«Sei la mia nostalgia / di saperti inaccessibile / nel momento stesso / in cui ti afferro» si conclude così una delle mie poesie preferite dello scrittore e drammaturgo turco Nazim Hikmet. Cosa c’entra col metaverso? Apparentemente nulla. Se non fosse che la fluidità quale caratteristica predominante della società moderna, è ormai cosa nota. Più precisamente la celebre metafora della liquidità, attorno alla quale si condensa tutta la filosofia di Zygmunt Bauman, ci restituisce la parvenza di un mondo annacquato nel quale tutto è così vertiginosamente a portata di mano ma resta al tempo stesso irraggiungibile, inafferrabile, evanescente.
C’è una proprietà in particolare che fin dalla diffusione di massa di internet come bene di consumo mi ha visto essere tra gli internauti insaziabili e instancabili: la sua immersività . Passavo pomeriggi interi sulle pagine di Google Earth a catapultarmi con l’omino arancione in posti che al tempo stesso mi erano sconosciuti e familiari: mi spostavo dalla Romania, alla cittadina in provincia di Milano da cui proveniva una mia amica che trascorreva le estati in Calabria. Esploravo anche le mie zone, utilizzando il cursore con una velocità che nemmeno in macchina riuscivo a raggiungere. Volevo vedere, curiosare, scoprire anche i posti che conoscevo, perché mi interessava osservare con lo sguardo di un utente che si approccia a quei luoghi per la prima volta.
Fluttuavo, come quell’omino arancione da un posto all’altro. Oggi la tecnologia ci permette, indossando dei visori, di fare uno scacco ulteriore: di farci diventare quell’omino, nella misura in cui ci restituisce a tutti gli effetti il suo sguardo.
Signori e signore, benvenuti nel Metaverso.
L’origine del nuovo mondo
Contrariamente a ciò che si potrebbe immaginare, la storia del metaverso (di cui ha parlato anche Astrid Serughetti qui) si interseca con la nascita e lo sviluppo del Wold Wide Web. È ancora più interessante notare che l’espressione «realtà virtuale» comparve per volta già nel 1932 all’interno del saggio di Antonin Artaud intitolato «Il teatro della crudeltà», mentre il termine metaverso (acronimo che nasce dall’unione delle parole «meta» e «universo») è un neologismo che fu coniato nel romanzo di fantascienza «Snow Crash» di Neal Stephenson, 1992.
In Snow Crash, Stephenson immagina il metaverso come un mondo basato sulla realtà virtuale che sostituirebbe Internet. Nel romanzo, l’autore lo descrive come un regno online dove le persone usano i loro avatar digitali per muoversi nello spazio virtuale. Paradossalmente, in questo scenario, le persone entrano nel metaverso per sfuggire al mondo reale dominato da forze autarchiche che proteggono l’elite del potere da un collasso economico mondiale.Con l’ascesa e la diffusione delle tecnologie centralizzate sono aumentati notevolmente l’interesse e l’attrazione nei confronti del metaverso, cartina tornasole della tendenza delle tecnologie stesse a estendere lo spazio in cui è possibile vivere, spostarsi e perfino sognare. In particolare, negli anni duemila il boom dei giochi multiplayer sono stati un ottimo trampolino di lancio che hanno permesso agli sviluppatori di testare il concetto di Metaverso.
La piattaforma multimediale lanciata da Linden Lab nel 2003, «Second life», è considerata la prima applicazione di questo concetto. Essa si differenzia dai videogiochi tradizionali, perché i giocatori non devono completare una storia con degli obiettivi prestabiliti o risolvere il conflitto appositamente creato dagli ideatori del game. Ma i partecipanti (definiti «residenti») creano il proprio avatar digitale, interagiscono con gli altri avatar, esplorano il mondo e partecipano a diverse attività (arredano la propria casa, fanno sport, ecc.). Tutte cose che sappiamo e magari chi ha una certa età ha sperimentato.
Come risultato – e grazie al fatto che il mondo virtuale aveva un milione di utenti attivi in «Second Life» – i residenti hanno creato un sacco di contenuti in-game, dando vita ad una vera e propria economia del gioco, alimentata dal Linden.dollaro (L$), la moneta virtuale di «Second Life». Negli anni successivi al debutto di «Second Life», sono usciti diversi giochi che presentavano i loro mondi virtuali o che hanno segnato notevolmente lo sviluppo dei metaversi. Ma quindi nel prossimo futuro diventeremo tutti giocatori?
Navigare nel metaverso
La definizione di Metaverso corrisponde ad uno spazio aperto, virtuale e collettivo, creato dalla convergenza della realtà fisica e digitale potenziata virtualmente. Una specie di onlife – la definizione del filoso Luciano Floridi coniata per sintetizzare l’osmosi fra reale e virtuale canonico (social network e compagnia) – ma al cubo (come le tre dimensioni della realtà virtuale). Esso si caratterizza per essere fisicamente persistente e attrattivo, e per il fatto che al suo interno si vivono esperienze immersive migliorate. In base a queste premesse quella che si prospetta, è la possibilità per gli utenti di incontrarsi e scontrarsi online in una forma che potremmo definire 3D incorporata, anche se per ora le tecnologie sono ancora un po’ lontane dall’essere in grado di soddisfare questi nuovi approcci.
