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Rinascere dall’acqua, Matteo Airoldi e la sua passione per l’apnea

Articolo. Il 34enne di Seriate, medaglia di bronzo agli Europei 2017, racconta come ha imparato a gestire quella sottile linea tra la vita e la morte a partire da un incidente che lo ha cambiato per sempre

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Ogni volta che un apneista riemerge dall’acqua è come se rinascesse. Questo per due ragioni: l’acqua, in primis, non è il nostro ambiente naturale e poi perché l’aria rappresenta invece il nostro nutrimento vitale, senza il quale il nostro cervello non può lavorare. Coloro che fanno apnea sperimentano quella sottile linea in cui l’anidride carbonica supera la quantità di ossigeno nei polmoni e spinge il corpo a rilassarsi, allontanando qualsiasi pensiero lo circondi e permettendo così di percepire una sensazione di relax alquanto pericolosa.

È necessario imparare a gestire quel punto di non ritorno per poi riemergere e tornare a vivere, in un mondo differente da quello precedente, come spiegato nell’Antica Grecia da Eraclito ma anche oggi da Matteo Airoldi, pluricampione italiano di apnea. In grado di conquistare due titoli nazionali nel monopinna e uno nel bipinna, il 34enne di Seriate ha sorpreso tutti nel 2017, quando a Cagliari ha conquistato il bronzo alla prima partecipazione agli Europei, entrando così di fatto nel giro della Nazionale.

La passione per l’apnea è arrivata però ben prima, quando Matteo ha conosciuto sulla propria pelle quella sensazione che ti separa fra la vita e la morte: «Ho iniziato ad avvicinarmi al mare e alle immersioni già da bambino – racconta Matteo – perché mio padre era un sub e cercavo di seguirlo da sopra, finchè riuscivo. Da lì mi sono poi appassionato alla pesca in apnea grazie al mio ex capo, già in Nazionale negli anni ’90 e con il quale trascorrevo parte delle vacanze. In una di queste in Grecia, nel 2006, ho avuto un incidente che mi ha cambiato la vita. Insieme a lui e mio padre avevamo avuto una discussione sulla posizione di un sasso che ci aveva incuriosito».

«Siamo scesi – prosegue Matteo – e la persona che stava sopra di me a un certo punto mi ha chiamato e indicato il punto. Pensavo mi segnalasse la presenza di un pesce, invece voleva farmi capire come avesse ragione sul dire che fosse un masso. Io sono sceso sin lì, a circa 30 metri di profondità, quando mi sono accorto che non avevo più fiato e ho dovuto quindi iniziare la risalita. L’aria che avevo in corpo non era abbastanza, motivo per cui sono andato in “black-out”, un sistema che il corpo umano utilizza per preservare il cuore spegnendo l’atto motorio e il cervello. In quei casi se si è fortunati, c’è qualcuno che ti riporta in superficie e torni a respirare, se va male, si rischia l’annegamento ».

La fortuna ha assistito in quel caso Matteo che, non appena ha ripreso conoscenza, ha visto davanti ai propri occhi la disperazione del padre, profondo conoscitore dei pericoli del mare e per questo motivo deciso ad assecondare la passione del figlio a patto che venisse fatta in maniera adeguata. Da qui l’idea di iniziare un corso di apnea e di avvicinarsi a quella disciplina, questa volta in piscina. Come un corso naturale delle cose, nel 2014 sono arrivate anche le gare grazie all’incontro con la Tilikum Freedivers, società per il quale milita ancora oggi.

