Una città contaminata e soffocata dalla pioggia acida. Una selva di grattacieli dotati di schermi a tutta parete su cui vengono proiettate le pubblicità, sport che esortano a trasferirsi sulle colonie «extramondo», data la qualità della vita sulla Terra. Al di sotto, marciapiedi umidi su cui si accalcano folle di etnie diverse.
Abbiamo superato la cupa e caotica Los Angeles del 2019 dipinta da «Blade Runner», ci avviciniamo pericolosamente al 2026 di «Metropolis», il capolavoro del 1927 diretto da Fritz Lang («sopra abbiamo la luce, il cielo, il potere, sotto c’è l’inferno, lo sfruttamento, la schiavitù eterna»). Ma abbiamo “centrato” le profezie rappresentate da Ridley Scott, da Philip Dick o da Fritz Lang? E come è cambiata la città, dentro e fuori lo schermo?
A rispondere è Lorenzo Fantoni – giornalista classe 1981, autore («Vivere mille vite. Storia familiare dei videogiochi», Effequ 2020), esperto in cultura pop e tecnologia. I momenti più significativi dell’intervento tenuto da Fantoni nel corso del festival Le Primavere di Como verranno trasmessi su Bergamo TV domenica 19 giugno alle 15.
L’intervista
Parlare del futuro partendo del presente. È questo lo scopo della fantascienza, un genere che si declina –spiega Fantoni – principalmente su due filoni. «Il primo è positivista e consiste nell’ipotizzare come potrebbe essere un futuro in cui gli esseri umani hanno superato determinate divergenze in virtù di un progresso superiore. È molto famosa la battuta di Patrick Stewart che alla domanda “Come mai il suo personaggio, il capitano Picard, è pelato quando nel mondo del futuro una persona potrebbe farsi ricrescere i capelli senza problemi?” rispose “perché nel mondo di Star Trek nessuno si preoccupa del fatto che tu sia pelato. Tutti sono accettati”».
Gli spazi che abitiamo oggi sembrano maggiormente influenzati dal secondo filone, quello dominato dall’immaginario cyberpunk , di cui film come «Blade Runner», «Ghost in The Shell», «Strange Days», o romanzi come «Neuromancer» di William Gibson sono sicuri punti di riferimento: «è il filone che ci voleva mettere in guardia da un futuro distopico, dalle multinazionali che hanno il potere sui governi, dalla disumanizzazione totale, da un mondo dove valiamo quanto riusciamo a performare o a venderci».
È difficile, secondo Fantoni, stabilire «quanto il futuro venga inventato dagli uomini che lo plasmano e quanto effettivamente è stato attinto dalla fantascienza. Secondo me, ad alcune idee – come le auto a guida autonoma o i cellulari di un certo tipo – siamo arrivati anche perché lo abbiamo visto nella fantascienza. Certo, ci siamo accorti che non vogliamo così tanto le auto volanti perché in fondo sono pericolose. Ci siamo dimenticati di calcolare alcuni interessi privati, come l’interesse sul petrolio».
Molte profezie, nella città del 2022, hanno trovato compimento. La pervasività della tecnologia, sempre più intima e viscerale: quella tecnologia che, come nei film e nei romanzi cyberpunk, sta attaccata alla pelle o addirittura dentro – dai telefoni cellulari, agli smartwatch, alle protesi e agli impianti. Non solo. «C’è un film con Stallone degli anni Novanta, “Demolition Man”, che immaginava un mondo in cui non ci si tocca più per colpa di una pandemia, dove le persone sono multate se dicono parolacce, e si collezionano oggetti degli anni ‘80 perché quell’epoca viene vista come un passato mitizzato».
Dalle città fantascientifiche, continua Fantoni, la città del presente ha ereditato «la gerarchizzazione, per cui le persone più ricche stanno nei palazzi più belli, come il Bosco Verticale, mentre gli ultimi non nel sottosuolo… ma quasi». Dietro l’angolo, commenta il giornalista, c’è il rischio che la tecnologia separi, invece di unire: «dovrebbe portarci verso un futuro in cui camminiamo tutti insieme, siamo tutti vicini e uguali, ma poi finisce che qualcuno resta indietro, perché inesperto o svantaggiato economicamente».
La Los Angeles di «Blade Runner» non potrebbe essere più ibrida: è una mescolanza di segni, popoli ed etnie. Anche l’architettura della città sembra parlare più lingue: chi ha visto il film ricorderà grattacieli, edifici monumentali anni Trenta accanto ad altri – quelli che ospitano gli uffici della Tyrell Corporation – simili a piramidi egiziane.
Secondo Fantoni, anche il nostro paese si muove da anni lungo questa direzione, «integrando culture, lingue, modi di vestire, cucine differenti». Certo, rispetto a Shangai, Los Angeles o Tokyo, riferimenti della fantascienza standard, l’Italia offre «un fiorente sottobosco di città piccoline, più difficili da vedere come le grandi città fantascientifiche. Però, forse ci stiamo accorgendo che grandi città vanno bene fino a un certo punto: a volte devi ripensare agli spazi urbani delle grandi città per renderli vivibili, umani».
