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«Fuori i Secondi»: Paolo Bonfanti e il magico mondo della boxe popolare

Articolo. Un documentario racconta il mondo di 18 palestre di boxe popolare in giro per l’Italia. Ognuna è diversa perché diversi sono i territori che le esprimono. Tutte però sono ricche di storie e personaggi unici. Verrà presentato i martedì 22 aprile allo Studio 1901 di Alzano Lombardo

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Un bambino passa fra due pugili alla Palestra Vincenzo Leone di Napoli

Lo sport non è semplicemente agonismo e classifiche, ma soprattutto divertimento e accessibilità. Indipendentemente dal livello che si possa raggiungere a livello fisico oppure dalle disponibilità economiche, lo sport dovrebbe rappresentare un veicolo di inclusione. Tutto ciò non è sempre possibile con ragazzi che spesso sono costretti ad accantonare i propri sogni per la mancanza di fondi da investire nella propria passione oppure per requisiti anatomici troppo restrittivi.

Questa disparità non esiste all’interno della boxe popolare, un mondo che Paolo Bonfanti ha conosciuto all’età di 47 anni, ma del quale è rimasto così affascinato da iniziare un percorso che l’ha portato a raccontarla addirittura in un video. Così è nato «Fuori i Secondi - Storie di boxe popolare», un documentario di sessanta minuti che accompagna il grande pubblico nel mondo delle palestre popolari, un viaggio lungo diversi anni e che verrà proiettato nella serata di martedì 22 aprile allo Studio 1901 di Alzano Lombardo (evento gratuito su prenotazione).

«L’idea del documentario è nata dalla mia esperienza. Sei anni fa mi sono trovato a girare un video all’interno di una palestra tradizionale. Li un maestro di boxe mi ha convinto a provare questo sport affascinante nonostante i miei 47anni spiegandomi come non vi siano limiti di età nella pratica della “nobile arte”. Ho svolto qualche lezione di prova e mi sono appassionato. Il mio entusiasmo tuttavia si è scontrato con l’impossibilità economica di sostenere il costo del corso, anche perché in quel periodo avevo delle difficoltà economiche - racconta il regista orobico -. Così un’amica mi ha parlato di questa palestra popolare all’interno del Centro Sociale Paci Paciana e, dopo essermi informato, ho capito che poteva esser l’ambiente giusto per iniziare. Da lì in poi ho affrontato il mio primo incontro durante una festa alla “Lupo Rosso di Bologna” e, visto l’ottimo clima che si viveva, ho deciso di prendere ulteriori contatti e realizzare un documentario».

Una scelta alquanto curiosa, considerato che il mondo delle palestre popolari rimane un settore considerato spesso di nicchia. La quantità di storie da raccontare che si incrociano su questi ring e che resterebbero altrimenti nascoste, ha spinto Bonfanti a visitare diciotto di queste palestre toccando fra le altre La Dante di Nanni di Torino, La Trollmann di Bergamo, Le Sberle di Milano, Baraonda di Segrate, Volpe rossa di Lonate Ceppino (Varese), Angolo Rosso di Como, Gagarin di Busto Arsizio, Dal Pozzo di Saronno, Underdog di Milano, Jacovacci di Verona, Polisportiva Pavese, Trebesto di Lucca, Intifada di Empoli, Lupo Rosso di Bologna, La Pallestra di Roma, Vincenzo Leone di Napoli, Trollmann di Bari, Jacovacci di Foggia e Neruda di Torino.

«Il numero di palestre popolari sparse lungo il territorio italiano si aggira fra le cinquanta e le settanta con le città più grandi a farla da padrona. A Milano, Torino o Roma si possono trovare più strutture, tuttavia non vanno esclusi i piccoli centri come in provincia di Varese dove si possono individuare alcuni impianti. Oltre a esser accessibili a livello economico, le palestre popolari si caratterizzano per le tre “A”: antifascismo, antirazzismo e antisessismo a cui aggiugerei autogestione. A differenziarle l’una con l’altra è anche la gestione di questi valori - spiega Bonfanti -. Quando sono stato a Napoli sono rimasto colpito dalla loro scelta di lavorare sul territorio compiendo attività per le strade e nei quartieri popolari. Oltre alla boxe, portano ai ragazzi calcio e basket presentandosi con canestro mobile, casse per la musica, succhi e acqua, guantoni e reti e si mettono ad allenarsi per la strada. Uno dei problemi delle palestre popolari sono infatti gli spazi a disposizione per cui bisogna appropriarsi di spazi inusuali. Una volta abbiamo fatto un allenamento condiviso con altre palestre e lo abbiamo fatto in una stazione metropolitana di Milano».

A differenza del pugilato tradizionale, la boxe popolare racchiude tutti i caratteri della militanza e della resistenza mettendo sempre in prima posizione il valore della persona a dispetto dell’agonismo assoluto. Conta in seconda battuta il risultato che emerge dal ring, anche perché l’obiettivo è cercare di tutelare nel migliore dei modi gli atleti. «Nella boxe popolare c’è una regola in Italia per cui questo sport può esser praticato soltanto in Federazione e questo per noi non va bene. È come se a un certo punto non esistesse più il CSI e non si potesse più fare calcio o ciclismo a livello popolare – sottolinea Bonfanti -. I principi della boxe popolare sono infatti diversi da quelli che dello sport agonistico federato. Per esempio non esiste il concetto di di K.O. o di prevalenza su un avversario. La partita è letteralmente uno scambio, quasi un’esibizione con l’aggiunta dell’arbitro. Qualora ci sia troppa differenza fra i due contendenti, quello più forte rallenta vistosamente altrimenti interviene il direttore di gara e ferma il match. Insomma, più che una sfida, si tratta di un allenamento dove il rispetto e la passione la fanno da padrona».

Per conoscere più a fondo questo mondo, basterà partecipare alla proiezione di «Fuori i Secondi» il prossimo 22 aprile o seguire le ulteriori date in programma, come ricordato da Bonfanti: «Ho già ricevuto diverse richieste in giro per l’Italia tanto che a maggio sarò a Bologna e Firenze. Inoltre si potrà trovare anche sul catalogo di distribuzione Open DB».

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