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TikTok, Infinite Jest, consacrazione della creatività o molto altro?

Articolo. Partendo dall’opera di David Foster Wallace, qualche considerazione sulla piattaforma social del momento. Quella che coinvolge milioni di (pre)adolscenti. E, come sempre accade, spaventa gli adulti

Lettura 7 min.

Infinite Jest” è un libro dalla struttura irregolare, priva di una logica lineare, con sovrapposizioni e incastri temporali e narrativi, che parla di molti argomenti ma che, fondamentalmente, si occupa di un tema ben preciso: la dipendenza, in tutte le sue forme possibili (o probabili). Quando David Foster Wallace lo ha scritto, internet così come lo conosciamo oggi non esisteva. Eravamo ben lontani, cioè, dalla sovrabbondanza di relazioni e contenuti informativi e/o di intrattenimento che possiamo trovare oggi in rete.

Eppure esistevano già abbastanza stimoli nell’ecosistema informativo perché Wallace immaginasse l’esistenza di un contenuto talmente gradevole, piacevole da fruire da generare una dipendenza pressoché definitiva.
Nel libro, infatti, tutti coloro che vengono a contatto con Infinite Jest – un film contenuto in una cartuccia da inserire all’interno di un apposito lettore — e lo guardano anche solo per un istante si dimenticano letteralmente di fare qualsiasi altra cosa. Di vivere, per esempio.

È un po’ quello che ci raccontano le visioni più apocalittiche dell’universo dei social network. Chiunque abbia trascorso un po’ di tempo a guardare su un computer o su uno smartphone il feed, il flusso dei contenuti prodotti dai suoi contatti si sarà reso conto che può andare avanti a guardare foto, video, leggere testi fino a occupare ogni istante del tempo che si può dedicare a questa attività.

Se ti guardi intorno e vedi angoli di strada affollati, vedrai persone ferme a guardare i loro smartphone.

In un certo senso, in effetti, i social network sono progettati per tenerti al loro interno quanto più a lungo possibile. I meccanismi con cui si ricevono interazioni e approvazioni, poi, sono perfetti per incrementare il desiderio di rimanerci: pubblichi un video, qualcuno ti mette un cuoricino di approvazione e via così.

È anche per questa dinamica che, tutte le volte che nasce una nuova piattaforma social, qualcuno lancia grida d’allarme. Di solito sono grida che vengono da parte delle generazioni che hanno già maturato una loro forma di dipendenza e assuefazione ai cosiddetti vecchi media, troppo spesso dimenticati nelle analisi catastrofiste. Il giornalismo tradizionale, poi, ha sempre avuto una vera e propria passione per gli approcci catastrofisti alle nuove tecnologie, fin da tempi immemori. Nel 1904, il New York Times, per esempio, annunciava che il telefono ci avrebbe trasformati tutti in persone che sentono meglio dall’orecchio sinistro.

Non stupisce, allora, che appena TikTok è diventato un fenomeno relativamente di massa anche in Italia si siano levate le prime voci allarmate. Eppure ci sarebbero molte considerazioni interessanti da fare rispetto a questo nuovo social, e gli allarmi potrebbero essere molto più accurati.

Ma andiamo con ordine: che cos’è TikTok? Mentre scriviamo – questi strumenti si modificano spesso, a volte anche molto velocemente – una piattaforma social basata sulla creazione di video della durata massima di sessanta secondi, originariamente a partire da una base musicale (ma puoi anche registrare un audio con un parlato, per esempio, o usare l’audio di un film o di una trasmissione tv).

Se scarichi la app e ti iscrivi al servizio, quello che ti appare è un flusso ininterrotto di questi video – un Infinite Jest, in un certo senso – selezionati dall’algoritmo che fa funzionare TikTok. Vedi sessanta secondi con due ragazzi che recitano la scena di un film, una ragazza che muove le labbra fingendo di cantare la canzone che senti (è un genere: si chiama lip sync), video con filtri di ogni tipo, gag, scherzi, rudimentali o sofisticate candid camera. Poi, magari, ti imbatti in una challenge, una sfida. Funziona così. Qualcuno pubblica un contenuto con un’hashtag specifico. Per esempio: #RainDropChallenge. Racchiusa dentro quell’etichetta specifica, trovi tutti i video che sono stati prodotti per rispondere a quella challenge. Nel caso della RainDrop – l’abbiamo scelta perché è quella che ha avuto più successo in assoluto su TikTok finora: quasi un miliardo di visualizzazioni – devi usare un filtro che simula la pioggia mentre registri il video. E tutte le volte che muovi verso la telecamera dello smartphone la mano con il palmo aperto, la pioggia si ferma.