Riusciremo mai a immaginare una città del futuro che sia qualcosa che non abbiamo già visto nei film? Lorenzo Fantoni non ha dubbi. «È complicato, ma per me sì. In fondo, anche i grandi maestri del cyberpunk e della fantascienza non avevano pensato ad alcune cose, come la pervasività di Internet sui telefoni cellulari o i social network».
Non necessariamente, questa città del futuro sarà quella che definiamo oggi «metaverso». Del resto, di “metaversi” intesi come «spazi online per certi versi molto cyberpunk, un navigare su Internet in maniera fisica comprando oggetti o partecipando ad eventi», il mondo dei videogiochi ne conosce da tempo. «Sono stato un grande giocatore di “World of Warcraft”: io le città di quel gioco me le ricordo, potrei girarle senza mappa, per me erano luoghi fisici, spazi che abitavo. Molti videogiochi a cui ho giocato erano già “metaversi”».
È innegabile che, con il miglioramento delle connessioni e l’arrivo delle blockchain e degli NFT, il mondo del metaverso ha cominciato ad attirare un certo tipo di pubblico, tra speculatori e investitori. «Quello che viene teorizzato, in un futuro molto futuro, è un mondo in cui realtà fisica e realtà digitale si andranno a fondere. Questo ancora non lo vediamo bene. Secondo me, la cosa più interessante che potrebbe essere oggi il metaverso riguarda la realtà aumentata: nel momento in cui sono in uno spazio fisico, mi viene sovrapposto uno spazio virtuale con cui posso interagire. E quando parlo di interagire, non dico solo darmi le indicazioni su un paio di occhiali. Ci sono tante cose che hanno bisogno di raggiungere un alto livello tecnologico prima che si possa arrivare al metaverso vero e proprio. È importante accostarsi ad esso con un pizzico di scetticismo… ma di interesse».
L’incontro
Com’è stata immaginata la città del futuro nella fantascienza? Non solo nella letteratura e nel cinema, ma anche nel mondo sempre più elaborato e sfaccettato del videogame. Domande a cui ha risposto ieri pomeriggio nella Sala Bianca del Teatro Sociale, ospite del festival Le Primavere, Lorenzo Fantoni. Giornalista, scrittore, storyteller e divulgatore, esperto in cultura pop, tecnologia, gadget e videogiochi. Dialogando con il direttore de La Provincia Diego Minonzio e con Marialuisa Miraglia, responsabile della comunicazione della rassegna.
La casa di Star Wars
Fantoni parte da un’esperienza personale per quanto... non reale: «Una delle case più belle in cui ho vissuto era una casa virtuale in un videogame legato a Star Wars. La fantascienza ha lavorato tantissimo sulle città e quello che si vede fin dall’inizio ci dice quale sarà la visione del mondo, le aspirazioni, le speranze di un’epoca. Negli anni Venti e Trenta, ad esempio, si immaginavano città pulitissime, dove nessuno si ammala, dove tutto va bene. Poi si è passati a esaltare la tecnologia. Una delle principali fonti di ispirazione arriva da “Metropolis”».
Il capolavoro di Fritz Lang è stato indubbiamente anche un caposaldo visivo. Poi la storia, quella vera, si mette in mezzo: le guerre mondiali, la guerra fredda. E, in questo viaggio, si arriva agli anni Ottanta, al cyberpunk che «invece di farci vedere un mondo felice, una tecnologia che eleva l’uomo, ci mostra enormi città gigantesche, spersonalizzanti, una tecnologia schiacciante».
Scott e «Blade runner»
Il riferimento immediato è quello di «Blade runner» di Ridley Scott. «Si ispirava, dal punto di vista visivo, a città orientali come Hong Kong o Shanghai, e oggi si può dire che non siamo poi così distanti». E la fantascienza si avvicina alla scienza: «Il cyberpunk, a modo suo, ha previsto Internet, perché descriveva uno spazio virtuale, un cyberspazio che ha condizionato, nel decennio successivo, la conformazione della realtà virtuale. In questo modo la fantascienza diventa preveggente: abbiamo i telefoni come quelli di Star Trek, e tanti giochi hanno preso spunto dal ponte ologrammi dell’Enterprise. In compenso nessuno aveva previsto i social network».
Interessante capire come vediamo il futuro oggi. Qui il riferimento pop principale è la serie «Black mirror»: «Rappresenta un caso molto particolare, perde l’aspetto hi-tech per portarci in un mondo molto più asettico, preciso e normale. Ha cominciato a parlare di futuro, ma quel futuro ha subito un’accelerazione tale che è finito per parlarci di presente. E ora facciamo fatica a immaginare un futuro anche di soli venti o trent’anni».
«Adesso – riallacciandosi al tema de «Le Primavere» – ipotizziamo il “metaverso”, ma è un’ennesima ripercussione di schemi che già conosciamo. La differenza con il passato consiste nella nascita delle criptovalute. Il sogno consiste nel sovrapporre questi due ambienti: pensate a una Como virtuale in cui si possono organizzare eventi impossibili nella realtà, in spazi che non esistono».
(Alessio Brunialti, da La Provincia di Como, 1 maggio 2022)