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Vanessa Ricci, la nuova carriera nel wheelchair e quell’esordio agli Internazionali d’Italia

Articolo. Il suo primo amore è stato l’equitazione, dopo un brutto incidente è arrivato il «tennis in carrozzina». Vanessa Ricci, oggi portacolori della Special Bergamo Sport, condivide l’emozione di aver partecipato agli Internazionali BNL d’Italia

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Vanessa Ricci

Vanessa Ricci è abbastanza scaramantica. Quando si parla di sogni preferisce glissare e guardare al concreto, senza rischiare di cadere in illusioni che potrebbero non concretizzarsi mai. La 33enne lecchese, oggi residente a Paladina, ha in realtà già realizzato uno dei desideri ben celati nel suo cuore: quello di scendere in campo agli Internazionali d’Italia di tennis. Sugli stessi campi solcati da fuoriclasse come il serbo Novak Djokovic, il tedesco Aleksander Zverev oppure il russo Andrej Rublev, la portacolori della Special Bergamo Sport ha tenuto alti i colori dell’Italia partecipando al torneo femminile di wheelchair, noto più comunemente come tennis in carrozzina.

Inserita nel tabellone principale grazie a una wild card, lo scorso maggio l’azzurra ha affrontato l’olandese Jiske Griffioen, 39 anni, numero 3 al mondo (ed ex numero 1), una vera e propria leggenda con ben due vittorie all’Australian Open, una al Roland Garros e una a Wimbledon in singolare, a cui vanno aggiunti i numerosi successi in doppio e le due medaglie d’oro alle Paralimpiadi Estive di Rio de Janeiro 2016.

Poco importa se per Vanessa sia arrivata una sconfitta per 6-0 6-0. Essere semplicemente in campo, con la campionessa orange, ha significato per lei vivere al Foro Italico quell’incanto che soltanto lo sport sa offrire: «È stata un’esperienza unica, che mi auguro possa essere né la prima né l’ultima. È arrivato tutto un po’ all’improvviso, motivo per cui si è trattato di una piacevole sorpresa che non sono riuscita a godermi appieno. Era la prima volta che giocavo in un torneo così importante, ma anche se ho perso con un risultato molto severo, mi sono divertita parecchio – racconta Ricci – Jiske l’avevo vista soltanto in video, motivo per cui giocarci contro è stato ancor più emozionante. Mi piacerebbe un giorno giocare come lei, o per lo meno avere la sua idea di gioco e i suoi movimenti. Senza scomodarla, basterebbe anche essere come una delle migliori 30/40 al mondo, perché Jiske non è l’unica che seguo».

Guardandosi indietro, Vanessa si rende conto che forse la terra rossa del Foro Italico non era esattamente il terreno che le sarebbe piaciuto un giorno solcare. Meglio la sabbia di Piazza del Campo a Siena, dove da quasi un secolo si sfidano i cavalieri di tutto il mondo in uno dei concorsi ippici più ambiti del globo. Dopotutto, il primo amore dell’atleta lariana è stato l’equitazione, uno sport che stima ancora profondamente, ma che al tempo stesso le ha cambiato la vita.

«Ho iniziato a cavalcare a nove anni dopo aver provato il nuoto e la pallavolo, spinta dai miei genitori a fare sempre sport. Nel 2009, all’età di 18 anni, ho subito un brutto incidente cadendo da cavallo, che mi ha lasciato paralizzata nella parte inferiore del mio corpo. Dopo aver affrontato il tradizionale percorso di fisioterapia, alla Clinica “Casa degli Angeli” di Mozzo dove ero ricoverata ho iniziato ad affrontare la cosiddetta “terapia occupazionale”, nella quale venivano proposte varie discipline, dal basket alla scherma passando per il ping pong e il tennis – ricorda Ricci – Quei due giorni a settimana in cui c’era il tennis mi sentivo particolarmente bene, motivo per cui mi sono indirizzata su quel settore, anche perché il basket mi sembrava un gioco più “maschile”, complice la presenza del contatto. Una volta dimessa, ho iniziato a frequentare i campi dell’SBS al Parco Montecchio di Alzano Lombardo e, dopo essermi approcciata come una amatrice, ho trasformato questa attività in qualcosa di agonistico. Se ci sono riuscita, devo molto alla SBS a cui sono profondamente grata».

Il tocco della racchetta è diventato sostanzialmente magico per la numero 70 al mondo, che ha dovuto lasciare da parte l’equitazione, dove ha comunque provato a ritornare. L’emozione provata nello scendere in campo con la carrozzina ha superato probabilmente quella che viveva durante i concorsi ippici, quando si apprestava a saltare un ostacolo con il cavallo. Proprio questo nuovo mezzo le ha permesso di superare una serie di impedimenti che la vita le ha posto davanti, scoprendo uno sport ancora troppo poco conosciuto.

«Le regole sono sostanzialmente quelle del tennis, con la piccola differenza che noi abbiamo a disposizione due tocchi invece che uno. Chiaramente si ha più tempo, ma contemporaneamente bisogna saper cogliere il momento giusto in cui toccare la palla per non sbagliare la mossa. Per il resto è tutto identico, comprese dimensioni del campo e servizio – sottolinea la rappresentante della società orobica – Non si tratta di una disciplina così conosciuta, anche se devo dire la verità che, grazie all’allenamento svolto all’ATP Masters 1000 di Miami fra Jannik Sinner e Alfie Hewitt, argento olimpico sia a Rio 2016 che Tokyo 2020, si è creata una maggior attenzione verso la nostra disciplina. Aver reinserito il tabellone femminile a fianco del maschile a Roma porta chiaramente ad aver maggior esposizione, visto che quando si arriva ai quarti, in genere ci sono le migliori al mondo».

A questo punto manca soltanto il sogno nel cassetto, quello da esprimere eventualmente sottovoce oppure direttamente da nascondere, prima che non si possa realizzare. Se la sfida agli Internazionali con tanto di carrozzina da sistemare in extremis dopo i problemi incorsi durante il viaggio è un tassello sistemato, il vero obiettivo è rappresentato dalle Paralimpiadi.

«Per farlo servirebbe fare soltanto quello di lavoro, cosa che attualmente non posso permettermi. Le migliori al mondo fanno le atlete sette giorni su sette, mentre io mi sveglio alle 6 del mattino per essere alle 8 in ufficio a Carobbio degli Angeli e allenarmi tre volte a settimana il pomeriggio con l’SBS – conclude Ricci – Servirebbe fare una preparazione fisico-atletica più approfondita rispetto a quanto faccio ora, anche se ci ho già provato quest’inverno, quando ho preso parte ad alcune sedute con la nostra squadra di basket per migliorarmi. Mi piacerebbe partecipare alle Paralimpiadi, ma per farlo servirebbe partecipare a un numero maggiore di tornei di livello superiore e viaggiare molto di più».

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