Non annovero il senso dell’orientamento tra le mie skills. Per arrivare a Sorisole mi sono persa, e il mio appuntamento con Daria Giovenzana è cominciato con una lunga serie di scuse. Non fa niente. Sul tavolo mi aspettano una tazza di tè e un muffin. Quasi mi ustiono sorseggiando, mentre mi guardo attorno.
Il laboratorio di La Dari Dari – frangetta, due occhiali grandi, con la montatura spessa – è un labirinto di stoffe, ritagli, pallini e triangoli colorati. “È la parte più luminosa della casa”, mi confida la mia interlocutrice, scostando le tende colorate. In una stanza ricavata nel garage, Daria mette da parte i pensieri, le preoccupazioni per il marito e i due figli, e stampa fantasie su stoffe. Da qualche anno, con il bizzarro nome d’arte di La Dari Dari, realizza tovagliette americane, accessori per la casa, zainetti e portachiavi, che svela sul suo profilo Instagram e vende sul suo shop Etsy.
Generare bellezza
Prima di essere artista (e mamma, come non manca mai di sottolineare), Daria Giovenzana è designer industriale. Si laurea nel 2002 al Politecnico di Milano, comincia a lavorare in uno studio di yacht design. Per quindici anni, si dedica all’arredamento interno, agli arredi e alla scelta dei materiali tessili. Un lavoro che le consente – quando il proprietario dello yacht è particolarmente disponibile (e dignitosamente ricco) – di unire alla funzionalità la creatività. “Quando lavoravo a una barca grande e la proprietaria mi diceva ‘vorrei questo tipo di tende, queste lenzuola’, c’era spazio per l’inventiva. Si usavano legni chiari, scuri, era tutto molto sperimentale”, mi racconta. “Poi, si è cominciato ad utilizzare uno o due tipi soli di legno”. Lavorando con e sulle barche, Daria impara molto sull’equilibrio e sulle proporzioni, ma comincia ad avere “voglia di rosso, di arancione”.
All’impegno lavorativo si aggiungono la famiglia, i due bambini. Daria comincia ad avvertire il desiderio di un lavoro tagliato sulle sue esigenze personali, ma che le consenta anche di esprimersi. Nel 2009, apre un blog per condividere la sua passione per il lavoro artigianale (una passione maturata fin da piccola, tra formine di pasta di sale ed acquerelli) e una vetrina online sulla piattaforma Etsy. Per i suoi quarant’anni, si fa un regalo importante: “è arrivata la crisi e mi sono detta, o adesso o mai più”. Lascia il lavoro e riprende in mano il sogno, sempre tenuto nel cassetto, di dedicarsi a tempo pieno all’handmade .
Una sfida, ma anche una forma di ringraziamento nei confronti di un’arte di cui già Daria conosce i benefici. “Prima di avere Michele e Paolo, i miei figli, ho avuto diversi aborti, e la mia esigenza di bellezza, di generare qualcosa di bello, mi ha portato a rifugiarmi nell’handmade”. Daria pronuncia la parola handmade facendo una lunga pausa tra il termine “hand” e il termine “made”. Le preme sottolineare come lavorando a mano si dia vita a qualcosa che prima non c’era. E quel qualcosa a volte ti salva.
I tessuti
Mentre sorseggio il mio tè, che non accenna a raffreddarsi nemmeno a volerlo, Daria si mette alla macchina da cucire. Gliel’ha regalata la mamma, ed è un tesoro prezioso. “Ho trovato nel cucito l’arte che mi rappresentava di più, sono sempre stata un’appassionata di moda”, mi racconta. “Ho cominciato a comprare le stoffe, le abbinavo, le recuperavo da vecchi vestiti, da stock…”. Trovare la stoffa perfetta è sempre più difficile: ci sono fantasie che neanche Ikea è in grado di offrire. Così, Daria comincia a costruirsi da sola dei timbri, e a stampare a mano sui tessuti i motivi che le interessano. “Ho trovato la mia quadra in questo: nel portare dei colori sui tessuti, abbinarli con altri tessuti in tinta unita, con delle grafiche semplici o geometriche e realizzare oggetti di uso quotidiano”.
Mi faccio accompagnare da Daria nel viaggio che inizia dalla stoffa e si conclude col prodotto. “Non è sempre uguale: ci sono spesso delle stoffe che vedo e mi parlano”. Capisco cosa intende dire. Mia nonna faceva la sarta. Per me bambina, l’armadio della nonna era la porta di accesso a un mondo magico – altro che Narnia. L’armadio di Daria non è da meno: le stoffe sono tutte ordinate per colore.
“A volte, ci sono delle stoffe che mi parlano già così, e non ho bisogno di aggiungere ulteriore colore, o delle stampe”. Altre volte, le pezze sono per l’artista solo il punto di partenza. Allora, Daria si arma di colori per tessuto, di inchiostri serigrafici e di timbri.
