Ho cominciato a interessarmi alla personalità che si esprime negli ambienti online nel periodo in cui frequentavo la facoltà di sociologia. Ma dietro a quello che potrebbe a tutti gli effetti sembrare l’incipit di un articolo accademico si nascondono, in realtà, motivazioni poco “scientifiche”.
Ai tempi, infatti, uno degli esami più temuti della facoltà era quello di economia. Il professore era un uomo di mezza età piuttosto bizzarro che di fronte alle nostre facce da pesci lessi durante le spiegazioni, non faceva altro che ribadirci che con la nostra inettitudine non avremmo mai passato l’esame. Probabilmente aveva ragione. Così, all’indomani della data che avrebbe segnato la fine della mia carriera universitaria (almeno secondo lui) decisi che c’era una sola cosa da fare per provare a salvarmi: spiare il suo profilo su Facebook.
Con mio grande stupore, scoprii un grande tifoso del Napoli, con tanto di immagine di copertina che inneggiava Maradona. La sua bacheca era invasa di notizie e invettive piuttosto accese per uno che nelle sue lezioni sembrava praticare l’ascesi come stile di vita. Passai l’esame (con un voto misero) ma, soprattutto, osservare il modo in cui quel docente esprimeva le sue passioni sui social network mi servì a umanizzarlo e a capire che in fondo, dietro a un disilluso studioso di economia, si nasconde la personalità temeraria di un tifoso del Napoli che ancora spera di vincere lo scudetto.
Onlife e personalità: continuità o separazione?
Il profilo nei social network può essere inteso come una forma di autorappresentazione pubblica e al tempo stesso una presentazione fortemente mediata della personalità che risente dei condizionamenti che derivano dall’osservazione dei profili altrui. I social network, in questo senso, funzionano come luoghi in cui si rendono compatibili le diverse componenti della personalità intesa come “processo in continua formazione”.
Inoltre, i social network funzionano come realtà conversazionali nelle quali i commenti, i messaggi in tempo reale, gli hashtag danno vita a una nuova modalità di cura della semantica della società, del modo in cui essa si percepisce e si descrive, che non passa più dai media di massa o perlomeno non solo. Questi ultimi, infatti, da un lato la assorbono e dall’altro la stimolano a cambiare. Il risultato è che ogni tentativo di descrizione di questa realtà onlife e delle sue componenti (personalità inclusa), risulta sempre in ritardo e inadeguato rispetto a ciò che i media producono.
Tutte le micro-produzioni narrative dei vissuti che avevano dimora nei diari, negli album di famiglia o se ne stavano appese sul frigorifero vengono ora riversate come un flusso sui social, dando vita a forti condivisioni emotive senza che queste siano necessariamente preludio della capacità di dar vita a relazioni profonde. Quante volte vi sarà capitato di leggere il post di una persona che neanche conoscete sui social e commuovervi, avendo l’impressione di essere entrati in contatto con lei? Il passo successivo sarà quello di andare a cercare informazioni su di lei, per capire chi è, un po’ come facciamo quando incontriamo qualcuno “dal vivo”.
Ma prima di tutto questo, cosa intendiamo quando parliamo di personalità? Tutte le teorizzazioni e gli studi psicologici, sociali e filosofici che di volta in volta hanno provato a rispondere a questa domanda si suddividevano in due correnti: coloro che sostenevano la preminenza dei fattori sociali e quelli che invece sottolineavano l’irrimediabile predominanza delle basi biologiche e delle predisposizioni genetiche. Sembra intuitivo preferire una terza via che più verosimilmente, identifica la personalità come un sistema complesso, un’organizzazione dinamica, situata nell’individuo, quale risultato dell’interazione di sistemi che danno vita alle diverse configurazioni di comportamento, pensiero ed emozioni, attorno alle quali si struttura l’inafferrabile unicità di ogni persona.
Intendere la personalità come una configurazione dinamica ci permette di comprendere come la specie umana sia stata nel corso del tempo in modi di volta in volta inattesi, adattandosi all’ambiente e modificandolo a sua volta. In questo senso, l’online può essere inteso come una combinazione di ambienti nei quali le persone svolgono attività disparate che vanno dal giocare, al comunicare con la propria rete amicale, al mettersi in contatto con individui sconosciuti. E se dunque questi fenomeni particolari e contingenti sono in grado di condizionare la costruzione del proprio sé sociale e la strutturazione della personalità, diventa fondamentale capire come questi mondi digitali entrano in contatto con le caratteristiche degli individui e mettono in relazione le persone.
