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«Bikila & Burghley. 1960, Olimpiadi di Roma», storia di un “passaggio di consegne” che ha rivoluzionato l’atletica leggera e il mondo intero

Articolo. Venerdì 4 ottobre alle ore 19 presso la Biblioteca dello Sport «Nerio Marabini» di Seriate verrà presentato il libro pubblicato da Edizioni Bolis. In dialogo ci saranno il direttore della struttura Paolo Marabini e l’autore Gianluca Morassi

Lettura 4 min.
Abebe Bikila vince la maratona ai Giochi olimpici di Roma del 1960

Il passaggio di Abebe Bikila , scalzo, fra le antiche ville dell’Appia Antica, accompagnato da una serie di torce nel crepuscolo romano è probabilmente una delle immagini più romantiche della storia dello sport mondiale. Tanto bella da sembrare il tramonto di un’epoca dove le imprese più complicate potevano diventare realtà, semplicemente grazie al sostegno della passione e quel pizzico di follia che spingeva gli atleti a lasciare il proprio Paese, dove erano nati e cresciuti, per trasferirsi in un Mondo Nuovo, quel piccolo agglomerato internazionale che sono le Olimpiadi.

In una società globalizzata e schiava dell’elettronica e del virtuale, pensare anche solo di veder uno sconosciuto proveniente dall’Etiopia trionfare al lume di candela all’ombra dei più bei monumenti della Roma Antica come le Terme di Caracalla o il Colosseo è pura immaginazione. Eppure nel 1960 tutto ciò era possibile, così come era possibile stupirsi di vedere per la prima volta un atleta africano conquistare una medaglia d’oro nella rassegna a cinque cerchi. Lo stesso stupore che pervase il 10 settembre anche il vice-presidente del CIO nonché numero uno della IAAF Lord David Burghley , lui che proveniva dal mondo dei college inglesi e che nel 1928, da dilettante come imponevano le regole dell’epoca, aveva conquistato ad Amsterdam il titolo nei 400 metri ostacoli.

Questo incontro fra due sfere totalmente distanti fra loro è stato ripreso da Gianluca Morassi, giornalista de La Provincia nonché autore del libro « Bikila & Burghley. 1960, Olimpiadi di Roma » edito da Bolis Edizioni. Il volume verrà presentato dall’ideatore nella serata di venerdì 4 ottobre alle ore 19 presso la Biblioteca dello Sport «Nerio Marabini» di Seriate e vedrà un dialogo fra il direttore della struttura Paolo Marabini e lo stesso Morassi al fine di raccontare i passi che hanno portato alla realizzazione di questa idea. Un libro che non unisce soltanto due personaggi che hanno fatto la storia dell’atletica leggera internazionale, ma che al tempo stesso consente di incontrare due grandi passioni di Morassi: la scrittura e lo sport.

«Sono sempre stato appassionato di mezzofondo – spiega Morassi – e le Olimpiadi di Roma 1960 mi hanno sempre colpito, tanto che per alcuni sono le più belle della storia contemporanea complice quell’umanità che nelle edizioni successive si è un po’ persa. Dall’unione fra la mia passione per l’atletica e la voglia di raccontare questo avvenimento storico, è nato questo libro che riprende la storia di due personaggi agli antipodi. Da una parte il primo africano in grado di vincere un oro ai Giochi, il nuovo che avanza e che accompagna il Continente Nero dall’uscita dal colonialismo; dall’altra il simbolo di quello sport britannico così elitario e che, come una staffetta, consegna il testimone a quel continente che diverrà il dominatore dell’atletica leggera».

