I temporali dell’ultimo periodo non sono stati che un palliativo per l’emergenza siccità che stiamo vivendo. In Lombardia, la vendemmia è iniziata con due settimane di anticipo rispetto al 2021 per via del caldo che, come fa notare Coldiretti Lombardia, a causa di nottate afose e temperature elevate, non ha «permesso ai grappoli di prendere un po’ di “respiro” climatico con il tradizionale sbalzo termico». A Bergamo, anche il mais da foraggio è stato trinciato con un mese di anticipo, sebbene le piante non fossero ancora mature, per evitare di vedere seccare tutto in campo e perdere così completamente la produzione.
E non è finita: Coldiretti Bergamo stima «cali di circa un terzo per le produzioni di orzo, frumento, mentre le perdite per i foraggi sfiorano ormai il 50%, così come il calo stimato per le rese nei raccolti di mais». La situazione è critica anche per il bestiame, con una produzione di latte ridotta del 10% e problemi anche negli alpeggi, «con i pascoli che sono sempre più secchi e le pozze per abbeverare gli animali sempre più asciutte a causa della mancanza di pioggia e delle alte temperature».
A soffrirne sono anche e soprattutto le api, bioindicatori fondamentali sullo stato di salute dell’ambiente e responsabili dell’impollinazione di circa l’80% degli ortaggi e dei frutti che comunemente troviamo sulla nostra tavola.
Come spiegavamo in un articolo sullo stato di salute delle api bergamasche, il clima influenza molto le api e il ciclo annuale degli alveari. Il freddo dell’inverno, per esempio, è indispensabile per far sì che vadano in blocco di covata: con temperature che iniziano ad alzarsi già a febbraio e marzo, le famiglie di api si sviluppano molto velocemente, con il rischio che, in caso di ritorni di freddo nei mesi successivi, la covata che è già fuori dall’alveare muoia e il resto della colonia torni in glomere, interrompendo il raccolto.
Ma i problemi non si fermano qui. La mancanza di acqua causa un calo nella produzione di fiori da parte delle piante e quindi una diminuzione di polline e uno stato di denutrizione diffuso tra le api, con ricadute pesanti sui processi di impollinazione. Inoltre, le temperature eccessive rendono le strutture interne degli alveari invivibili per le api, che faticano a mantenere costante il clima interno.
Attraverso la campagna di sensibilizzazione contro i cambiamenti climatici «The Great Meltdown», 3Bee, la start up che dal 2017 si dedica alla protezione delle api e degli impollinatori tramite la tecnologia, rende noto che si sono registrati cali di peso giornalieri fino a 400 grammi ad alveare. Questo a causa della «situazione di deficit costante per i fiumi che si sviluppa a catena su tutte le fonti di acqua a disposizione per gli impollinatori» e del ridotto flusso nettarifero di cui sopra. Inoltre, «i suoni e i rumori degli alveari stanno aumentando di giorno in giorno, passando da 40 Decibel fino ai 60 Decibel di rumore».
Greenpeace, in una recente newsletter, riporta che «a peggiorare la situazione ci sono anche i vasti incendi, sempre più frequenti, che stanno distruggendo gli habitat delle api e le piante mellifere, fondamentali per gli impollinatori». Il fumo causato dagli incendi, inoltre, disorienta le api, portando a volte alla loro morte e distruggendo anche le piante nettarifere.
Il problema principale è la carenza d’acqua, che per le api riveste più funzioni: oltre a sostenerne le attività vitali, fa da diluente per la produzione di pappa larvale ed è essenziale per la regolazione termica dell’alveare. In un alveare, ci sono api espressamente dedicate alla ricerca di acqua, le api acquaiole. Questo tipo di api ricerca le sorgenti idriche e, una volta rientrato nell’alveare, trasmette tramite la danza la posizione della fonte ad altre bottinatrici che si involano in quella direzione.
Le sorgenti idriche ideali per le api sono ricche di sali minerali, comprese acque di scolo, pozze stagnanti e fonti ricche di prodotti derivanti dalla decomposizione di residui organici. Per cercarle, le api acquaiole lasciano l’alveare nelle ore meno calde della giornata e si servono di speciali organi presenti sulle antenne, in grado di rilevare minime variazioni di umidità relativa. Se trovano una fonte stabile, dalla volta successiva vanno a memoria e la frequentano con regolarità per tutto l’anno.
I loro viaggi hanno inizio già a fine inverno, quando le temperature iniziano ad alzarsi e raggiungono anche solo i 7-10°C. In questo periodo, avviene l’iniziale sviluppo della covata: ciò significa che ci sono giovani larve che vanno nutrite con cibo larvale, il quale deve essere ben diluito con acqua.
Specialmente in estate, invece, le api stendono l’acqua come una pellicola sugli opercoli o sui bordi delle celle, per poi farla evaporare grazie all’azione delle api ventilatrici e ridurre la temperatura dell’alveare, mantenendola sui 35°C costanti, anche se all’esterno l’insolazione diretta e la presenza di superfici scure possono portare l’aria a valori superiori ai 60°C. Mantenere una temperatura costante all’interno dell’alveare è fondamentale anche per la schiusa delle uova.