I social network ricostruiscono il nostro contesto in un modo assai completo e dettagliato, riportando la nostra vita nell’ambiente digitale: i luoghi che visitiamo, le persone che conosciamo, gli avvenimenti che segnano una svolta decisiva nel nostro percorso e così via. Questa transizione di mondi è operata secondo l’idea che vogliamo dare di noi, sulla quale si struttura la personalità, e quella che di noi hanno altri.
Ma si tratta anche di riconoscere che lo sviluppo della personalità in rete è fortemente condizionato dalla fase di vita in cui l’individuo si trova. Il successo dell’onlife nella generazione Z è testimoniato dal fatto che esso rappresenta un contesto sicuro nel quale i giovani si sentono liberi di sperimentare i lati della propria personalità, adattandoli ai vari contesti (web chat, giochi di ruolo, realtà virtuali).
Allo stesso modo gli adulti utilizzano la rete per esprimere i diversi aspetti della loro personalità con l’obiettivo (spesso anche inconscio) di dare un’immagine della personalità, che si esprime al di fuori della rete, più attraente. Il risultato è che spesso la personalità online finisce per trovarsi in competizione con quella offline in quanto mette in evidenza i limiti delle proprie esperienze di vita e del proprio vissuto.
Le persone, quindi, tendono a mentire sui social non solo per stare al passo con le aspettative di desiderabilità definite dalla propria community, ma anche perché trovano nella rete un modo per sperimentare loro stessi e la propria personalità in modi differenti e non necessariamente finzionali – almeno per loro. Se, per esempio, al di fuori della rete una persona è timida, introversa, ma online si sente a proprio agio a esprimere le proprie idee e i propri sentimenti, possiamo dire che sta fingendo di essere ciò che non è?
Personalità in rete: tra liquefazione e autenticità
I primi studi sul comportamento che gli utenti tengono online risalgono agli anni Cinquanta del secolo scorso. Lo sviluppo dei siti web, secondo gli studi psicosociali di quel periodo, doveva tenere conto di tre specifici bisogni: quello di chiusura, tipico delle persone che cercano di ridurre al limite il grado di incertezza delle situazioni. La tendenza all’innovazione, tipica delle personalità creative che vanno alla ricerca di modi esprimersi non conformisti. In ultimo ma non per importanza, lo stile di attaccamento. La personalità che si sviluppa in relazione agli stili di attaccamento poteva essere utilizzata per comprendere il perché le persone agiscono in determinati modi in rete.
Una personalità che si caratterizza per un attaccamento evitante andrebbe alla ricerca di relazioni in rete prive di coinvolgimento, mentre coloro che presentano un attaccamento ansioso potrebbero utilizzare la rete per costruire relazioni profonde che si sviluppino nel tempo e anche al di fuori di essa. Internet era concepito come un’esperienza intima e solitaria e guardato con sospetto da coloro che invece preferivano le relazioni sociali vissute faccia a faccia.
Questi studi rendono conto di come le persone tendono a trasgredire più facilmente le norme che regolano la convivenza sociale, non perché la loro identità si disperde in rete, ma perché si sentono più intimamente parte dei loro gruppi. Di conseguenza ci è più facile comprendere perché online si manifesta più facilmente l’aggressività. Essa risulta essere legata spesso a un forte senso di appartenenza di gruppo.
Le ricerche più recenti hanno messo in evidenza che il successo della comunicazione della personalità in rete dipende da quelli che sono stati definiti pragmatic devices , ovvero espedienti metalinguistici che permettono di rendere la complessità della comunicazione anche se avviene online. Un esempio sono le emoticon o le onomatopee che servono per esprimere stati emotivi: «hahahah». Emblematico in questo contesto è l’uso della punteggiatura che si distacca dalle consuete norme della grammatica e che viene utilizzata per esprimere emozioni: «……..», «<!!!!». È con il passaggio dal cyberspace ai cyberplaces che la rete diventa un vero e proprio contesto esperienziale, un ambiente nel quale sperimentare la personalità in modi e mondi inesplorati.
I social network, in conclusione, hanno accelerato un processo in corso da alcuni decenni: l’aumento esponenziale delle relazioni nella vita degli individui. Essi plasmano la dimensione comunicativa e il modo in cui esprimiamo la personalità ma il nostro essere costantemente always on comporta stress e fatica, perché sperimentiamo continuamente la sensazione di avere sempre meno tempo a disposizione. Per questo, il ruolo degli ambienti online è quello di provare a rendere più varia, interessante e tollerante questa perdita, in una tensione costante tra ciò che siamo e ciò che l’onlife ci mostra rispetto a chi potremmo essere in questo vaghissimo e vicinissimo “altrove”.