Il 10 luglio, Samsung ha lanciato il Galaxy Ring. Si tratta del primo anello smart del colosso coreano, nonché di uno dei pionieri del settore degli “smart ring”, inaugurato giusto qualche anno fa da compagnie come Oura e RingConn. Fino al 2023, il mondo degli anelli intelligenti era rimasto un quasi-monopolio di Oura, che comunque deteneva il primato in un settore che fatturava briciole rispetto a quello della telefonia o dei PC. L’ingresso di Samsung nel mercato ha però cambiato le carte in tavola, almeno per un paio di motivi. Il primo è che la compagnia sudcoreana ha un appeal enorme: i suoi prodotti sono sinonimo di qualità e di maturità tecnologica. In altre parole, l’arrivo del Galaxy Ring sul mercato ci dice che gli anelli smart non sono più dei semplici prototipi, ma dei dispositivi che vale la pena acquistare.
In secondo luogo, l’ingresso di Samsung nel mercato degli smart ring sembra aver convinto anche la concorrenza a tuffarcisi a capofitto: Samsung ha presentato il Galaxy Ring a gennaio e lo ha mostrato per la prima volta a febbraio, ma lo ha lanciato ufficialmente solo a luglio. Negli ultimi sei mesi, compagnie del calibro di Xiaomi , OPPO e AmazFit hanno tentato di “bruciare” Suwon sul tempo. Sembra dunque che, dopo gli smartphone, i tablet e gli smartwatch, gli smart ring saranno la prossima rivoluzione dell’hi-tech. Ma sarà davvero così?
Fenomenali poteri cosmici… in un minuscolo spazio vitale
Allo stato attuale, gli smart ring sono molto meno interessanti di quanto si possa credere. Gli anelli intelligenti, infatti, hanno almeno un paio di difetti strutturali che ne pregiudicano le possibilità di adozione da parte del mercato di massa. In primo luogo, uno smart ring deve essere piccolo e leggero per svolgere adeguatamente il suo compito: deve stare al dito senza creare problemi di comfort a chi lo indossa, esattamente come un anello tradizionale. A differenza di quest’ultimo, però, un gioiello smart deve contenere circuiti, sensori e chip.
La promessa di «fenomenali poteri cosmici… in un minuscolo spazio vitale» è difficile da mantenere e spinge a dei compromessi: per esempio, gli smart ring non hanno uno schermo, perciò possono essere utilizzati solo in combinazione con uno smartphone. Qui iniziano i problemi: per esempio, i Galaxy Ring di Samsung non sono compatibili con gli iPhone. Gli anelli delle altre compagnie, invece, utilizzano dei software proprietari che rendono piuttosto complesso registrare correttamente i dati biometrici e incrociarli con quelli misurati da altri dispositivi, come gli smartphone e gli smartwatch. Insomma, al momento è la frammentazione a fare da padrona, segno di un settore che, al netto di quanto Samsung e compagnia vogliano farci credere, è ancora a uno stadio poco più che sperimentale.
Al di là del software, poi, ci sono i problemi hardware. Dell’assenza di uno schermo ne abbiamo già parlato, ma molti smart ring non hanno nemmeno un chip NFC, un microfono o un altoparlante, perciò non è possibile utilizzarli per i pagamenti contactless o per la riproduzione di messaggi vocali e chiamate. Scordatevi inoltre di rispondere ai messaggi su WhatsApp, Instagram e Facebook dal vostro anello, perché - anche se quest’ultimo fosse dotato di un microfono - i chip degli smart ring non sono sufficientemente potenti per funzionalità avanzate come la trascrizione del parlato in un testo scritto. Eppure si tratta di azioni che quasi tutti gli orologi intelligenti eseguono da tempo senza alcun problema.
Ecco, al momento il problema è proprio questo: gli smartwatch sono migliori degli smart ring sotto ogni punto di vista, offrono più funzioni e spesso costano meno. Essi, inoltre, possono sostituire lo smartphone durante le sessioni di allenamento, di corsa e di trekking: possono ricevere e inviare chiamate, monitorare la vostra posizione tramite il GPS, collegarsi alle cuffie via Bluetooth, riprodurre la musica ed effettuare pagamenti digitali, permettendovi di lasciare il telefono a casa o nello spogliatoio mentre siete in palestra. Al contrario, gli smart ring dipendono dallo smartphone per ogni loro funzione. Un difetto probabilmente insuperabile, che potrebbe tradursi in un insuccesso commerciale già nel breve periodo.
Tecnologia e medicina: un problema di dimensioni
Il problema più grosso, però, è un altro, ed è di carattere medico. Un’interessante guida agli smart ring di Android Police ci racconta quali sono i sensori integrati sotto la scocca della maggior parte degli anelli intelligenti. Tra di essi abbiamo accelerometri, giroscopi, sensori EDA, PPG, SPO2 e NTC: in altre parole, un anello smart “medio” può misurare la vostra posizione, i vostri movimenti, la frequenza del battito cardiaco, la saturazione del sangue, la temperatura superficiale del corpo (che è anche un ottimo indicatore per i periodi di ovulazione e per il ciclo mestruale) e, sfruttando la quantità di sudore prodotta dal dito, anche i livelli di stress durante il giorno e il comfort del sonno. Una pletora di funzioni utilissime, questo è vero. Ma si tratta di dati che vengono già misurati dagli smartwatch, che per giunta forniscono risultati più accurati. Di nuovo, anche dal punto di vista della salute fisica gli anelli smart non superano gli orologi intelligenti.