«Quando mi hanno proposto le gare ero sinceramente perplesso – ricorda Airoldi – perché avevo fatto da ragazzo judo per dodici anni, entrando anche nella top 7 italiana. Ero bravo, ma da un punto di vista psicologico pativo parecchio le gare. Vedendo però un Campionato Italiano Invernale a Bologna in streaming, mi sono detto “perché non farlo pure io se lo fanno i miei compagni?” e da lì è nata l’idea di affrontare tutta la gavetta prima di arrivare alle competizioni élite. Le gare si dividono in apnea dinamica, con gare con pinne, monopinne oppure nuotando a rana durante le quali è necessario fare il percorso più lungo possibile, oppure in apnea statica, dove vince chi tiene la testa per più tempo sotto il pelo dell’acqua. Ovviamente non gareggiamo soltanto con occhialini, cuffia e costume, ma utilizziamo delle speciali mute, che riducono al minimo l’attrito con l’acqua, e dei pesi, che ci consentano di rimanere sempre sotto senza andare a fondo o iniziare a galleggiare».

Le competizioni sono anche un’occasione per mettere in campo tutte le proprie energie fisico-mentali, comprendendo fino a che punto si possa arrivare e allenando quella famosa “linea” che separa dalla vita alla morte, perché quando si mette la testa sotto l’acqua tutto cambia, come ci spiega il campione orobico: «La parte più complicata è probabilmente il pre-gara, quando la tensione sale e per certi versi ti mangia. Non appena metto i piedi in vasca tutto cambia. È come se fossi Sylvester Stallone in “Over the Top” dove, girando il cappellino, si accende l’interruttore della gara. In quel momento percepisco quel flow di cui spesso gli atleti parlano e non mi preoccupo più di quanto abbia intorno».

«Nell’apnea – precisa ancora Airoldi – ci sono tre fasi: i primi 50-75 metri dove si curano tecnica, ritmo e passo gara, seguita a stretto giro da quel momento in cui si lotta contro l’istinto, in cui si hanno contrazioni, fame d’aria e la necessità di respirare. La sensazione è tanto intensa in base a quanto uno è pronto. Bisogna lasciare andare l’apnea e spegnere la parte cognitiva, diventando freddi un po’ come i rettili. Circa 10-20 secondi dopo spazio-tempo diventano labili visto che si va in ipossia, con più CO2 nel corpo che nell’aria. A quel punto i metri vengono da soli, non ci si accorge che il tempo passa, e quindi serve risvegliarsi. Per farlo, si trovano dei trucchi per stimolare il corpo in un’ultima fase determinante e, più si è determinati a contrastare quell’ “intorpidimento” a cui si è indotti, più si va oltre. Il difficile è costruire quella parte che è complicato anche da allenare perché fuori gara non si può arrivare sempre oltre certe misure. Fare quattro minuti di apnea è molto stancante anche mentalmente e quindi si fanno nelle gare che contano».

Per allenare l’apnea non basta lavorare in acqua come molti si aspetterebbero, ma anche mettere in campo un grande impegno da un punto di vista aerobico con corsa, ripetute, pesistica, calisthenics e stretching. Gli esercizi in acqua aumentano con l’avvicinarsi della gara, ponendo maggior attenzione alla tecnica. Il prossimo appuntamento saranno i Mondiali, per il quale Matteo è stato convocato dopo il record italiano di apnea dinamica senza attrezzi in vasca da 25 metri al «1° Trofeo Verona Dives Different».

«Nel 2017 ho affrontato il mio primo Europeo con entusiasmo perché non avevo niente da perdere e non sapevo a cosa sarei andato incontro – conclude Airoldi –. Questo mi ha permesso di ottenere la medaglia di bronzo e presentarmi di nuovo l’anno dopo ai Mondiali di Lignano Sabbiadoro, dove però ho sentito una pressione maggiore, in quanto chiamato a ripetere la prestazione positiva. Quest’anno sono stato convocato quasi inaspettatamente, visto che mi sono allenato una volta sola a settimana in piscina avendo aperto recentemente un’attività mia. Ciò mi ha portato ad affrontare i Campionati Italiani in scioltezza e a pensare già alla prossima stagione, quando, grazie a un progetto con una società di attrezzatura tecnica, avrò un allenatore che mi seguirà in vista dei Mondiali 2025. Quest’anno parteciperò più che altro pensando a prendere le misure agli avversari per poi fare il meglio».

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