Ci sono tanti modi per raccontare queste settimane segnate dalla tempesta del coronavirus. Noi raccogliamo e produciamo essenzialmente notizie, inchieste, riflessioni. Ma mentre lo facciamo siamo coinvolti più o meno direttamente in ciò che raccontiamo. Siamo dentro a ciò che sta succedendo, e non abbiamo molti strumenti in più di chi ci legge per vivere e provare a gestire psicologicamente un’epidemia che nessuno ha immaginato così sferzante.
Nel linguaggio giornalistico, pieno di perifrasi e modi di dire, si dice che per scrivere un buon articolo, chiaro e veritiero in ciò che dice, è necessaria “la giusta distanza”. In altre parole non lasciarsi troppo coinvolgere dai fatti, stare in un punto di osservazione nitido e globale, ma sempre con la possibilità di approfondire, scovare il dettaglio decisivo o la sfumatura che cambia le carte in tavola. La visione dell’aquila e quella della formica. Un doppio punto di vista che c’è quasi sempre – e quando non c’è è meglio cedere la penna a qualche collega meno coinvolto.
Nel raccontare il coronavirus però non siamo né l’aquila né la formica. Non esiste nessuna giusta distanza, perché anche noi rischiamo di essere contagiati, anche noi magari abbiamo perso qualcuno. Anche noi possiamo passare dall’essere coloro che raccontano a coloro che vengono raccontati. In ballo non c’è solo il pericolo di morire: c’è l’aria che respiri, livida e carica di tensione. C’è il tentativo di estraniarsi dalla situazione, che è contagiosa al pari del virus, “distraendosi” con il lavoro, ossia parlando comunque di quello che in qualche modo si tenta (vanamente?) di tenere alla larga. Uno strano contorcersi dei fatti e della professione, lo scrivere di un’emergenza in emergenza. Nessuno è mai davvero preparato, anche quando magari nel curriculum ci sono esperienze di guerra o di disastri.
Per questo abbiamo pensato a “Noi, parte di voi”. Un progetto di Eppen per fare in modo che anche noi possiamo raccontarci liberamente come abbiamo vissuto queste settimane e cosa ci aspettiamo dal futuro incerto che ci sta venendo incontro. Forse un modo per riordinare i pensieri, certamente la testimonianza di donne e uomini appartenenti a un “noi” che a causa del coronavirus è diventato un’intermittenza con un “voi”, che siamo tutti. Si è rotto un confine ed è giusto riempirlo delle parole di chi si è ritrovato a varcarlo: mai come in questo caso il giornalismo è una questione di umanità. Buona lettura.