Così, per esempio.

@sunnychopra

Tik tok magicians be like! �� zaiddarbar #raindrop #raindropchallenge #monsoon #magic

♬ STOP! - andressa.fontinele

C’è anche una moneta virtuale su TikTok, che si paga con soldi veri e che serve, per esempio, per comprare regali virtuali per altre persone. Naturalmente, la moneta virtuale si può convertire, allo stesso modo, in soldi veri. Per approfondire il tema, su TechJunkie se ne parla in maniera più tecnica e con esempi pratici.

Com’è nato TikTok? È stato progettato e sviluppato da una software house cinese, la ByteDance Ltd che nel frattempo ha lanciato anche un servizio analogo solo per la Cina (Douyin) e ha acquisito un’altra piattaforma simile che si chiamava Musical.ly. Il tutto a partire da settembre 2016.

Quante persone sono iscritte a TikTok?La stima è di un miliardo e mezzo in tutto il mondo.

Di cosa hanno paura i critici di TikTok? Visto che la piattaforma si rivolge – anche qui, in origine – al mondo dei giovanissimi, per esempio, una delle paure è “che degli estranei possano contattare direttamente i ragazzini sull’app, i quali potrebbero essere tentati di accettare le richieste pur di ottenere un seguace o un mi piace in più”. Insomma, la paura dell’internet che adesca.

Eppure, come scriveva Gigio Rancilio su Avvenire, ci sono tante altre facce della medaglia. Una di queste è il fatto che “su Tik Tok molti di quei ragazzi che in certe scuole verrebbero magari derisi o emarginati perché sovrappeso o con difetti fisici, trovano spesso fan e sostenitori. Certo, sono «fan» passeggeri e superficiali, che mettono «un cuore», un emoticon con un applauso o con un bacio, e niente di più. Però da ragazzini sono gesti che valgono. Soprattutto per chi li riceve”. È molto utile leggere il pezzo di Rancilio perché si possono apprezzare i cambiamenti che ci sono stati nella app in appena dieci mesi.

Il punto è che in un ecosistema complesso come quello digitale, ci sono problemi e soluzioni che convivono. Proprio come nella realtà. Di solito, però, le voci più critiche fingono che l’ecosistema digitale non sia un ecosistema complesso e fortemente integrato con la realtà fisica. E così, alla fine, sono critiche che si assomigliano tutte fra di loro. E gli allarmi che vengono lanciati quasi mai sono seguiti da proposte sensate di soluzioni che non siano il proibizionismo o il controllo assoluto o la paranoia dell’identificazione di ogni singola persona che usa un dispositivo elettronico. Insomma, si offrono soluzioni riduzioniste a problemi complessi. Sì, sicuramente ci saranno estranei che provano a contattare minorenni. Sì, sicuramente ci sono stati, ci sono e ci saranno contenuti inappropriati. Ma il tema principale per costruire utilizzatori consapevoli di questi strumenti che esistono e non se ne andranno mai più è lavorare sulla consapevolezza.

Cosa fare per avere una visione non riduzionista su TikTok? Tanto per cominciare, bisogna studiare. Sì, anche se sembra ridicolo, quando si parla di un’applicazione o di un social network, averne contezza da un punto di vista analitico è fondamentale. Usare le applicazioni, studiarne la storia, conoscerne la proprietà, leggere i termini d’uso che si accettano, le modalità di trattamento dei dati e via dicendo. Non vale solo per TikTok, vale per tutto quel che facciamo sul digitale.

E poi è utile sentire pareri che si collocano in una posizione laica: niente apocalittici, niente integrati.

Per esempio, abbiamo chiesto a Giovanni Boccia Altieri di raccontarci il suo punto di vista rispetto al clamoroso successo di TikTok. Boccia Artieri è un sociologo ed è Professore ordinario presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, dove dirige il Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali: Storia, Culture, Lingue, Letterature, Arti, Media (DISCUI). Ha scritto molti libri interessanti sugli ecosistemi digitali ed è anche autore della bellissima prefazione al libro di Henry JenkinsFan, Blogger e Videogamer. L’emergere delle culture partecipative nell’era digitale”.

Lo abbiamo raggiunto attraverso una chat su Messenger di Facebook. È bene dirlo per mostrare una delle tante altre facce dei social.

