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Useremo ancora i social network nel futuro?

Articolo. Nel 2020, un sondaggio della Digital Society Index rivelava come la Generazione Z stesse riducendo l’uso dei social e delle proprie attività su internet. Tre anni dopo, la tendenza aumenta, ed è seguita anche da grandi brand e negozi. Ma quali sono le ragioni?

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Come sempre ogni articolo della mia rubrica parte da un interrogativo che muove direttamente dalla mia esperienza diretta coi social network. In questo caso specifico col mio essere la maggiore di quattro fratelli, tre dei quali appartenenti alla suddetta Gen Z (grosso modo i nati tra la metà degli anni Novanta e i primi anni 2010).

Il fatto è che tutte le volte che provo a estorcere qualche informazione su di loro o ad andare a spiarli sui social (perché mi capita di voler mostrare fiera una loro foto), finisco per imbattermi in profili sostanzialmente privi di immagini, o quando sono fortunata, in cui sono presenti poche storie in evidenza. Una tendenza abbastanza comune tra i giovanissimi, della quale proverò in questo articolo ad analizzare le cause sociali, partendo dall’affermazione di una mia collega dell’agenzia di comunicazione per cui lavoro: «Non c’è niente da fare, i ragazzi di oggi hanno una marcia in più».

Alle origini del mito

Per capire da dove nasce questa nuova forma di posizionamento, partiamo dall’inizio. Instagram è nato nel 2010, ma la produzione e la condivisione delle fotografie in rete è diventata una delle pratiche digitali più comuni e ricorrenti, già molto tempo prima.

La digitalizzazione delle pratiche fotografiche affonda le sue radici all’inizio degli anni ’70 quando venne creato SuperPaint , il primo sistema informatico per l’elaborazione di grafiche per le produzioni cinematografiche e per la televisione, utilizzato principalmente per realizzare i titoli di testa di film e programmi tv.

Successivamente, la digitalizzazione ha aperto la porta a un’ampia manipolazione delle immagini da parte di non professionisti, mettendo in discussione la percezione tradizionale della fotografia come mezzo realistico e credibile. Questo passaggio dalle tecniche fotografiche analogiche a quelle digitali ha dato vita a un’era post-fotografica, in cui il ruolo sociale della fotografia è stato profondamente trasformato. Negli anni ’90, i quotidiani e le riviste hanno iniziato ad utilizzare ampiamente il fotoritocco digitale. Nel corso degli anni 2000, la manipolazione delle immagini è diventata un elemento integrante della cultura visuale, con la presunzione comune che le immagini diffuse nei media e su Internet fossero nella maggior parte dei casi modificate. Questo ha portato all’introduzione di regolamentazioni, in particolare nel campo del fotogiornalismo, per limitare l’uso di software come Photoshop. E ancora, con la diffusione di smartphone dotati di obiettivi di alta qualità, la fotografia mobile è diventata la principale modalità di cattura e condivisione di immagini attraverso i social media.

L’applicazione della fotografia su Internet ha richiesto una condizione chiave, ovvero disponibilità di spazi virtuali per archiviare e condividere le foto, insieme alle connessioni a banda larga. Un esempio di piattaforma di condivisione di foto digitali è Facebook, che ha acquisito Instagram nel 2012. Il successo di Instagram ha evidenziato il legame tra tecnologie analogiche e digitali, poiché l’app cerca di replicare gli effetti delle fotocamere analogiche e utilizza il formato quadrato tipico delle Polaroid. Instagram ha riunito una comunità di «fotografi del quotidiano», ossia utenti di dispositivi mobili che utilizzano la fotografia per documentare la loro vita e che sfruttano le opzioni di manipolazione delle immagini offerte dalle app, compresi i filtri costantemente aggiornati.

Idealizzazione del sé e realtà

Instagram è emerso originariamente con l’obiettivo di consentire agli utenti di presentare una rappresentazione idealizzata del proprio sé attraverso immagini catturate direttamente tramite smartphone . Oggi, l’applicazione si è evoluta diventando una piattaforma che fonde la condivisione visiva con un elemento di creatività intrinseca, mettendo a disposizione strumenti di editing e filtri per personalizzare foto e video in modo estremamente dettagliato. Il contenuto condiviso su questa piattaforma può essere suddiviso in due categorie distintive: ci sono i contenuti permanenti, ovvero i post tradizionali, e quelli effimeri, conosciuti come stories, che scompaiono dopo 24 ore dalla pubblicazione. È proprio l’introduzione delle stories che ha contribuito a trasformare Instagram in uno strumento di narrazione visuale di rilievo.

Incontestabilmente, Instagram svolge un ruolo significativo nella vita delle persone, in particolare tra i giovani. Ciò che attrae sicuramente di più su Instagram sono le sue due funzioni cardine: da un lato consente agli individui di presentare la loro migliore versione di sé stessi e dall’altro facilita la creazione di reti sociali e conoscenze. Oggi i social media come Instagram si intrecciano profondamente con il tessuto sociale, connettendo individui, istituzioni e aziende. Questi mezzi digitali sono divenuti parte integrante della nostra vita quotidiana, plasmando le nostre abitudini e persino influenzando la nostra percezione del tempo (prima di iniziare a mangiare al ristorante, bisogna aspettare che l’amico ossessionato con le foto abbia pubblicato la sua storia su Instagram).

