Comincio col dire che la bici a tre ruote è stata uno dei più bei regali che ho ricevuto nella mia vita. Salirci sopra e ricominciare a pedalare dopo tanti anni, è stato un po’ come tornare bambina. E oggi, dopo quasi due anni dalla prima volta, posso dire usare il trike è per me un grande passo verso la mia autodeterminazione e indipendenza. La bici a tre ruote per me è una necessità dal momento che, come ho già raccontato, ho una disabilità motoria dalla nascita che mi causa problemi di equilibrio.
La cosa divertente è che prima andare in giro a piedi significava evitare gli sguardi dei passanti mentre camminavo, non farci caso. Ora, quando pedalo, i passanti continuano a guardarmi. Alcuni, soprattutto i turisti, con un misto di stupore e curiosità. Altri ancora mi urlano «Bella» mentre passo. Mi limito a rispondere «Grazie», senza pormi troppe domande.
La bici a tre ruote mi ha dato diverse e importanti lezioni. La prima è che bisogna prendere le curve lentamente per evitare di ribaltarsi. A differenza delle biciclette a due ruote, dove il ciclista può inclinarsi nella direzione della curva per bilanciare le forze, i tricicli non offrono la stessa capacità di inclinazione, rendendo più difficile l’equilibrio. Il centro di gravità di un triciclo è solitamente più alto rispetto a quello di una bicicletta a due ruote, quindi quando affronto una curva, le forze laterali tendono a spostare il centro di gravità verso l’esterno, aumentando il rischio di ribaltamento.
Sono tutte lezioni che ho imparato “sul campo” a mie spese durante i primi mesi di collaudo, quando mi lasciavo prendere dalla frenesia e non frenavo abbastanza presto. Così cadevo e finivo col farmi male alle costole, alle ginocchia, sulla fronte. Il triciclo mi ha insegnato cosa significa camminare a passo d’uomo. Dovete sapere che quando cammino in gruppo, sono - per cause di forza maggiore - quella che rimane sempre indietro o che obbliga tutti a rallentare. Sì, sì, lo so che rallentare non dovrebbe essere un obbligo, ma ciò che voglio sottolineare è che non ho mai conosciuto il brivido di camminare come gli altri.
Il regalo più bello che il trike mi ha fatto è stato proprio la velocità, il non sentire il peso della fatica quando mi sposto da un luogo all’altro, poter tornare a casa la sera da sola senza dovermi preoccupare dell’ultimo bus che mi obbliga a rientrare alle 22. La possibilità di spostarmi per tragitti brevi ottimizzando i tempi. Ma, soprattutto, quando pedalo sul trike mi dimentico che sono disabile. L’altro giorno, ad esempio, stavo pedalando lungo una strada stretta persa nei miei pensieri e mi sono dimenticata di accostare per far passare le auto. Finché non sono stata destata da un clacson. Mi sono girata e alla guidatrice che mi ha fatto segno di andare più veloce ho detto: «Signora, sono disabile».
Lei si è immediatamente scusata, ho accostato a lato per farla passare, tra l’indignazione persone che hanno assistito alla scena e che mi hanno espresso vicinanza. Lo confesso: mi sono sentita potentissima e subito dopo un po’ in colpa. Ironia a parte, pedalare con il triciclo per Bergamo crea non poche difficoltà. Questo perché devo comunque contare sulla forza (limitata) delle mie gambe e quando la strada si fa più ripida, non riesco a tenere il passo delle auto e non posso salire sui marciapiedi. Vi racconto come è andata in due diversi itinerari.
Da Colognola fino alla funicolare
Il primo percorso prevede un tragitto di 6.3 chilometri, partendo da Colognola fino all’ingresso della funicolare di Città Alta. Il tragitto presenta molti rischi: da viale Caduti sul lavoro fino a viale Vittorio Emanuele II i marciapiedi sono stretti e spesso delimitati da paletti. Già all’uscita dalla rotonda principale del quartiere, il marciapiede lungo via San Bernardino – l’unica modalità di accesso sicura per via del gran traffico della zona – è inadeguato ad ospitare un triciclo.
Proseguendo lungo via San Bernardino, a compromettere la stabilità del mio mezzo ci pensano i numerosi tombini, che non posso evitare per consentire alle macchine di sorpassarmi. La situazione si fa particolarmente critica poco prima di Largo Tironi, sotto il piccolo ponte ferroviario. Il marciapiede è stretto e dissestato e il traffico rende difficile il passaggio. Nella restante parte di via si crea addirittura un paradosso: il triciclo rallenta il traffico veicolare ed è impossibile utilizzare in sicurezza il marciapiede senza ostruire il passaggio dei pedoni. Le rampe sono inoltre troppo rigide per essere prese in considerazione.
