Charlie è un nome di fantasia, ispirato a Charlie Brooker, il produttore di “Black Mirror”, la serie tv che racconta l’alienazione e i paradossi delle nuove tecnologie e del mondo digitale. Lo abbiamo scelto dopo aver parlato con un vero crowd worker – di cui non riveleremo il nome, per tutelare la sua professione – ed esserci fatti raccontare da lui cosa significa lavorare on line per una compagnia specializzata nel testare i servizi Google.
“Di fatto si tratta di un lavoro part time, pagato neppure troppo male, circa nove euro lordi l’ora” spiega Charlie, 48 anni, crowd worker dal 2014, appartenente cioè a quelle categorie di lavoratori pescati a caso dal mondo degli internauti, per testare o verificare alcune funzioni della rete stessa, dalle attività di Google come YouTube ad algoritmi vari.
“Sono quasi sei anni che faccio questo lavoro anche se all’inizio avevo capito che sarebbe durato solo un anno. Poi di fatto nessuno mi ha più detto niente, io continuavo ad accedere alla piattaforma e il mio planning continuava ad essere aggiornato, per cui ho continuato”.
Capire quale sia il lavoro di Charlie non è semplicissimo e, anche lui, trova qualche difficoltà a riassumerlo in poche parole: “Quando inizio mi collego a una piattaforma che mi fornisce delle query da verificare, ovvero delle stringhe di ricerca Google e io devo giudicare se il contenuto video visualizzato è più o meno pertinente alla ricerca”.
La società per cui lavora Charlie ha sede in Irlanda, anche se lui presume sia americana: “Non ne sono certo, lo intuisco dai manuali di istruzione che mi hanno mandato e dagli aggiornamenti che arrivano”. Di fatto lui non ha contatti diretti con i suoi responsabili e non conosce i suoi colleghi. Non sa nemmeno quanti ne ha e che tipo di attività svolgono, anche se il loro lavoro è in qualche modo collegato. “Tutta la corrispondenza è via mail e in inglese. Ho a che fare con un’unica responsabile che comunica solo variazioni di linee guida, test da effettuare e scrive per lo più mail di gruppo in cui tutti sono in copia conoscenza nascosta. Per il resto sulla piattaforma a cui mi connetto trovo il planning con gli obiettivi del mese e lo stipendio preventivato”.
Charlie lavora circa quattro ore al giorno per venti ore settimanali. Il suo compito consiste nel verificare soprattutto i video online. Vede la ricerca effettuata e il primo video corrispondente: se le due cose coincidono dà un giudizio di pertinenza alto, se il video non corrisponde alla ricerca effettuata il giudizio è basso. La scala di valori gli è stata fornita dalla società a inizio collaborazione, ed è contenuta nel manuale di novanta pagine in inglese da studiare prima di iniziare l’attività.
“So di lavorare per il mercato italiano, ma la stringa di ricerca può essere anche in inglese o in arabo o in un’altra lingua, spesso sono piene di errori grammaticali, altre volte sono frammentate o poco comprensibili”. Charlie deve giudicare almeno settanta stringhe in un’ora e questo rende il suo lavoro tutt’altro che stimolante, come racconta lui stesso: “Quando provo a spiegare quello che faccio alla gente alcuni pensano ‘Che figo lavorare per internet’ oppure ‘Chissà quanti video belli vedi, sarai sempre aggiornato’, ma non è così. Ho meno di un minuto di tempo per capire la ricerca e vedere se il video correlato è pertinente, quindi di fatto non vedo nessun video per più di dieci secondi”.
Anche il sistema di controllo del suo lavoro non è così ovvio. Charlie infatti è in qualche modo correlato al lavoro dei colleghi che non conosce: “Il mio giudizio non deve discostarsi troppo da quello degli altri, altrimenti mi sospendono. La sospensione non avviene sul controllo del tuo operato, fanno una media rispetto alle risposte che hanno, per cui il tuo giudizio può essere anche il più corretto, ma se si discosta troppo da quella degli altri è comunque giudicato errato. A quel punto partono i test. Di test in particolare te ne fanno fare in continuazione, sia all’inizio che durante la collaborazione. Ho passato giornate intere facendo test”.
La tipologia di ricerche video che Charlie deve visionare è molto ampia: “Il 60% delle volte finisco su Youtube o su siti di televisioni e streaming di vario tipo. Ci sono video musicali, ma anche tutorial di giochi o pezzi di trasmissioni, ma altre volte ci sono cose veramente brutte da guardare, ricerche strane come ‘schiacciare gli insetti con i piedi’ o altre cose trash e, a inizio collaborazione, ho dovuto dare la disponibilità a verificare anche query che possono portare a materiale pornografico o addirittura pedo-pornografico. Fortunatamente non mi è mai capitato, ma so che in quest’ultimo caso dovrei far partire immediatamente la segnalazione del video”.
Durante la settimana lavorativa Charlie non ha di fatto nessun contatto con colleghi e responsabili, non conosce la destinazione del suo operato ed è consapevole che così come è iniziata la collaborazione potrebbe finire da un momento all’altro. Come è facile intuire, questo non è il lavoro che aveva sempre sognato. Charlie è rimasto vittima del fallimento dell’azienda per cui lavorava, intanto ha una seconda attività che cerca di sviluppare e lo gratifica. Questo impiego online, trovato casualmente rispondendo a un annuncio su internet, gli è semplicemente capitato tra le mani: “Sinceramente non mi sento utile, non so dire cosa ne venga fatto realmente dell’attività che svolgo e ho anche avuto dei periodi di paranoia in cui coprivo la fotocamera sul computer quando mi connettevo alla piattaforma, però ci sono dei lati positivi. Per essere un lavoro part-time permette un guadagno dignitoso, posso gestirmi le ore in libertà con i miei impegni e posso lavorare comodamente da casa”.
Dunque indipendenza garantita dalla situazione, cioè l’essere un numero fra tanti, un cervello pensante estratto tra milioni di internauti adatto a verificare l’operato del cervello artificiale della rete. Il crowd worker si autogestisce, ma di fatto non ha ferie, né festivi e deve comunicare le eventuali assenze prolungate, gli unici momenti in cui può realmente disconnettersi.
Certamente non è un lavoro per tutti, rimane però un’opportunità per chi deve pagarsi gli studi, è in cerca di un’altra occupazione o deve integrare il proprio stipendio simile a molte altre occasioni offerte dalla cosiddetta gig economy. Non solo, spulciando le classifiche europee sul tema si scopre che un Paese primeggia per numero di crowd worker a tempo pieno e part-time: l’Italia.