Le forme e i colori
Qua mi fermo, perché la cosa più bella del laboratorio di La Dari Dari sono i timbri che utilizza per stampare sui tessuti. Mi aspetto formine di plastica, invece mi trovo di fronte delle patate. Le più grandi fonti di ispirazione, per la mia interlocutrice, sono le verdure. Gli avocado e i broccoli ispirano l’artista per i loro colori o per la loro forma, che poi viene astratta sul tessuto. Le patate, invece, oltre ad affascinare Daria, sono per lei dei veri e propri strumenti di lavoro. “Taglio la patata, la asciugo, dispongo il colore sul piatto, spennello la patata e poi la uso come timbro sulla stoffa”.
Sorrido, mentre la immagino muoversi tra gli scaffali del supermercato e cercare le patate giuste. “La cosa bella è che le patate non sono mai perfette, per cui a seconda di come le giri, poi puoi creare un movimento nella stampa, non è geometrica al cento per cento”. Tutti gli oggetti che Daria usa come timbri (anche quelli meno effimeri e più ecologici, come i tappi di sughero, i rotoli di scotch, oppure i ritagli di gomma crepla) condividono un valore: l’imperfezione. “I triangoli che disegno per i miei timbri non sono mai perfetti, si muovono”.
Tra le forme che Daria preferisce ci sono i quadrati. “Io mi sento un po’ quadrata”, mi rivela. “Le forme quadrate mi danno la possibilità di avere la visione di insieme dell’oggetto e di coglierne le proporzioni, l’equilibrio, il chiaroscuro”. Le forme tondeggianti, organiche, la affascinano, ma non ama riprodurle. La parte più organica o “istintuale” delle sue creazioni si riversa allora nel colore. “Ho un quadrato e come faccio a renderlo emozionante? Lo stampo, ci faccio dei bolli colorati, che abbiano una fantasia geometrica ma che ti stupiscano con i colori”.
Daria è un’amante dei colori. Trovare i colori che stanno bene insieme, in armonia, abbinarli, è la cosa che la entusiasma di più. Quando imprime il timbro colorato sul tessuto, Daria lascia che si intravedano le pennellate e la grana della tela. Intrisa di colore, la stoffa rimane morbida, colorata, viva.
Gli oggetti
Quando i tessuti sono colorati e abbinati tra di loro a seconda delle preferenze personali o di quelle del cliente, allora si comincia a dare vita al prodotto. Nei cassetti di Daria si nascondono tovagliette americane, portachiavi, cestini per il pane, zainetti, astucci, elastici per capelli, sacchettini di lavanda.
Prodotti non solo belli, ma funzionali: il tocco da designer, mi rivela Daria, e “quel senso bergamasco pratico che non se n’è mai andato via” si riversa nell’aggiunta di cordini nascosti negli angoli per poter appendere i sacchettini a una gruccia, di asole in similpelle per regolare facilmente gli zainetti, ma anche nella capacità di realizzare a un grembiule da cucina con meno cuciture possibili.
Che fine fanno gli oggetti che produce è l’ultima domanda che rivolgo alla loro creatrice. La Dari Dari ha partecipato spesso a mercatini, a Verona, in Città Alta, a Bolzano. Ai market, però, Daria preferisce il lavoro online. Il blog che ha aperto nel 2009 è stato il primo passo per farsi conoscere: a notarla e a ingaggiarla per delle collaborazioni, anche Casafacile.it , la vetrina web della nota rivista italiana dedicata all’arredamento di interni.
Ora, Daria utilizza soprattutto Instagram, con cui indirizza i clienti alla sua vetrina Etsy, già ricca di articoli natalizi. “Il mio modo di presentarmi e di esprimermi è sempre stato abbastanza statico, quadrato, come le mie forme”, mi rivela, mentre scorro i suoi post social.
In cantiere, Daria ha molti progetti. Si è iscritta di nuovo all’università, per ottenere i crediti necessari ad insegnare arte e immagine alle medie, disegno geometrico o laboratorio al liceo artistico. Sul suo armadio ci sono dei fogli appesi: “Non pensarci, buttati, vai”. Frasi che Daria si è scritta da sola: prima o poi, si dedicherà all’abbigliamento.
Nel frattempo, il mio tè è diventato freddo. Daria allontana il thermos dalla ciotola che ha riempito con la candeggina. Tè, latte, caffè e candeggina sono dei degni sostituti ai colori acrilici e Daria ne subisce la magia come una piccola chimica. “La candeggina dà alla stoffa un effetto meraviglioso. A seconda della tinta di base l’effetto che ne esce è differente. Sul nero, la candeggina diventa arancione. Sulla grana grossa si espande di più, sulla grana fine un poco meno”.
“Io credo che il carattere di quello che faccio sia la commistione tra sperimentazione scientifica, geometria, passione per le cose semplici come le verdure e il colore”, conclude. “Un gran casino”. Ma non è questo il bello dell’handmade?