Dopo aver superato un’altra rotonda problematica in Largo Tironi, deviamo a sinistra sulla pista ciclabile, attraversando le strisce pedonali. Superata la Biblioteca Tiraboschi, il nostro viaggio prosegue senza intoppi fino a Largo Cinque Vie, dove imbocchiamo via Zambonate, seguendo la pista ciclabile senza ulteriori ostacoli, grazie alla chiusura delle strade alle auto in occasione di una festività. Continuando fino a Largo Porta Nuova, ci dirigiamo verso il Teatro Donizetti. Da qui, passando alle spalle dell’ATB Point e sotto il porticato del Balzer, arriviamo in Piazza Dante. Su via Petrarca, l’assenza di un accesso agevole al marciapiede ci costringe a invertire la marcia. Girando a sinistra, attraversiamo sulle strisce pedonali per raggiungere viale Vittorio Emanuele, continuando poi lungo la strada adiacente all’Hotel San Marco. In questo tratto, la corsia ciclabile è perfetta, anche se la salita comincia a farsi piuttosto impegnativa.
Verso Città Alta, le difficoltà proseguono: le auto tendono spesso a invadere la corsia ciclabile e gli accessi ai marciapiedi sono sempre troppo ripidi e sconnessi.
Da est a ovest
Il secondo percorso parte dalla pista ciclabile di via Roberto Failoni e prosegue costeggiando l’ospedale Papa Giovanni XXIII. Attraversato il Parco della Trucca, arriviamo sulla strada principale, che conduce direttamente a una rotonda rischiosa ma indispensabile per immettersi in via Federico Bergonzi. Qui l’asfalto è liscio, ma all’ingresso di via Giancarlo Finazzi, un cartello ci avvisa dell’imminente dissesto stradale. In questo tratto, la strada è infatti un campo minato, con buche piene d’acqua che hanno messo a dura prova la stabilità del trike.
Nei pressi dell’attraversamento ferroviario, un incrocio ci obbliga a fermarci e a valutare il momento migliore per attraversare. Ci dirigiamo verso via dei Caniana salendo verso un’altra rotonda, prima di raggiungere il percorso ciclabile in cui il breve sollievo è presto interrotto dalle automobili che limitano il nostro spazio sulla carreggiata. Dopo un’altra salita, attraversiamo una nuova rotonda e giungiamo in via San Giorgio, dove la ciclabile si interrompe e la strada si divide in tre corsie.
Vista la pericolosità del tratto, decidiamo di attraversare la strada all’altezza dell’incrocio con via Evaristo Baschenis. Raggiungiamo un marciapiede e intravediamo una ciclabile che, manco a farlo apposta, riprende dall’altro lato, costringendoci a un nuovo attraversamento. La pista è molto ampia, ma un po’ ripida. Appena la strada diventa stretta, si presentano degli ostacoli e un segnale ci indica che la ciclabile è terminata, senza proporre vie o percorsi alternativi. Questa situazione si ripete subito dopo: la via è infatti intervallata da incroci e da una serie di passaggi pedonali che ci costringono a fare su e giù tra i marciapiedi.
Raggiungiamo la ciclabile in salita su via Angelo Maj, ben realizzata, con tanto di segnaletica orizzontale che divide una doppia corsia per consentire entrambe le direzioni di marcia. Trovando un incrocio, anche qui il passaggio è molto stretto, riusciamo a passare a fatica visto che la ciclabile, tanto per cambiare si interrompe, continuando subito dopo. Risaliamo la strada, intervallata dai vari attraversamenti pedonali e da restringimenti della pista, fino a quando non ci troviamo in via Pinamonte da Brembate. All’incrocio svoltiamo a sinistra per immetterci in via Pietro Paleocapa e risaliamo la via. Qui ritroviamo il solito segnale di interruzione della pista.
Percorriamo tutta la via e raggiungiamo Borgo Palazzo, dove troviamo la ciclabile dall’altro lato della strada. Attraversiamo e ci immettiamo in via Ernesto Pirovano, dove abbiamo deciso di fermarci per via della stanchezza. L’esperienza ci ha permesso di capire come rendere Bergamo una città più accessibile. Le piste ciclabili sono spesso interrotte o mal segnalate, i marciapiedi troppo stretti e dissestati, le rampe di accesso poco agevoli e il traffico automobilistico provoca insicurezza.
Anche i dissuasori, che consentono il passaggio alle bici, per il triciclo sono un ostacolo in più. Mi obbligano infatti a scendere e a sperare di trovare qualcuno che mi aiuti a sollevare il mezzo per aggirarli. Per rendere la città davvero a misura di tutti, è fondamentale intervenire su questi aspetti, garantendo percorsi sicuri e continui e sensibilizzando la cittadinanza sul rispetto degli spazi condivisi. Solo così si potrà creare un ambiente urbano che favorisca la mobilità che permetta anche a chi usa mezzi ad hoc di muoversi più agevolmente.
Ad oggi, ahimè, Bergamo non è una città a misura di triciclo.