Il metaverso promette di trasformare non solo il modo in cui navighiamo in internet, ma anche il modo in cui interagiamo tra di noi negli spazi online. Man mano che sarà sempre più possibile fare più esperienze di realtà virtuale 3D, l’idea di «navigare» in Internet diventerà quasi letterale. Saremo avatar che si spostano da un angolo all’altro del cyberspazio. Allo stesso modo, gli utenti saranno in grado di vedere gli avatar degli altri che si riuniscono in destinazioni virtuali con alte concentrazioni di traffico. In che modo questo semplice fatto cambierà il gioco per chiunque gestisca reti di assistenti nel metaverso?
Mark Zuckerberg, creatore dell’universo di Meta (per ora più una trovata mediatica che altro), ha dichiarato in un’intervista che «si può pensare al metaverso come a un internet incorporato, dove invece di guardare semplicemente i contenuti, ci sei dentro. In questo ambiente, il pubblico degli eventi virtuali non ha più un volto ma ognuno è rappresentato in una forma 3D che gli permette di diventare parte della folla virtuale».
È vero che i partecipanti agli eventi virtuali in 2D sono consapevoli del fatto che le loro azioni possono essere «osservate» attraverso l’analisi delle sessioni di navigazione, ma il metaverso renderà questa visibilità molto più letterale e, per certi versi, invasiva.
I colossi di internet stanno spendendo milioni di dollari per convincere i consumatori che l’alba del metaverso è arrivata. Ma bisogna comprendere se quella che si aprirà sarà un’era di adozione di massa e di interazione digitale senza barriere o sarà un prodotto di nicchia che non farà altro che rendere più abissale il digital divide .
Uno, nessuno, centomila, universi
La parola «Metaverso» è tornata in voga nel dibattito pubblico, dopo che Facebook ha cambiato il suo nome in Meta, anche se le conseguenze di questa evoluzione non sono ancora del tutto chiare.
In effetti, per molti anni si è discusso parecchio su come Internet e la tecnologia sarebbero progrediti e per descrivere le principali fasi evolutive della rete si utilizzano espressioni quali Web 1.0, Web 2.0, Web 3.0, ecc.
Ma dimenticate per un attimo le definizioni e immaginate di poter disegnare il vostro alter-ego ideale in un ambiente virtuale dove avete il controllo totale su tutti gli elementi in gioco.
Un tale scenario è stato rappresentato in diversi film di fantascienza e spettacoli televisivi ma potrebbe presto diventare realtà. Quali saranno le conseguenze reali derivanti dalle interazioni di avatar fittizi e come evitare che si creino in massa? Il metaverso è una rete permanente di mondi virtuali interconnessi che, almeno in potenza, permetterà agli individui di lavorare, socializzare, transare, giocare in 3D in tempo reale. Esso è immersivo nella misura in cui catapulta in maniera totale l’utente nell’ambiente virtuale perennemente accessibile, attraverso la virtualizzazione e l’uso di tecnologie complesse (AR, VR, sensori aptici, ecc.).
Gli studiosi di queste piattaforme ipotizzano che la versione futuristica ideale del metaverso sarà una singola piattaforma in cui le persone, le loro identità e i servizi dalla piattaforma (gratuiti o a pagamento) verranno integrati. Il metaverso rappresenterebbe in quest’ottica la porta di accesso ad un’infinità di altri mondi. Ecco perché diventano fondamentali, in questo senso, i criteri di definizione dell’identità digitale, di una proprietà in rete e la trasferibilità dei beni che permettano di realizzare un’economia pienamente funzionale in un ambiente virtuale. Il metaverso potrebbe quindi sostituire (e in parte lo ha già fatto) il turismo fisico, i concerti, le mostre e il modo in cui le persone si incontrano, si relazionano, fanno amicizia, stanno insieme.
Ciò che sembra certo è che il risultato finale sarà un’opportunità molto più coinvolgente per il networking online tra avatar , e nasceranno tutta una nuova serie di sfide nella gestione di questa performante interattività. Ma come faranno i partecipanti a prendersi delle pause dal metaverso? I loro avatar semplicemente scompariranno o si irrigidiranno? I partecipanti saranno in grado di gestire i meccanismi di visibilità all’interno del metaverso? Queste e molte altre domande devono ancora trovare risposta. Il punto è che il futuro non aspetta nessuno e il rischio è che questo mondo immersivo ci sommerga tutti o ci tagli fuori. Scegliete voi se provate a immergervi o restarne esclusi. Sempre che ne avrete il diritto e la possibilità.