I l mio approdo nel mondo delle piattaforme è avvenuto nell’ormai lontano 2009. Facebook era ancora un social network per giovani, che nelle “bacheche” trovavano un prepotente baluardo di indipendenza dai genitori . Finalmente si poteva comunicare anche a distanza e in modo sincronico coi propri amici e compagni di scuola. Un traguardo, che da ragazzina proveniente da un piccolo paesino di provincia, sovrastava segretamente tutte le motivazioni “didattiche” che adducevo ai miei genitori per giustificare, dopo l’acquisto del PC, l’ingresso di una nuova scatola magica nell’ecosistema domestico: il modem.
In realtà, facendo un salto nel passato e non con poco imbarazzo, all’anno della mia svolta social, ho potuto constatare che l’interrogativo più ricorrente e virulento che animava le conversazioni era: “ raga, ma perché non funziona l’adsl?!? ”. Tredici anni dopo, gli over 50 hanno colonizzato Facebook , i giovani si rifugiano su Instagram e Tik Tok e il tuo prozio che ha come immagine di profilo la foto del suo gatto ti scrive sul diario “grazie per l’amicizia”.
Quelli appena esposti potrebbero essere definiti episodi di vita quotidiana. Ma c’è chi potrebbe storcere il naso. Passiamo ore sui social, a interagire, commentare, condividere . Ma quella che scorre su Facebook o su Instagram può definirsi vita? E qual è il confine (ammesso che ce ne sia uno) tra il nostro modo di essere in rete e i comportamenti che esprimiamo online?
Esperienze dematerializzate
Quando pensiamo alla parola “virtuale”, si materializzano (paradossalmente) nella nostra testa immagini di corpi digitali e realtà 3d, simulate da un computer o da altre tecnologie che, più in generale, fungono da intermediari e che riproducono, più o meno fedelmente, la realtà che sta al di fuori. La virtualità, però, in un’altra accezione, può anche essere intesa come potenzialità . In questo senso i social network e la rete in generale rivelano la possibilità dei corpi di divenire altro da sé . Di viversi come eventi sganciati dalla loro realtà materiale e quotidiana all’interno di uno spazio inedito: la comunicazione .
Prima ancora dei social network sono stati i mass-media a farci prendere dimestichezza con quest’idea di “sdoppiamento della realtà” e prima ancora della diffusione capillare dei mezzi di comunicazione di massa, la rete del telegrafo è stata alla base della diffusione mondiale di un’informazione sganciata dai confini fisici e spaziali.
Ma la costruzione dei profili , di un’immagine di sé che sia accattivante e in un certo qual modo desiderabile, così come la dimensione sociale richiamata a livello terminologico (l’espressione “social network è un esempio”) portano alla ribalta i retroscena di una soggettività che si sperimenta e si smembra comunitariamente negli ambienti online . Quello che emerge in questi contesti è che l’unica possibilità per l’individuo di affermare sé stesso è quella di lasciare tracce , creando dei significati.
A pensarci bene è un po’ quello che facciamo sui nostri profili: lasciamo tracce della nostra quotidianità, di pensieri effimeri che rispondono a richiami incentivati dalle stesse piattaforme: “ A cosa stai pensando? ”.
I social danno vita ad un’astrazione che si declina su due fronti: quello della soggettività e quello della società. Quest’ultima grazie alle intelligenze artificiali trasla le sue regole nel digitale dando vita a esperienze interattive nelle quali il modo in cui si relaziona conta addirittura di più di quello che si dice. E la comunicazione si configura come uno spazio inedito nel quale stare insieme.
Si tratta, inoltre, di oltrepassare la definizione tradizionale di “luogo” come spazio fisico che delimita e definisce i comportamenti che si reputano adeguati in base ad una specifica situazione. Del resto, le definizioni che diamo dei contesti, dipendono da significati, norme, fattori temporali che poco hanno a che fare con le variabili strettamente naturali o per meglio dire, fisiche . Sono queste norme e i significati che attribuiamo a determinare conseguentemente le aspettative che definiscono l’appropriatezza delle azioni rispetto a dei contesti. E il fatto di assumere il contesto come un ambiente delimitato spazialmente dipende a sua volta dalla maggiore rilevanza attribuita alle relazioni faccia a faccia.
Andando però a sviscerare più approfonditamente la nozione stessa di “luogo” ci si può rendere conto di come non sia altro che una sottocategoria appartenente al più ampio concetto di “campo percettivo” , ovvero un insieme dei comportamenti che può essere colto e valutato dagli altri. Ne consegue che le interazioni da questa prospettiva non hanno a che fare unicamente con le caratteristiche dell’ambiente fisico ma dipendono dalle informazioni di cui disponiamo , sia sulle nostre azioni che su quelle altrui.
È così che ci leghiamo affettivamente alle connessioni online. Per la loro capacità di saper proiettare quelle alternative di possibilità di noi stessi e dei nostri rapporti con l’altro , che senza il digitale sarebbero precluse. In conclusione, attualità e virtualità si fondono ad un livello ulteriore: quello simbolico. Il risultato di questa contingenza definitoria, schiacciata sul presente è che il sé si sviluppa come capacità di selezione delle alternative , fino a che il fascino dell’immediatezza non comporta una progressiva affermazione di una logica immersiva.
La prospettiva dell’ onlife
Il filosofo Luciano Floridi parla a tal proposito di una realtà che crea identità sempre più informazionali , in cui divenendo le interfacce sempre meno visibili, si assottiglia, fino a venir meno, il confine tra il “qui” analogico e il “lì” digitale . L’ambiente che ne deriva è secondo lui una “realtà delle cose aumentata dal web”, più precisamente, per descrivere questo nuovo ambiente egli utilizza l’espressione onlife .
Non ci si riferisce più solamente alla rete Internet ma anche alla diffusione degli smartphone e dei dispositivi che interagiscono autonomamente con i luoghi. Questi generano dei veri e propri cyberspazi che promuovono nuovi tipi di relazione che si sganciano dalle agenzie di socializzazione tradizionali (il ceto, la famiglia) e dipendono sempre più dalle possibilità di accesso alle informazioni .
“L’immagine del viso degli adolescenti illuminato dallo schermo del computer richiama immagini di un’altra epoca in cui erano adescati dalla piacevole e fioca luce della tv. I genitori delle precedenti si preoccupavano delle ore che i ragazzi trascorrevano al telefono. Gli adolescenti di oggi invece che passare ore al telefono di casa chiacchierano comunque sui social. Lo svago e la socialità sono i motivi principali per cui gli adolescenti investono così tanta energia nelle attività online. Il tempo sembra passare in un attimo quando ci si trova negli ambienti online” (Dyana Boyd).