Il successo di TikTok”, ci ha spiegato “è dovuto al fatto che ha saputo intercettare un bisogno dei giovani che è relativo alla produzione performativa che la condivisione di contenuti statici e foto non soddisfa appieno.

Un bisogno che è di apparizione e relazione allo stesso tempo: mettere in scena la propria persona attraverso un racconto quotidiano aiutato dalle affordance [proviamo a tradurre con ‘inviti all’uso’, nel senso di modi che TikTok offre per essere usato, ndr] della piattaforma (il pay off è ‘Make Your Day’) e allo stesso tempo strutturare relazioni con gli altri”.

Credo che più di altre piattaforme TikTok abbia risvegliato il senso del racconto, che sta nell’azione performativa più che nella cura della produzione di un contenuto e il sistema di distribuzione valorizza questa capacità.

Il mondo degli adulti che si avvicina a TikTok dovrebbe cogliere proprio questa voglia creativa e il desiderio di racconto costante dei giovani. L’errore è quello dell’ingresso di adulti per imitazione o riproposizione di comportamenti che sono chiaramente adolescenziali”.

Quindi ci sono adulti su TikTok? Certo che sì. In Italia alcuni fra gli apripista sono stati donne e uomini del mondo dello spettacolo. Su tutti Fiorello, che già aveva fatto da early adopter di Twitter, poi portato un po’ goffamente in tv con un programma dal titolo #Ilpiùgrandespettacolodopoilweekend (sì, con tanto di hashtag) nel 2011. E in effetti l’approccio che hanno questi adulti è proprio di imitazione e di riproposizione. In generale, come è avvenuto per tutte queste piattaforme, gli adulti sono in aumento. C’è persino un giornale. Non uno qualunque: il Washington Post, con Dave Jorgenson, che abbiamo provato a contattare senza successo per capire bene gli obiettivi della loro presenza digitale in questo ecosistema. In assenza di risposte dirette, non possiamo che immaginare che quella del Washington Post sia un’operazione di “ricerca e sviluppo”, di posizionamento presso un pubblico che non ha dimestichezza con il giornale tradizionale.

Come fa i soldi TikTok? Con gli acquisti “in app”, cioè grazie alle persone che comprano la valuta interna di cui abbiamo già parlato. E poi, da un po’ di tempo a questa parte, con la pubblicità che viene acquistata da terzi per inserirsi nel flusso infinito di intrattenimento.

Cos’altro bisogna sapere su TikTok? Tante cose. Per esempio, che anche gli oligopoli digitali possono favorire la scalata di altri attori. Cosa vuol dire? Vuol dire che TikTok è cresciuto moltissimo in termini di iscritti grazie a una strategia molto intelligente di campagne pubblicitarie fatte girare su piattaforme social antagoniste, in particolar modo su Instagram (che fa parte della galassia delle proprietà di Facebook).
La strategia ha funzionato talmente bene che TikTok è diventata l’unica fra le cinque app più popolari al mondo non possedute da Facebook. Le altre quattro sono, ovviamente, Facebook, Instagram, Messenger e WhatsApp.
Se uniamo questa crescita eccezionale al fatto che la proprietà di TikTok è cinese, non sarà difficile capire come mai negli USA si stanno muovendo per tentare di arrivare a una regolamentazione del mondo social. Il tema è, come al solito, l’uso dei dati delle persone iscritte. La privacy. Per esempio, già il 27 febbraio del 20198 la United States Federal Trade Commission ha multato ByteDance per un importo di 5,7 milioni di dollari per aver raccolto informazioni da iscritti con meno di 13 anni. Poi sono emerse voci di trasferimenti di dati personali su server cinesi di proprietà dei due colossi Tencent e Alibaba. Ma ci sarebbero in ballo anche questioni di sicurezza nazionale. Al punto che, secondo Bloomberg, la proprietà di TikTok starebbe valutando una vendita.

Agli utilizzatori della piattaforma tutto questo interessa relativamente e arriva – nella migliore delle ipotesi – come informazione a margine dell’uso che viene fatto. Eppure, quel che dovrebbe importarci anziché l’allarme fine a sé stesso è avere una visione d’insieme. Scopriremo, allora, che TikTok non è una trappola. Non è la consacrazione della creatività ma non è nemmeno l’Infinite Jest. Eppure è anche, almeno in parte e a seconda dei punti di vista, tutte queste cose, insieme e molto di più. La differenza la fa il modo in cui viene usato dalle persone. La differenza la fanno le persone. Per questo è meglio essere consapevoli.

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