Tuttavia, credo sia legittimo interrogarsi sulla vera natura dell’immersione dei giovani nell’ecosistema di Instagram. Si trovano completamente assorbiti da questa piattaforma o sono ancora in grado di tracciare una netta distinzione tra il mondo reale e quello virtuale? Questo interrogativo rappresenta un nodo cruciale nella comprensione dell’interazione umana con le tecnologie digitali e la costruzione dell’identità in un’era sempre più connessa.

Le armi della Gen Z

La trasformazione dei social media e delle abitudini online si innesta in una generazione nata tra la metà degli anni ‘90 e la metà degli anni 2000, cresciuta in un mondo in cui Internet e i social media erano già una parte integrante della vita quotidiana. Tuttavia, sembra che questi nuovi internauti stiano adottando un approccio diverso rispetto alle generazioni precedenti quando si tratta dell’utilizzo delle piattaforme digitali.

Uno dei punti chiave di questa trasformazione è il desiderio di autenticità. Mentre in passato i social media erano spesso utilizzati per creare una versione idealizzata di sé stessi, con foto ritoccate e contenuti curati per mostrare una vita perfetta, la Gen Z sembra essere meno interessata a questa rappresentazione idealizzata. Invece, cerca di essere più autentica e spontanea nelle sue interazioni online.

Questo desiderio di autenticità può essere visto in molti aspetti del comportamento sul web dei giovanissimi, per esempio, nel disattivare i propri account sui social o limitare l’uso del cellulare durante il giorno. È un atteggiamento che può essere interpretato come un tentativo di staccarsi da una dipendenza eccessiva dai social media e di recuperare una maggiore privacy nella propria vita in rete.

Un altro aspetto interessante di questo fenomeno è la tendenza a usare social in modo passivo, cioè guardare senza essere visti. Mentre alcuni sembrano aver abbandonato completamente le piattaforme, in realtà stanno ancora seguendo attivamente i contenuti delle altre persone, in particolare tramite le storie. Questo suggerisce che la Gen Z sta cercando di bilanciare l’interazione online con la protezione della propria privacy e il desiderio di rimanere connessa con gli altri.

I giovanissimi sembrano non essere interessati alle «foto esteticamente belle» o all’«instagrammabilità». Questi erano concetti chiave per molte generazioni precedenti (inclusa la mia), che curavano con cura l’aspetto delle loro foto e dei loro profili online. Invece, la Gen Z sembra apprezzare di più la spontaneità e la verità nelle immagini che condivide. Questo può essere visto nelle tendenze di condivisione di video in diretta o di contenuti che mostrano momenti reali della vita quotidiana, piuttosto che immagini perfettamente ritoccate. Le strategie che si basano sull’immagine e sull’apparenza potrebbero non essere più così efficaci: ecco perché le aziende e i brand stanno cercando di adattarsi a questa nuova mentalità, sforzandosi di trovare nuovi modi per comunicare in modo più autentico e genuino per catturare l’attenzione di questa fetta consistente di pubblico.

In base a quanto detto finora, risulta ora abbastanza facile comprendere perché i giovani prediligano le storie su piattaforme come Instagram. Questo tipo di contenuti ha infatti una durata limitata di 24 ore, il che offre una sorta di «tabula rasa» giornaliera. È un aspetto interessante da osservare quando si esplora il comportamento online degli utenti. La quantità limitata di post permanenti potrebbe essere interpretata come un modo per evitare il costante confronto con il proprio passato, anche se si tratta solo di poche settimane.

In definitiva, la cancellazione delle foto da Instagram diventa un simbolo potente del rapporto tra identità digitale e crescita personale. Non è semplicemente un gesto di rimuovere un’immagine. È un atto di riconoscimento del cambiamento e della trasformazione. Le foto, anche se raffiguranti monumenti o momenti apparentemente banali, sono estensioni di noi stessi in un dato momento. Con il tempo ci evolviamo, cambiamo, maturiamo e a volte sentiamo il bisogno di distaccarci da ciò che eravamo. Eliminare una foto può rappresentare il desiderio di lasciarsi alle spalle una versione precedente di sé, quasi come una sorta di «pulizia» digitale che riflette una rinascita interiore.

Inoltre, eliminando contenuti a cui si tiene particolarmente, si fa spazio per nuove espressioni e visioni, aprendo di volta in volta un nuovo capitolo. In un mondo sempre più connesso e digitale, queste azioni diventano una potente metafora di continua ricerca di autenticità e rinnovamento. Ma soprattutto ci dimostrano che i giovani ci stanno consegnando un futuro in cui la desiderabilità sta trovando nuovi e più validi canali e palcoscenici per esprimersi. E su questi palcoscenici, forse, i social network non sono più così centrali.

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