarto d’ora giunge la prima sosta: a quota 1170m si apre una grotta al cui interno, dal soffitto, sgorga la fonte Squassì. In dialetto bergamasco uno squas d’acqua è uno scroscio di pioggia, gagliardo ma poco durevole. Oggi dalla fessura nella roccia fuoriesce un fiotto potente che annaffia chi si avvicina. Ricordo che nel maggio scorso usciva solo un rigagnolo.
Il sentiero procede erto sopra la spelonca regalando un paio di affacci panoramici sulla vallata. Mentre qualche raggio di sole inizia a farsi largo tra gli alberi, noto Carlo bloccarsi improvvisamente in corrispondenza di un’apertura del bosco: «Guardate che splendido gioco di luci e nebbie…un Komorebi». Lo guardiamo tutti allibiti: «Komoché?». Con un sorriso Carlo prova ad introdurci nella cultura giapponese: «Komorebi è un termine che descrive la luce del sole che filtra attraverso le fronde degli alberi. Non è solo un fenomeno naturale ma una vera e propria esperienza sensoriale che evoca quiete, bellezza e meraviglia. È una poesia visiva che cattura i raggi del sole mentre si insinuano tra i rami, creando giochi di ombre in movimento, dipingendo il suolo e l’aria con una luce morbida e fugace». Rimaniamo ammutoliti in contemplazione … Arigatō, Carlo!
Saliamo ad intercettare (1290m) il sentiero dei Carbonai che seguiamo verso destra (Est). Il sentiero, utilizzato per secoli dai carbonai, univa diversi siti di produzione del carbone ottenuto dalla legna e consentiva di trasportare il materiale al Passo della Presolana, da dove poi veniva trasferito in Val di Scalve per alimentare le numerose fucine di lavorazione dei metalli.
Si procede in piano per pochi minuti fino al fatidico cartello che indica il Ratù: 350 metri di salita mozzafiato, di fatica e di panorami aerei. Finché si sale nel bosco i bolli rossi e la traccia sono evidenti. Quando si entra nel prato incolto, la traccia tende a confondersi nell’erba alta e occorre prestare un poco di attenzione (il percorso è comunque sempre intuibile). Vale la pena fermarsi spesso a godere degli splendidi scorci sulla vallata (e a rifiatare!). Quando il sentiero ha quasi raggiunto la parte sommitale del monte le pendenze iniziano a ridursi. Questo è il punto in cui si trovano alcuni cunicoli scavati nel terreno: sono trincee della seconda Guerra Mondiale.
Bisogna sapere che nel periodo tra la primavera del 1944 e marzo del 1945, sulla direttrice che va dalle pendici del Monte Visolo al Colle Vareno (attraverso il Passo della Presolana e il Monte Scanapà), 1.200 tra soldati tedeschi della Organizzazione Todt e operai reclutati tra i valligiani, realizzarono bunker, trincee e camminamenti con lo scopo di creare una linea difensiva per fermare l’avanzata delle truppe alleate. Il timore dei tedeschi era che l’esercito nemico potesse salire al Passo della Presolana per scollinare in Valle Camonica, aggirando così gli sbarramenti che i nazisti avevano predisposto a Darfo. Lo Scanapà rappresentava un punto di osservazione privilegiato e il ratù era la via di accesso più rapida per raggiungere le postazioni. La penuria di carburante e la continua minaccia di incursioni aeree avevano reso complicato l’approvvigionamento dei materiali da costruzione. Pertanto i tedeschi decisero di realizzare le opere militari utilizzando principalmente il legname della zona. Fu così che vennero abbattuti migliaia di alberi, distruggendo le prestigiose pinete la cui bellezza aveva attirato in loco turisti, molti stranieri, fin dal 1870. Tuttavia la linea di difesa realizzata si rivelò inutile perché gli alleati, una volta giunti a Bologna, puntarono dritti a Nord senza passare da qui.
Finita la guerra si rese necessario il ripristino ambientale della zona, ormai trasfigurata da quell’intervento. Entra così in gioco Mansueto de Luca, guardia forestale trevigiana, incaricato di riaprire il comando forestale di Clusone e restaurare i boschi. La sua storia, curiosa e affascinante, merita di essere conosciuta ed è ben raccontata in questo articolo de L’Eco di Bergamo di cinque anni fa.