Ma quanta acqua serve per permettere tutto questo? Gli scienziati stimano che l’esigenza idrica media di una colonia sia di un litro al giorno, anche se in climi molto caldi il consumo d’acqua per famiglia può raggiungere i 5 litri al giorno. In estate, infatti, viene a mancare gran parte dell’apporto di nettare, che consente alle api un rifornimento indiretto di acqua; inoltre, siccità e mancanza di precipitazioni causano un elevato grado di evaporazione.
Il cuore del problema è che, se le api sono in pericolo (e alcuno scienziati stimano che fra 100 anni potrebbero scomparire), è in pericolo la nostra stessa sopravvivenza. Le api, infatti, giocano un ruolo essenziale nel mantenimento degli ecosistemi e della biodiversità. Senza di loro e degli altri insetti impollinatori, non crescerebbe circa l’80% degli ortaggi e dei frutti che comunemente troviamo sulla nostra tavola.
Come ben spiegato in un recente documentario, il valore economico dell’impollinazione, solo in Europa, è di 15 miliardi di euro l’anno. Le api impollinano la maggioranza delle piante di interesse agricolo. Senza di loro non avremmo, tra le altre: albicocche, castagne, ciliegie, mandorle, mele, pere, pesche, aglio, carote, diversi tipi di cavolo, cipolle, cocomeri, meloni, porri, prezzemolo, sedano, zucca e cetrioli. Oltre all’80% delle piante spontanee e selvatiche, la cui scomparsa potrebbe portare ad alluvioni, frane, riduzione delle zone produttive e compromissione della catena nutrizionale di numerose specie di animali selvatici. Senza contare che le api sono preziosissimi bioindicatori del grado di inquinamento ambientale: prelevando nettare e polline, intercettano anche le sostanze inquinanti presenti nell’ambiente. Una morìa di api è sempre da tenere in grande considerazione.
Qualche notizia positiva c’è. Per esempio, moltissimi agricoltori si stanno muovendo per sostenere artificialmente i piccoli insetti, disponendo, per esempio, secchi d’acqua con all’interno pezzi di sughero o di polistirolo accanto alle arnie, così che le api possano bere senza affogare e prelevare acqua da portare all’alveare.
Anche a livello locale qualcosa si muove: è il progetto «BeePathNet Reloaded», di cui abbiamo parlato tempo fa. Nato all’interno di URBACT Transfer network come rete tra Lubiana (Slovenia), Bansko (Bulgaria), Sosnowiec (Polonia) e Osijek (Croazia) con Bergamo, il suo obiettivo è importare buone pratiche in relazione all’apicoltura urbana, alla promozione della biodiversità e a tutto ciò che è connesso al meccanismo dell’impollinazione, in termini di sostenibilità più ad ampio spettro.
E anche noi, nel nostro piccolo, possiamo fare qualcosa per aiutare le api. Innanzitutto, chi è apicoltore o conosce apicoltori che desidera aiutare può comprare un abbeveratoio: bacinelle di plastica dotate di una piattaforma galleggiante per far sì che le api non anneghino mentre si riforniscono di acqua. Ma ci si può arrangiare anche con diversi metodi artigianali: una tinozza su cui far galleggiare ritagli di legno, tappi di sughero tagliati a fetta di salame, argilla espansa o altri materiali spugnosi galleggianti; vecchi blocchetti di cemento poroso su cui lasciar gocciolare dell’acqua da un piccolo tubo di gomma; un bidone da cui gocciola acqua su una tavola di legno non verniciato inclinata.
Questo per tamponare l’emergenza idrica, mentre per favorire la creazione di ambienti più accoglienti per le api possiamo partire dal giardino di casa nostra. Innanzitutto riducendo il numero dei tagli dei prati, ritardando soprattutto i primi della stagione, in primavera, quando crescono i fiori che aiutano le api mellifere. Poi, per chi si sente più temerario, rinunciare all’idea di giardino come prato all’inglese, tutto verde, ordinato e omogeneo, ma lasciarlo almeno un po’ incolto, dando origine a un prato biodiverso che sia accogliente per diverse forme di vita.
Anche nell’orto si può lasciare spazio per la biodiversità, per esempio lasciando che qualche pianta da orto, come lattuga, radicchio o cavolo, arrivi a fioritura. Chi non ha un giardino o un orto può creare un piccolo terrazzo fiorito, non solo con piante autoctone ma con fiori di qualunque tipo che non siano trattati chimicamente e che possano attirare e sostenere le api mellifere.
In alternativa, è possibile costruire con materiali di recupero dei bee hotel, rifugi artificiali che simulano i luoghi di nidificazione e svernamento delle api e degli altri insetti impollinatori. Queste piccole strutture possono essere posizionate all’aperto per far sì che gli insetti, come le api solitarie, possano deporvi le loro uova.
In generale, l’idea è quella di creare corridoi ecologici anche all’interno delle città: ambienti biodiversi in cui ogni forma vivente può nutrirsi e trovare rifugio. E creare ecosistemi che siano accoglienti per tutti e non solo per l’uomo.