Un incontro che nella realtà è avvenuto a Roma quel magico giorno, ma che, come un soffio di vento, è durato soltanto pochi secondi. Un intervallo di tempo sufficiente per cambiare le sorti dello sport mondiale, mettendo di fatto nero su bianco il passaggio dal mondo ottocentesco a tradizione occidentale e colonialistica all’avvento del Terzo Mondo, pronto a prendersi quegli spazi sino a quel momento ingiustamente negati. «Un rapporto continuativo non c’è mai stato, anche perché i due si sono praticamente incontrati soltanto alla partenza della Maratona sotto la collina del Campidoglio e durante la premiazione, andata in scena sotto l’Arco di Costantino dove Burghley consegnò l’oro a Bikila – illustra Morassi – Dalla vittoria di Burghley nel 1928, l’atletica era ormai cambiata nettamente visto che già alla sua epoca iniziavano i primi sviluppi nel campo dell’allenamento, come raccontato anche in ”Momenti di Gloria“, nel quale Abrahams viene guidato da un tecnico professionista e per questo messo in un angolo. Chiaramente la svolta maggiore è arrivata poi al termine del Secondo Conflitto Mondiale complice la Guerra Fredda e lo scontro tra i due fronti».

«Bikila & Burghley» non è però un volume dedicato soltanto a questi due personaggi così importanti per la storia dello sport, ma al tempo stesso iconici per lo sviluppo del panorama geopolitico mondiale. Questo libro è l’occasione per raccontare un’epoca e una città simbolo di un grande fenomeno come il boom economico, dove le stelle di Hollywood scendevano dall’Olimpo americano per ritrovarsi nelle vie della Città Eterna, fra i ciak di fotografi e paparazzi e qualche capatina ai Giochi, massima espressione della Dolce Vita raffigurata in «Vacanze Romane», con Audrey Hepburn in sella a una Vespa guidata da Gregory Peck.

«L’Italia e Roma erano il palcoscenico ideale per il jet set mondiale che si ritrovava in quegli anni si ritrovava in via Veneto. Proprio per quell’occasione, per la prima volta la maratona non toccava lo Stadio Olimpico, partendo nel tardo pomeriggio e propiziando così la creazione di un palcoscenico iconico come la via Appia, illuminata da torce e con Bikila scalzo. L’atleta era poi etiope, originario di un paese colonizzato durante il fascismo proprio dall’Italia e sottoposto a stragi incredibili. Per questi motivi Bikila divenne ben presto un mito anche per gli italiani che accolsero con simpatia la sua vittoria, tanto da invitarlo come ospite d’onore dell’anteprima mondiale del film sulle Olimpiadi, presentata a Roma nel gennaio 1961 – ricorda il giornalista friulano – Oltre a lui nel libro sono presenti altri grandi protagonisti di quell’edizione dei Giochi, da Livio Berruti, indimenticato vincitore dei 200 metri, a Cassius Clay che trionfò nel pugilato, passando per Wilma Rudolph, che vinse tutte le gare di velocità femminile in pista. Insomma, personaggi che sono diventati dei miti anche fuori dal mondo dello sport e che mi hanno permesso di raccontare l’Italia della Dolce Vita».

A cambiare in quell’Olimpiade non fu soltanto l’atletica leggera e più in generale il settore agonistico, ma anche la vita di Abebe Bikila che, dopo aver raggiunto vette di popolarità mai viste sino a quel momento per un atleta africano, divenne un’icona per il suo Paese da celebrare in pompa magna, quasi si trattasse di uno di quei condottieri romani che, di ritorno da una campagna vincente, transitavano sotto l’Arco di Trionfo realizzato in loro onore. «Bikila era un membro della guardia del corpo personale dell’imperatore tanto che, non appena rientrò in patria, il negus Hailé Selassié decise di promuoverlo sergente dell’Impero, diventando un mito per l’Etiopia con tanto di lunga sfilata attraverso le strade di Addis Abeba – conclude Morassi – Con la vittoria di Tokyo 1964, l’immagine di Bikila divenne ancor più forte, tanto da esser promosso capitano dell’Esercito ed esser conteso da tutte le principali maratone del mondo, oltre a ricevere in dono dal negus un Maggiolino. Certamente la vittoria di Roma gli cambiò la vita».

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