ABergamo esiste un luogo, un laboratorio, in cui chiunque abbia un progetto o un’idea trova a disposizione la tecnologia per provare a realizzarla e l’assistenza per capire come ottimizzarla. Si tratta di Fab Lab, una sorta di casa dell’artigianato digitale, creata nell’ottobre 2013 da un gruppo di dieci ragazzi che avevano voglia di progettare qualcosa insieme.
Il primo e unico Fab Lab bergamasco si trova oggi in via Mauro Gavazzeni 3. È un’associazione che realizza corsi di utilizzo di macchinari e tecnologia a vari livelli di complessità, soddisfa piccole commesse, ma soprattutto ha degli orari di apertura per lo più serali. Una caratteristica che permette a tutti gli inventori in erba della provincia di bussare alla porta dopo il lavoro e condividere un problema in cerca di soluzione.
All’interno di Fab Lab ci sono, per statuto, una stampante 3D, una macchina per il taglio laser, una fresa CNC, una macchina per il taglio vinilico e un software di prototipazione elettronica Arduino.
L’idea di creare una specie di spazio open source reale nasce oltreoceano, dalla volontà del professor Neil Gershenfeld del MIT di Boston, che decise di dare vita a una serie di officine aperte alla collettività in grado di produrre soluzioni tecnologiche e metterle in rete.
Sua è anche la Fab Charter, una sorta di magna charta che riporta in sette domande e altrettante risposte cosa è un Fab Lab, cosa contiene, chi può usarlo, che tipo di servizio fornisce la rete in cui è inserito, quali sono le sue responsabilità, a chi appartengono le invenzioni sviluppate e come le aziende possono usufruire degli spazi del lab (da qui deriva lo statuto-manifesto del lab cittadino).
Questo foglio racconta un mondo fatto da tantissime officine artigianali ad alto tasso tecnologico e sociale nate negli ultimi anni. Ciascuna di esse ha accettato di darsi una comune linea guida. Contribuendo così a dare una mano allo sviluppo e alla creazione e aiutando artigiani più o meno consapevoli del proprio potenziale a creare i prototipi delle loro idee.
“In pratica facciamo quello che potrebbe fare una modelleria, davanti a un progetto: aiutiamo il suo ideatore a creare un prototipo con un taglio o con una stampante 3D” spiega Mattia Agazzi, uno dei ragazzi che sei anni fa ha fondato lo spazio. “Il Fab Lab offre uno spazio ai cittadini per interfacciarsi con tecnologie che sarebbero troppo costose e difficili da avere a casa. Abbiamo orari di apertura al pubblico durante i quali chiunque può venire e trovare qualcuno di noi pronto ad aiutarlo sia con i software di progettazione, sia con le stampanti e gli altri macchinari a disposizione”.
Quel qualcuno nello specifico è formato da Mattia Agazzi, Giuseppe Alberghina, Luca Sarga, Valerio Nappi, Matteo Bonasio, Vittorio Paris, Emiliano Vavassori, Fabio Fusili, Emiliano Vavassori, Amina Iljjazi e Dario Scarsi. Un gruppo di ingegneri, architetti, tecnici, pensatori – compresi in una fascia d’età che spazia fra i 20 e i 40 anni – che hanno sposato l’idea di questo laboratorio “aperto” e continuano a portarla avanti. Anche se non è facile.
“Le ore spese dentro al Fab Lab sono ore volontarie e anche per questo è difficile trovare chi abbia voglia di mettersi a disposizione per gli altri” spiega Mattia. Con lui facciamo subito un passo indietro e proviamo a tornare a quell’ottobre 2013 in cui tutto ha avuto inizio: “Sei anni fa eravamo un gruppo di dieci persone, ingegneri quasi tutti prossimi alla laurea e un architetto, che avevano voglia di mettersi insieme a fare qualcosa e, ad una fiera, abbiamo visto i ragazzi di Frankenstein Garage, uno dei primi Fab Lab di Milano”.
