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Vita nell’oceano. A Edoné un viaggio nell’altro pianeta sommerso

Articolo. Domani, 1° febbraio, lo Spazio Edoné ospiterà il primo di quattro incontri alla scoperta degli oceani e delle forme di vita che li popolano. Per l’occasione, abbiamo fatto due chiacchiere con il relatore Lorenzo Ugo Conti, autore e speaker di eaSea, podcast di biologia marina

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Circa il 70% della superficie della terra è coperta da acqua e dagli oceani proviene il 70% dell’ossigeno che respiriamo, ma conosciamo solo un terzo delle forme di vita che contengono. Questo “altro pianeta” quasi sconosciuto vive silenzioso al nostro fianco, con chissà quanti misteri annidati nelle sue profondità (che potrebbero comodamente inglobare l’Everest rovesciato). Alcuni di questi misteri saranno svelati in un ciclo di incontri dal titolo «L’altro pianeta. Storie di un mondo sommerso»: quattro appuntamenti da febbraio a maggio presso Spazio Edoné. Il primo si terrà domani sera, 1° febbraio, alle 20:30: “Legami di sale. L’evoluzione delle interazioni biologiche che hanno plasmato la vita sul pianeta”. Il relatore è Lorenzo Ugo Conti, autore e speaker di eaSea, il podcast di biologia marina (presente anche su Spotify e con una ricca pagina Instagram).

L’incontro sarà un vero e proprio viaggio nel tempo, nei tre miliardi e mezzo di anni in cui gli esseri viventi hanno popolato la Terra. Smontando uno alla volta i meccanismi di interazione e simbiosi che hanno portato all’evoluzione delle specie, si proverà a rivalutare la convinzione che ci vede al centro di ogni cosa. Si guarderà ai singoli esseri viventi, noi compresi, come piccoli ecosistemi in scala, che non possono sopravvivere senza i suoi microscopici abitanti.

Il tutto con la curiosità che contraddistingue anche il podcast eaSea, in cui fatti scientifici sono raccontati in linguaggio semplice e adatto a tutti, con una brevità che permette di godersi le singole puntate come micro pillole di conoscenza quotidiana. Senza dimenticare le minacce che mettono a rischio gli ecosistemi marini: i cambiamenti climatici, l’inquinamento e lo sfruttamento incontrollato delle risorse. Perché, secondo l’autore, «la chiave per un futuro sostenibile sta nella nostra comprensione e nel rispetto degli oceani». L’ho intervistato per capire la storia che si cela dietro questo progetto di divulgazione: non ne ho trovata solo una, ma tante che si intrecciano in una sola voce.

«Ho iniziato a pensare al podcast nel 2019, quando lavoravo come guida naturalistica in Egitto: tre volte a settimana tenevo serate divulgative agli ospiti, i classici eventi di routine, in cui si parlava di pesci, coralli, squali, insomma la fauna ittica locale. Col tempo ho iniziato a pensare: ma perché non cominciare qualcosa di mio che alla stessa maniera di altri racconti storie e non parli solo delle ricerche nude e crude?» ricorda Conti, tornando agli albori del progetto.

L’idea del podcast è rimasta nell’incubatore per poco tempo: «Mi sono iscritto a un master di comunicazione scientifica e, dopo aver approfondito la tecnica, ho presentato come progetto di tesi il podcast che avevo in mente, che è stato accettato. È nata così la prima stagione, che in realtà pensavo sarebbe stata anche l’ultima. Invece ho ricevuto messaggi di persone che si complimentavano per il lavoro fatto, quindi ho ricominciato e ora è in corso la seconda stagione».

Tecnica, dunque, ma supportata da una forte propensione personale alla base. «Il podcast è frutto di una delle mie tre grandi passioni di sempre: il mare, i dinosauri e la cura degli animali. Ho deciso di studiare biologia marina perché pensavo che fosse un campo perfetto per coltivare le mie passioni e darmi da vivere, ma mi ha dato anche la possibilità di fare viaggi e conoscere un mondo che per la maggior parte delle persone è totalmente sconosciuto».

La storia di Conti si è arricchita di esperienze nella guardia costiera e in quella che è la sua attuale grande passione, la subacquea. Percorsi diversi e strade che si intrecciano, con una formazione e una conoscenza che si arricchiscono di volta in volta. Incontrando anche temi di estrema attualità, come la sostenibilità a tutto tondo: «Una delle cose che mi ha sconvolto di più scoprire è che la pesca a strascico rilascia più anidride carbonica dell’intero traffico aereo globale , perché le reti dei pescherecci, strisciando sul fondo, rilasciano la CO2 immagazzinata nel fondale».

