Un proverbio africano sostiene che «Quando muore un anziano, è come se bruciasse una biblioteca». Beppe Gualini è più di una biblioteca, è una raccolta infinita di istantanee e aneddoti sulla storia dei rally avventura da preservare e soprattutto far conoscere al fine di non perdere la memoria dei “ruggenti” anni Ottanta quando affrontare la Parigi-Dakar significava lanciarsi in un’avventura degna del miglior esploratore.
Affinché questa tradizione si tramandi, il motociclista bergamasco ha deciso di scrivere il volume «Una vita fuori traccia. Da la Paris Dakar al Camel Trophy», edito da Special Events di Beppe Gualini con il contributo di Julian Thomas per l’edizione in inglese e Gigi Soldano per le immagini.
Il libro verrà presentato alla Biblioteca dello Sport “Nerio Marabini” di Seriate nella serata di lunedì 18 novembre alle 20.30 e racconta l’intera carriera di Gualini che è passato dalle dune del Deserto del Sahara alle foreste del Borneo.
«Ho passato tutta la mia vita nel mondo dei rally avventura tenendo traccia di quanto accadeva attraverso diari e fotografie. Proprio per questo all’inizio della mia carriera mi hanno chiesto di collaborare con una serie di giornali e riviste ritrovandomi così a scrivere il mio primo libro, “Destinazione Avventura”. Si trattava di un volume dedicato al Camel Trophy realizzato per la rivista di Ambrogio Fogar “Dimensione Avventura” con cui ho pubblicato successivamente “Africa Chiama” dedicato ai rally africani e “Incas Rally” riguardante la competizione creata da Franco Acerbis di Albino – racconta Gualini -. Questi libri sono arrivati all’inizio delle mie attività poi, nel bel mezzo di mille avventure, è mancato il tempo. Infatti possiedo un archivio di ventiduemila fotografie e mille avventure da raccontare, così a un certo punto mi sono detto che dovevo fermarmi, selezionare le immagini e raccontarle. E da qui è nato “Una vita fuori traccia” che è la testimonianza delle gare degli Anni ’80, quando le competizioni africane erano seguite in tutto il mondo».
Al centro di questo libro c’è la passione di Beppe per le moto, un rapporto nato quando ancora era bambino ed è cresciuto costantemente nonostante le difficoltà economiche incontrate in gioventù e la “folle idea” di esplorare il mondo su due ruote. Un amore che Gualini ha voluto riportare anche nel libro dove, come in una sorta di enciclopedia dei rally avventura degli Anni ’80, ha aggiunto le schede di tutte le moto che hanno caratterizzato quell’epoca oggi apparentemente così lontana.
«Essendo bergamasco, ho sempre mangiato pane e moto. La regolarità, specialità che ha dato vita all’enduro, è nata a Bergamo ed è abbastanza normale che tutto ciò sarebbe sfociato nella mia passione. Dopotutto mio padre faceva il meccanico e sotto casa mia c’era l’officina dei fratelli Dall’Ara, tre motociclisti di alto livello fra cui Franco che ha conquistato la prima edizione del Valli Bergamasche – ricorda Gualini -. Nonostante fossi particolarmente attratto, non ho mai potuto svolgere gare di regolarità perché non avevo soldi per comprare una moto per gareggiare, così ho deciso di utilizzare la moto come mezzo per viaggiare. Proprio così ho incontrato la Parigi-Dakar durante un mio itinerario in Algeria e da lì è stato un colpo di fulmine».
Convincere gli altri a sostenerlo in un viaggio che attraversa l’Africa per oltre 16.000 chilometri senza appoggi logistici, solo con uno zaino e senza la certezza di poter tornare a casa sano e salvo apparve immediatamente a tutti come una pazzia, tuttavia Beppe decise di non fermarsi lasciando il lavoro di insegnante di educazione fisica per partecipare nel 1982 alla prima edizione del Rally dei Faraoni in Egitto.
«Come sempre ero precursore dei tempi e tutti mi davano per pazzo. Nonostante ciò sono partito e sono tornato con la vittoria di categoria e il ventiduesimo posto assoluto, diventando il primo italiano a trionfare in una corsa del genere. Da lì è iniziata una lunga avventura che mi ha portato ad affrontare la Parigi-Dakar diventando una sorta d’eroe e trovando finalmente sponsor e sostegno economico. Prima di arrivare a quel punto sono stato costretto a investire tutti i miei risparmi per pagarmi le iscrizioni alle gare facendo il bagnino d’estate per guadagnare qualcosa».
Sui sentieri africani è iniziato anche un grande sodalizio con una delle figure chiave di “Una vita fuori traccia”, Gigi Soldano, fotografo di lungo corso che da Varese si è legato indissolubilmente al settore dei rally avventura. «Gigi ha iniziato la sua avventura proprio al primo Rally dei Faraoni dove abbiamo avuto un incontro casuale. A quel punto l’ho sempre trascinato nelle mie avventure e lui l’ha trasformato in un lavoro a tempo pieno creando un legame molto forte – sottolinea Gualini -. Quando partivo per la Dakar con la moto, lui mi seguiva con mezzi di fortuna, da elicotteri a aerei passando per auto, prendendosi di fatto anche lui una lunga serie di rischi, comprendendo le difficoltà a cui noi piloti andavamo incontro e creando così un rapporto di stima reciproca e amicizia».
Quelle difficoltà raccontate da Beppe si riferivano all’impossibilità di avere un percorso lineare da seguire, con indicazioni spesso approssimative e soprattutto un pronto intervento in caso di problemi meccanici o fisici che non era certezza. Rischi ben oltre il limite che un uomo qualunque possa prendersi, ma che proprio per questo motivo erano così attraenti. «Gareggiare senza traccia è la situazione più difficile. L’unico elemento per sapere dove andare è il Road Book, che non sono altro che una serie di note riguardanti il percorso da affrontare. In certi momenti però le tracce sparivano e per mantenere l’itinerario era necessario guardare una piccola bussola da poche lire che consentiva di mantenere l’orientamento. Per questo motivo, come spesso ho detto, per affrontare queste gare non serve soltanto la tenuta fisica, ma soprattutto quella mentale. A volte si arrivava in piena notte e si riprendeva alle 4 del mattino e senza la forza mentale, il ritiro era certo. Ho visto molti campioni del mondo abbandonare proprio per questo motivo e per questo ricordo ogni volta che, con il fisico e senza testa, a Dakar è impossibile arrivare. Al contrario invece c’è qualche speranza di farcela».
Il mondo è cambiato, anche le regole e la mentalità. Oggi tutto deve essere sotto controllo pianificato, certificato. Un’epoca che non potrà più tornare. Ciò ha stravolto il concetto di avventura cancellando parte del fascino che all’inizio degli Anni Ottanta raccontato da Gualini: «Stiamo parlando di 40 anni fa, delle prime Dakar, quelle vere. Ormai la Dakar è diventata una gara di motocross, che si svolge nei paesi arabi, con GPS , collegamenti da remoto, telefonini, che portano ad uccidere la parte avventurosa – conclude il campione orobico – L’elemento per la passione per gli sport motoristici c’è ancora ma da dakariano, mi sento di poter dire che non puoi chiamare Dakar una gara che non si svolge in Africa, non è più itinerante e che in comune non ha nulla, se non la sabbia, ma anche quella non è la stessa».