Dall’altra parte del tavolo, emergendo dallo schermo del suo pc, Valerio Nappi uno dei più giovani protagonisti del laboratorio bergamasco, si tuffa nel sito di Fab Lab per verificare quanti siano, oggi, gli spazi gestiti in questo modo in Italia e nel mondo e spiega: “Nel 2013 erano pochissimi, non come ora. C’erano esperienze di questo tipo a Milano, ma a Brescia per esempio non esisteva ancora. C’era quello di Firenze e il primo storico spazio di Torino”.
I dieci componenti iniziali iniziano il loro percorso autotassandosi con cento euro a testa e trovando uno spazio per poter lavorare come torna a raccontare Mattia: “Ci siamo fatti prestare due stampanti 3D da due aziende emergenti, alcuni docenti ci hanno poi ‘passato’ le loro competenze per imparare come si stampa. Per caso in quei mesi riuscimmo a organizzare anche un corso in collaborazione con Bergamoscienza sulla stampa 3D. È stata un’occasione di visibilità importante”.
A quel punto la fortuna si mette in moto e inizia un percorso che porta il neonato Fab Lab a diventare ciò che è oggi. “In poco tempo stavamo imparando a usare la tecnologia, ma non avevamo più uno spazio dove stare, perciò elemosinammo un altro luogo dove poterci spostare e organizzare il nostro primo corso, sull’uso del software Arduino. Nel frattempo a dicembre, senza che noi sapessimo nulla, il Patronato San Vincenzo mandò un comunicato diffondendo la volontà di aprire un Fab Lab. Quello stesso giorno li incontrammo, perché qualcuno li aveva avvisati della nostra esistenza”.
La narrazione vorrebbe immaginarsi l’incontro come fosse la scena di uno di quei film hollywoodiani in cui il gruppo di giovani geniali incontra l’investitore che crede nel progetto ed è pronto a scommetterci. Magari con un po’ meno enfasi, ma è ciò che di fatto avvenne. Nell’aprile del 2014 il primo Fab Lab bergamasco trovò sede nelle sale del Patronato San Vincenzo e comprò la sua prima stampante 3D.
Da allora l’officina tecnologica ha lavorato con questa formula di assistenza per tantissimi progetti diversi. “Per esempio abbiamo realizzato delle copie di alcuni copricardine in ottone per una scala di New York, permettendo di creare lo stampo in plastica per ricostruirli – spiega Mattia, mentre gira per l’officina tenendo fra le mani pezzi unici, componenti creati ad hoc per risolvere un problema squisitamente tecnico su un prodotto o un materiale – In realtà con le stampanti 3D ormai puoi fare tantissime cose stampando con materiali plastici, metalli o ceramica. Si usano in vari settori, principalmente per creare prototipi di qualsiasi tipo. Qualcuno le usa anche per la produzione, ma sono casi più rari”.
Al laboratorio del Patronato si fanno anche corsi e si eseguono veri e propri lavori su commissione, un aspetto gestito indirettamente dall’associazione – ma in ogni caso non è ciò di cui vivono i ragazzi del Fab Lab.
“Questo resta una sorta di secondo lavoro per tutti noi – commenta Mattia, che a sei anni esatti dall’avvio di quella prima incredibile avventura prova a tracciare con i suoi amici/colleghi una sorta di possibile futuro dell’officina – Ci piacerebbe formare un cambio generazionale. L’utilizzo che la gente fa di un posto come questo è strettamente legato al bisogno. Ma al laboratorio serve gente che abbia voglia di impegnarsi e farlo crescere anche tecnologicamente”.
Valerio lascia definitamente lo schermo del pc e aggiunge: “Io qua ho trovato spazi e risorse per imparare bene a fare quello che adesso faccio. È una realtà estremamente dinamica che ti permette di iniziare a fare le cose nel concreto e soprattutto ti permette di sperimentare tantissimo”. Se ci sono aspiranti tecnologi più o meno nerd all’ascolto, forse Fab Lab è quello che fa per loro.