Dalle trincee dello Scanapà alla croce il passo è breve. In vetta (1655m) un terrazzino protetto da una balaustra consente di affacciarsi sull’altopiano di Castione: la vista si apre sulla Valle di Tede per spingersi a Clusone e raggiungere quasi la pianura. Per sbirciare la Presolana occorre sporgersi un poco ma oggi la regina delle Orobie fa la scontrosa. Scanapà è un nome simpatico che mi ha sempre incuriosito. Pare sia legato a un soprannome di persona. Andrebbe tuttavia approfondita la toponomastica perché scan è un termine preistorico che indica una cavità o una fossa. Lascio la soluzione agli esperti.
Osservando l’altopiano di Castione ci si rende conto del considerevole sviluppo turistico della zona: una galassia di villette disseminate in tutta l’area. Fortunatamente non si tratta di una speculazione spregiudicata, tuttavia lo sguardo rimane colpito. Proviamo a proiettarci con la fantasia a un secolo e mezzo fa, quando esistevano solo un piccolo borgo (Castione) e due minuscole contrade (Bratto e Dorga), con qualche cascina sperduta nei campi.
Riguardo al territorio di Castione è curioso riportare quanto narra Giovanni Maironi da Ponte nel 1819: «È da notarsi che tutta la declive pianura lavorata a campi, e tenuta a prato fra il villaggio e le pendici della Prezzolana è un soggiorno frequentatissimo dalle quaglie, le quali vi si ritirano nella stagione più riscaldata a godere del fresco della situazione»… a pensarci bene manca nel mio curriculum l’assaggio di un piatto di polenta e quaglie alla… Prezzolana!
Iniziamo il ritorno e ci abbassiamo di pochi metri fino alla conca erbosa che accoglie la malga Scanapà. Chi ha fretta può scegliere di rientrare imboccando il sentiero sulla sinistra che, zigzagando nei boschi, passa accanto alle piste da sci e raggiunge il Passo della Presolana. Noi optiamo per un giro più ampio e seguiamo le indicazioni per Colle Vareno – Castello Orsetto. Ci si alza al piccolo valico attiguo. Consiglio una breve deviazione panoramica sul soprastante collinone pascolivo dove è posto un ardito scivolo di legno per la partenza dei parapendii. La vista spazia a 360 gradi!.
Tornati al valico si scende per prati passando accanto ai ruderi della capanna Angelo Maj, un albergo rifugio costruito nel 1956 e rimasto aperto solo pochi anni. Proseguiamo fino a raggiungere l’Alpe Lantana (1426m), una grande baita d’alpeggio ormai abbandonata da tempo. Alla cascina ci abbassiamo ancora di quota fino ai ruderi della cascina di Monte Lantana, dove prendiamo il sentiero per il Castello Orsetto, ignorando quello per il Colle Vareno.
Una brevissima risalita ci porta a scollinare sul versante scalvino: stiamo entrando nel cuore della Foresta regionale Val di Scalve, una zona di interesse naturalistico gestita dall’ERSAF (ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste). Il sentiero percorre alcuni tornanti nel bosco e ci conduce alla Casa della Foresta (punto informativo ERSAF) e al sottostante Castello Orsetto, un’area attrezzata per pic-nic molto curata con sentieri didattici e punti panoramici.
Da qui seguiamo la strada sterrata che, con direzione Nord, in due chilometri pianeggianti conduce al passo della Presolana (anche questa strada è stata realizzata dai tedeschi della Todt). Poco prima del passo facciamo una breve deviazione al celeberrimo « Salto degli Sposi », lo spettacolare belvedere sulla Val di Scalve e la Via Mala che, dal 1871, è legato alla tragica vicenda di Maximilian Prihoda, musicista polacco, e la moglie Anna Stareat, nota pittrice. È la storia di un amore sublime culminato nel tragico gesto di lanciarsi nel vuoto abbracciati, come per sancire l’eternità della loro unione. Un racconto che emoziona sempre.
Dal «Salto degli Sposi» ci portiamo al Passo della Presolana, dove, dopo lo scollinamento sul versante di Castione, riprendiamo il sentiero dei Carbonai. Con percorso leggermente ondulato, tra boschi e prati, in un’oretta giungiamo alla deviazione per Lantana (ignorare la prima deviazione per Lantana perché il sentiero tende a perdersi nel bosco). Ripercorriamo il medesimo sentiero fatto nella prima parte della salita, quando siamo transitati per la fonte Squassì. In venti minuti siamo nuovamente al Santuario.
P.S. L’itinerario qui descritto è lungo 15 chilometri con un dislivello positivo di 850 metri. Calcolare cinque ore di cammino. Per chi desidera raggiungere la croce dello Scanapà senza affrontare il Ratù, c’è la possibilità di partire sia dal Colle Vareno che dal Passo della Presolana: in un’ora di facile cammino si è in vetta.