Dei tentativi di usare il Galaxy Ring per migliorare la qualità del monitoraggio biometrico degli utenti sono stati fatti da Samsung, ma si tratta più di esperimenti che di novità tangibili: per attivare la misurazione di precisione dei dati medici, infatti, occorrono sia uno smart ring che uno smartwatch Samsung, che devono essere indossati allo stesso tempo. Una bella spesa per qualsiasi consumatore, che per giunta cozza nettamente con quella che – al momento – è la nicchia di mercato del Galaxy Ring, ovvero l’utenza che desidera tenere sempre sotto controllo la propria salute, ma non vuole indossare nulla al polso (o preferisce gli orologi tradizionali).
Il problema dei sensori è connaturato al mondo degli smart ring e, per giunta, è condiviso con gli smartwatch. Si tratta di nuovo di una questione di dimensioni: gli spazi con cui gli ingegneri si trovano a fare i conti sono minuscoli, perciò lo sviluppo di nuovi sensori procede a rilento, tanto che l’intero mercato degli indossabili è da anni in una fase di profonda stagnazione. L’emblema di queste difficoltà è Apple, che sta sviluppando un sensore non-invasivo per la glicemia ormai da una decade e che potrebbe impiegare fino al 2030 per produrne uno in grado di rispettare gli standard medici adatti a chi soffre di diabete. Anche i termometri integrati negli smartwatch sono poco accurati, mentre non è ancora chiaro se quelli degli smart ring miglioreranno le cose. A fine febbraio, la Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha rilasciato un durissimo comunicato stampa in cui chiedeva a tutti i malati di diabete di non fidarsi degli smartwatch che promettono di misurare la glicemia, poiché essi producono dei dati così inaffidabili da non poter essere utilizzati per organizzare le somministrazioni di insulina.
Analogamente, si è molto parlato di sensori capaci di misurare la pressione sanguigna (e dunque di scoprire eventuali malattie cardiache) o dell’impiego di micro-estensimetri per il monitoraggio di alcuni esercizi particolari (il sollevamento pesi, per esempio), ma nulla di concreto sembra essere all’orizzonte: il mondo della sensoristica medico-tecnologica è dormiente da anni, e non saranno certo gli smart ring a risvegliarlo.
Il benessere non è solo fisico
Ma allora a cosa servono gli smart ring? Dal punto di vista della medicina “dura”, quasi a nulla. In apertura, però, abbiamo accennato a come le grandi compagnie stiano puntando su un approccio olistico alla salute individuale, che passa non solo per i dati biometrici, ma anche per il monitoraggio del benessere psicologico e mentale, dello stress, della qualità del sonno e delle attività svolte quotidianamente. Si tratta di una tendenza che si sta sviluppando ormai da qualche anno e di cui aziende come Apple si sono fatte promotrici.
Per esempio, la Mela Morsicata ha lanciato un’app di journaling a dicembre: il software è poco più di un diario interattivo in cui scrivere brevi pensieri sulle proprie giornate e “appiccicare” sticker, fotografie e video, ma la funzione più interessante è quella che vi permette di dire allo smartphone come è cambiato il vostro umore nel corso della giornata. Parallelamente, sempre Apple ha lanciato un’app di Mindfulness per smartwatch: anch’essa tiene un log delle vostre emozioni e, addirittura, confronta i vostri stati d’animo con l’andamento della frequenza cardiaca e dei livelli di stress misurati dai sensori biometrici per consigliarvi di tanto in tanto di prendervi una pausa.
Per funzioni come questa, gli smart ring sono semplicemente perfetti. Esse non necessitano di una misurazione troppo precisa dei dati, ma richiedono costanza nel monitoraggio. Costanza che prodotti come il Galaxy Ring garantiscono senza problemi: le loro dimensioni ridotte, la mancanza di uno schermo e dei chip poco energivori, infatti, permettono a questi dispositivi di durare fino a una settimana senza dover essere ricaricati. La longevità delle batterie degli smart ring è elevatissima, specie se confrontata con quella dei più moderni smartwatch Android: le ultime versioni di wearOS, infatti, hanno drasticamente ridotto la durata degli orologi intelligenti, specie di quelli di fascia alta. Un compromesso necessario per sbloccare delle funzioni che li rendono dei veri e propri smartphone in miniatura.
Così, mentre lo smartwatch deve essere ricaricato ogni 24 o 48 ore, magari di notte, lo smart ring può restare al dito molto più a lungo senza timore che si scarichi. Grazie a questo cambiamento di paradigma, le grandi compagnie della tecnologia vi garantiscono una misurazione più capillare di parametri come lo stress e la qualità del sonno, ricevendo una valanga di dati che poi possono essere incrociati per fornire dei consigli pratici su come migliorare le vostre abitudini di vita per stare meglio. Ma basterà per convincere le persone comuni all’acquisto di un costoso anello hi-tech?