Con la massiccia diffusione dello smartworking e della didattica a distanza legata alle esigenze di sicurezza sanitaria, le nuove tecnologie sono diventate parte imprescindibile della nostra vita quotidiana. Il termine “digitale” è ormai talmente diffuso che il suo significato ha assunto confini labili e difficilmente definibili. Ma se torniamo alla radice, quella etimologica, scopriamo che “digitale” altro non si riferisce che alla rappresentazione numerica di un’informazione.
E infatti è proprio dai numeri che è nata l’arte digitale: i primi a sperimentarla furono due matematici e programmatori, Ben Laposky, statunitense, e Manfred Frank, tedesco. Furono loro che nel 1950, inserendo una funzione matematica in un processore e ottenendone una proiezione grafica, sperimentarono per la prima volta con quella che venne inizialmente definita computer art. Da allora le innovazioni e le possibilità artistiche si sono moltiplicate a livello esponenziale, tanto che è difficile dare una definizione di arte digitale che sia sufficientemente ampia da includere tutte le sue sfaccettature.
Forse però, osservandola con uno sguardo profano, è ancora l’etimologia che ci viene in aiuto. Se non possiamo dire con assoluta certezza cos’è l’arte digitale, possiamo almeno azzardarci a dire cosa non è: analogica. Questo termine, l’altra faccia della medaglia rispetto al digitale, viene così definito: la rappresentazione di un’informazione tramite un’altra grandezza nota. Il digitale, al contrario, è un linguaggio discontinuo, che richiede un salto nel vuoto, o meglio, parlando di arte, un’esplorazione dell’ignoto, un azzardo, una rinuncia alla dimensione confortante del già noto.
Ecco quindi una prima prospettiva da cui osservare “Augmented Nature”, l’evento organizzato da MiDi – Motori Digitali per l’edizione 2020 di ZoneDigitali, previsto per il 26 settembre all’Orto Botanico “Lorenzo Rota” di Bergamo (prenotazione qui): un avvicinamento a un universo poco conosciuto dai più, quello dell’arte digitale. “Ci piace l’idea di mettere il pubblico in relazione con linguaggi nuovi, con cui, specialmente in bergamasca ma in generale in tutta Italia, può non essere molto familiare”, spiega Maria Teresa Galati, referente organizzativa dell’evento. “L’idea è far entrare in contatto in modo morbido e non violento il linguaggio dell’arte digitale con un pubblico che non lo conosce. La definirei diffusione più che divulgazione”.
Il pubblico che assiste ad “Augmented Nature” viene infatti accompagnato in un viaggio suggestivo, fatto di stimoli sensoriali multipli e variegati. Si tratta di un percorso a tappe, ispirato ai meccanismi della biologia vegetale, pensato in sinergia con la location, che si sviluppa attraverso la performance musicale di Francesca Pavesi (“Idra”), la videoarte del berlinese Sage Jenson (“Matter Flows”) e “Nature perpetuelle”, l’installazione, curata da MiDi in collaborazione con l’Orto Botanico, l’associazione Semifreddo e Bee Innovative, ispirata dal fenomeno del fototropismo. “Non si tratta di un percorso didattico”, specifica Maria Teresa, “non vogliamo insegnare nulla né lanciare un monito, quanto piuttosto proporre una serie di suggestioni, delle installazioni che suscitino una dinamica di sguardi, che transizionano da passivi a attivi”.
Sage Jenson e Francesca Pavesi portano il loro personale contributo a una rivisitazione della natura, una rilettura dell’Orto Botanico in una luce nuova. Ed ecco una seconda chiave di lettura di “Augmented Nature”, la riqualificazione urbana: “Con ZoneDigitali l’intento è duplice, riscoprire spazi abbandonati (le scorse due edizioni sono state, rispettivamente, in un’ex centrale elettrica e in un’ex chiesa, ndr) e ritrasformare spazi significativi. L’Orto Botanico con le nostre installazioni e i giochi artistici sarà visto sotto una nuova luce, ed è questo il potere più grande delle nuove tecnologie”. Riqualificazione, quindi, in un’ottica di rinnovamento ma anche di ibridazione, di rottura degli schemi.
In linea con questo obiettivo, i due artisti hanno in comune un intento di decostruzione e poi ricostruzione della realtà, un’azione artistica libera da percorsi prestabiliti, contaminata da linguaggi e stili ibridi, improntata alla suggestione multisensoriale: “Dopo aver demolito lo status quo, ricostruiscono interi universi sulla base di regole nuove”, riassume Maria Teresa. Il progetto di Sage Jenson origina da una riflessione sulla biologia speculativa e sulle reti di trasporto dei nutrienti per creare spazi audiovisivi tattili, che sono veri e propri ecosistemi digitali.
Francesca Pavesi porta invece un’esibizione ispirata “ai suoni della natura, che si commistionano con la musica, per creare un’opera che lavora sulla costruzione dell’ambiente”, spiega Maria Teresa. Sonorità ambient, soundscape e texture organiche si fondono in una continua ricerca e improvvisazione che trasporta l’ascoltatore in mondi nuovi e inesplorati. Un viaggio sonoro senza necessità di destinazione.
“Ma la nostra riflessione più importante”, continua Maria Teresa “è quella legata alla nostra opera, ‘Nature perpétuelle’, che ha un’anima doppia: botanica e letteraria”. Sì, perché l’evento è in primo luogo frutto di una stretta collaborazione con il direttore dell’Orto Botanico, Gabriele Rinaldi. “Siamo ospiti di un luogo importante dal punto di vista scientifico: non volevamo incollare l’evento sullo spazio, ma svilupparlo in sinergia con lo spazio per creare un evento organico. Ci siamo fusi con l’Orto Botanico”.
È stato infatti il direttore a svelare ai giovani professionisti di MiDi i segreti della botanica e dei meccanismi vegetali, specialmente per quanto riguarda la luce come fonte di vita per tutti gli esseri viventi. Tra questi, il fototropismo è il tema che più è apparso denso di suggestioni e spunti di riflessione. Si tratta del fenomeno per il quale una pianta regola la propria direzione di crescita in funzione della luce del sole ed è stato scelto come fil rouge dell’intero evento. “Ci siamo chiesti quale potesse essere la relazione tra il meccanismo della pianta che si rivolge al sole per crescere e le spinte sotterranee che spingono l’essere umano a muoversi per agire”, racconta Maria Teresa. “Volevamo indagare quel movimento costante della natura e degli esseri umani che appare così misterioso”.
Ed ecco perché l’evento ha anche un’anima letteraria: l’idea di un simile parallelismo tra il movimento botanico e quello umano proviene dall’opera di una scrittrice francese di origine russa Nathalie Sarraute. Nel 1939 la Sarraute pubblicò la raccolta di testi “Tropismes”, in cui indagava i moti indefinibili e profondi che spingono l’uomo ad agire. Così come la pianta si orienta in base alla luce del sole, allo stesso modo l’essere umano regola la propria esistenza in funzione dei moti psicologici che si originano dall’inconscio. Non è però una semplice reazione deterministica, ma un continuo andare e venire che si inserisce nel flusso multiforme dell’esistenza.
Lo spettatore di “Augmented Nature” viene immerso in un percorso di forti suggestioni sensoriali, che nulla ha di univoco, lineare e prevedibile; non è familiare, non è già noto, non è analogico. È digitale nel senso puro e originario del termine. Non ci sono risposte né confortanti conclusioni, ma uno stimolante viaggio di suggestioni che vuole essere uno stimolo alla riflessione.