“Copiare la natura”: ebbene sì, anche gli scienziati barano. Perché, a volte, le soluzioni ai problemi più complessi non sono da ricercare chissà dove: sono proprio qui, sotto al nostro naso. Per trovarle basta osservare il mondo naturale, da secoli fonte di ispirazione per le scienze di ogni genere ma solo da pochi decenni saldamente legato alla robotica. È questo il tema dell’omonima conferenza di domani (7 ottobre) alle ore 21 a Bergamoscienza, con ospite Emanuela Del Dottore, PhD in Biorobotica, ricercatrice dell’Istituto Italiano di Tecnologia e collaboratrice di Barbara Mazzolai, tra le 25 donne più geniali del settore della robotica secondo Robohub.
“La robotica è nata per le fabbriche”, spiega Del Dottore nel corso dell’intervista, individuando allo stesso tempo pregi e limiti della disciplina, “sotto forma di strumenti industriali che operavano in ambienti noti, con caratteristiche note. Ora, invece siamo in un’era molto più dinamica”.
Oggi, infatti, “abbiamo bisogno di sistemi sempre più autonomi, che riescano a muoversi in ambienti che non sono ben predefinibili in fase di design del robot. Abbiamo bisogno di sistemi che riescano ad adattarsi agli ambienti e alle interazioni: queste ultime, infatti, possono essere anche molto dinamiche, come nel caso di interazioni con l’uomo”.
Quali sistemi sono più complessi, articolati e ricchi di stimoli degli esseri viventi, dal più semplice al più evoluto? Riassume infatti Del Dottore: “La natura ci insegna tutto. È l’ingegnere per eccellenza di ogni sistema”. L’ispirazione, per chi si occupa di biorobotica, proviene sempre dal mondo naturale, che non ha mai smesso di evolversi nei miliardi di anni da quando è comparso sulla Terra. Il risultato: “ogni sistema vivente è ottimizzato, sia nella struttura che nelle funzionalità, per vivere nell’ambiente nel quale nasce”.
Al contrario la robotica, oggi penetrata non solo nelle fabbriche ma anche nelle nostre case (si pensi all’aspirapolvere robot Roomba), contiene molti potenziali inespressi connessi all’imitazione della natura, o biomimetica. “Guardiamo alla natura”, continua Del Dottore, “perché, avendo già sviluppato soluzioni ingegneristiche ottimali per vivere e risolvere problematiche in tempo reale in ambienti reali, siamo incuriositi dai principi di funzionamento dei sistemi naturali: vogliamo capire meglio come funzionano, per poterli poi utilizzare in sistemi artificiali che possano interagire in un ambiente reale”.
Sapere tradurre i meccanismi di funzionamento del mondo naturale in indicazioni operative per un robot richiede un approccio multidisciplinare, come quello di Del Dottore, che ha un background in informatica ed è oggi specializzata nell’individuare e implementare strategie di controllo e decisionali per robot bioispirati.
Ma facciamo un passo indietro. E già che ci siamo abbassiamo lo sguardo verso le nostre scarpe: sono magari chiuse con lo strappo? Il velcro è il più classico esempio di soluzione ingegneristica sviluppata osservando la natura. Spiega Del Dottore che il velcro “è stato realizzato guardando dei semi che avevano degli uncini che rimanevano impigliati nel pelo degli animali. Dall’osservazione di questi due materiali, uno a distribuzione casuale (il pelo degli animali) e uno con uncini, è stato sviluppato un materiale nuovo, che ormai usiamo da generazioni”.
Per incontrare la nascita e lo sviluppo della biorobotica, invece, dobbiamo tornare di nuovo avanti qualche anno. “Il simbolo classico di ciò che ha sviluppato”, afferma Del Dottore, “è l’umanoide, il robot dalle sembianze umane, che utilizza braccia e gambe per muoversi in ambienti complessi. Tra i più famosi oggi è iCub, il robot bambino che, tra le altre cose, ha imparato ad andare carponi e ad alzarsi in piedi”.
Le situazioni complesse che un umanoide deve imparare ad affrontare sono, per esempio, scale, discese e salite: per affrontarle “deve essere dotato di capacità cognitive e di manipolazione molto simili a quelle che ha l’uomo”. Di tutt’altra pasta e sviluppo molto recente della biorobotica è il plantoide, robot progettato per apparire, agire e crescere come una pianta, realizzato negli ultimi anni dall’équipe di Barbara Mazzolai.
Del Dottore ne ha una foto proprio come sfondo, nel corso della nostra intervista in videoconferenza, e mi spiega il suo funzionamento. “Il plantoide ha una parte aerea, con foglioline fatte di un materiale responsivo all’umidità che imita strategie di adattamento passivo adottate da alcuni sistemi naturali, come le pigne o i semi di avena. La pigna, per esempio, si apre e si chiude in risposta all’umidità presente nell’aria. Analogamente, queste foglioline si muovono in risposta all’umidità”.
“Nella parte radicale”, continua, “troviamo radici robotiche che imitano le strategie comportamentali delle radici reali: le abbiamo dotate di microprocessori, quindi un piccolo cervello collegato a sensori, di modo che riesca a percepire l’umidità, la gravità, la presenza di ostacoli, la temperatura, la luce”.
Ancora più recente, per il gruppo di ricerca, è l’istituzione del progetto I-Wood, finanziato dall’ERC (European Research Council), con focus sulla salute dell’ecosistema sotterraneo degli esseri vegetali. Del Dottore, all’interno del team multidisciplinare, si occupa “dell’analisi dei comportamenti dei modelli naturali, in particolare delle piante, per estrarre regole di controllo e decisionali per la controparte artificiale”.
“In particolare”, specifica, “mi occuperò di studiare la comunicazione che si stabilisce tra le piante e i funghi. Sappiamo che si stabiliscono delle simbiosi tra questi due organismi: ora ci interessa estrarre le regole di comunicazione, capire come si scambiano informazioni e come interagiscono”.
Conclude: “L’obiettivo è sviluppare tecnologie per intervenire in un clima in continuo cambiamento, un cambiamento che purtroppo non è positivo: parliamo sia di strategie software, cioè di analisi dell’evoluzione delle simbiosi, sia di sistemi hardware o robotici, che possono essere utilizzati magari per incentivare lo stabilimento delle simbiosi o per creare o ripristinare le condizioni ottimali”.
Non c’è scienza, oggi, che possa prescindere dall’involuzione della crisi climatica, una crisi orizzontale e trasversale che può essere affrontata solo con spirito volto a un reale cambiamento. È d’accordo Del Dottore: “siamo in una fase molto critica. Se potessimo scattare una fotografia di questo momento storico, ci accorgeremmo che il sistema ci sta gridando aiuto, ci sta mandando segnali di pericolo”.
La risposta può essere una sola: darsi da fare, rimboccarsi le maniche e cercare una soluzione efficace. Il piano d’azione è chiaro: innanzitutto, “cercare di comprendere quali sono stati i passaggi evolutivi all’interno del mondo naturale, in modo da porter intervenire per ripristinare un sistema che si sta compromettendo. Quindi cercare di limitare danni, per il momento, e poi piano piano fare un reverse della situazione”.
Natura maestra di vita: “Guardiamo alla natura perché è sempre stata lei che ha trovato soluzioni per ricominciare e riportare la vita laddove era stata compromessa, come per esempio in caso di un incendio. La natura è un sofisticato ma funzionale sistema ingegneristico in grado di portare la vita”.
Tutto questo e molto altro ancora domani sera a BergamoScienza, ore 21:00, presso il Teatro Sociale o in diretta streaming.