Conti sottolinea l’importanza di ricordare che «le nostre risorse sono limitate. Prima o poi dovremo fare i conti con questo dato di fatto. Abbiamo sovrasfruttato il nostro pianeta e il mare è uno degli ecosistemi dove questo è più evidente. Il mar Mediterraneo è uno dei mari più sovrasfruttato in termini di pesca. Nel mio studio di tesi magistrale ha analizzato lo storico del pescato nel Mar Tirreno settentrionale e ho scoperto che una grandissima percentuale dei naselli pescati in questa zona è sottomisura: ciò significa che viene pescata prima di potersi riprodurre e quindi non manda avanti la specie, innescando un circolo vizioso di risorse sempre più scarse».

La situazione di insostenibilità non cambia molto se si passa dalla pesca, che «è l’equivalente della caccia in ambito marino», all’itticoltura, che invece «equivale all’allevamento». «Se venissero rispettati tutti gli standard normativi (per esempio la locazione dell’allevamento in mare aperto o le visite veterinarie regolari), l’itticoltura potrebbe essere una risorsa. L’itticoltura ha invece alti impatti ambientali quando viene praticata in zone delicate, dove può capitare la fuga di animali allevati, come successo di recente in Islanda, che, fra gli altri problemi, inquina la variabilità genetica delle specie selvatiche della zona».

E come non notare l’elefante nella stanza in termini di sostenibilità degli oceani, ovvero i rifiuti di plastica? «È un problema enorme, su scala mondiale» riconosce Conti «e la cosa più grave è che è costante, perché ci sono Paesi in via di sviluppo o con una considerazione ecologica diversa dalla nostra che continuano a smaltire i rifiuti di plastica in modi non corretti».

Qui si apre un altro vaso di Pandora: «Non tutti i pesci prelavati dagli oceani vengono poi usati per la nostra alimentazione: molti pesci pescati, perché sotto misura rispetto alle normative o per molti altri motivi, vengono rigettati in mare direttamente dal peschereccio. Venendo pescati ad alte profondità, anche di 300-400 metri, subiscono però nel processo un grosso sbalzo di pressione, che spesso li porta alla morte. E se non è questo a ucciderli, lo è il fatto che nella rete molti di loro vengono compressi e subiscono uno stress elevato. La mortalità nella pesca a strascico, per via di questi fattori, è elevatissima».

Le prospettive, però, non sono del tutto nere: i progetti scientifici e le iniziative di attivismo sono diffuse in tutto il mondo. Conti ne cita alcune: «Ci sono startup come The Ocean Cleanup che stanno ripulendo l’oceano dalla plastica con reti da pesca. Oppure, un progetto newyorkese sta riportando le ostriche nella baia di New York, che erano presenti ma si erano estinte e ora possono tornare ad aiutare l’ambiente grazie al fatto che filtrano e depurano l’acqua e contribuiscono a regolare le mareggiate».

La responsabilità, in questi ambiti, è secondo Conti non solo di chi fa scienza ma anche di chi la comunica. «Quando si tocca la sostenibilità bisogna stare attenti. Se si usa troppa aggressività non si fa passare il messaggio e si aprono solo discussioni sterili. Quello che dobbiamo fare – mi ci metto io per primo – è veicolare il messaggio che le risorse sono limitate e che non possiamo continuare a vivere come facevamo. Più persone riescono a cogliere questo messaggio e più possiamo modificare le tendenze di mercato».

Per Conti «il nostro più grande potere è il potere d’acquisto». Modificando le nostre abitudini di consumo, possiamo favorire il cambiamento. E alcuni suggerimenti ci arrivano proprio dal mare: «Se parliamo di alimentazione, non serve per forza diventare vegani, perché anche solo riducendo l’acquisto di prodotti animali si migliora la situazione. Nel podcast parlo di alternative alimentari, come la pasta ai sassi di mare, che è una prelibatezza di Livorno in cui il sapore di mare è dato da minuscoli microorganismi e alghe. Oppure dei molluschi, che sono più sostenibili perché sequestrano tanta anidride carbonica».

Le scelte che possiamo fare non sono solo in cucina: «Ci sono altre attività che possiamo intraprendere, come la pulizia delle spiagge, oppure fare fronte comune per chiedere di instaurare un’area marina protetta in un’area di interesse, anche di piccole dimensioni. E infine un corollario all’intero discorso: credere nella ricerca e dare fiducia alla ricerca. Solo così potremo prendere la direzione più giusta per tutti».

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